Addio al rimborso dopo 4 anni quando il datore di lavoro esagera

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La richiesta per la restituzione delle ritenute in eccesso è soggetta al termine decadenziale di quarantotto mesi
La richiesta di rimborso delle ritenute Irpef effettuate dal datore di lavoro diverso dallo Stato al dipendente, in qualità di sostituto di imposta, è disciplinata dall’articolo 38 del Dpr 602/1973. L’istanza va, pertanto, presentata dal percipiente nel termine in esso fissato (attualmente, 48 mesi). Lo ha confermato la Cassazione, con la sentenza 19639 del 16 settembre.

L’Agenzia dell’Entrate proponeva ricorso in Cassazione contro la sentenza della Ctr, con la quale era stato confermato il diritto del contribuente al rimborso della maggiore ritenuta Irpef operata dal Coni sulla pensione integrativa, erogata allo stesso dal 1995 al 2004; al riguardo il giudice di secondo grado aveva rigettato l’eccezione di decadenza sollevata dall’ufficio, ai sensi dell’articolo 38 del Dpr 602/1973, ritenendo applicabile al caso in esame il termine di prescrizione decennale previsto in origine dall’articolo 37.

In sostanza, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla seguente questione: verificare se la trattenuta fiscale operata dal Coni (che è un ente pubblico diverso dallo Stato) sul trattamento pensionistico integrativo del proprio dipendente sia qualificabile come versamento diretto, agli effetti dell’articolo 38 del Dpr 602/1973 (e se, pertanto, l’istanza del contribuente volta a ottenere il rimborso dei versamenti ritenuti in eccesso dall’ente pubblico diverso dallo Stato sia soggetta al termine decadenziale di cui all’articolo 38).

L’articolo 38 vigente ratione temporis difatti disponeva che “il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all’intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede l’esattoria presso la quale è stato eseguito il versamento istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento. L’istanza di cui al primo comma può essere presentata anche dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta entro il termine di decadenza di diciotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata”.

La Corte ha fatto leva su un consolidato orientamento giurisprudenziale, in base al quale la richiesta di rimborso delle ritenute Irpef effettuate in qualità di sostituto di imposta, ai sensi dell’articolo 23 del Dpr 600/1973, dal datore di lavoro diverso dallo Stato, sulle somme corrisposte a vario titolo al dipendente è disciplinata dall’articolo 38 del Dpr 602/1973. La richiesta va, pertanto, presentata dal dipendente percipiente nel termine in esso fissato (che, tra l’altro, l’articolo 34 della legge 388/2000 ha portato da 18 a 48 mesi, con decorrenza dal primo gennaio 2001).

L’articolo 37 del Dpr 602/1973 disciplina, infatti, la diversa ipotesi della ritenuta diretta, che si verifica per le sole Amministrazioni dello Stato che possono avvalersene nei confronti dei dipendenti per attuare una compensazione tra il credito dell’Amministrazione e quello del contribuente.

L’Amministrazione finanziaria, con il ricorso dinanzi alla Suprema corte, lamentava, inoltre, la violazione degli articoli 19, 21 e 57 del Dlgs 546/1992, chiedendo di conoscere se il ricorso del contribuente fosse, in mancanza di un provvedimento implicito o esplicito di diniego, carente di un presupposto processuale, per difetto dell’atto impugnabile, se tale carenza fosse rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo e se, di conseguenza, la sentenza che dichiara inammissibile la relativa eccezione formulata dall’appellante, ritenendola soggetta alla preclusione di cui al citato articolo 57, si ponesse in contrasto con gli articoli 19, 21 e 57 del Dlgs 546/1992.

A tal proposito si fa presente che, ai sensi dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992, “il ricorso può essere proposto avverso… g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi ed altri accessori non dovuti”. In base al successivo articolo 21, comma 2, “il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’art. 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto”.

Anche in tal caso la risposta della Cassazione è stata favorevole all’Amministrazione, sulla base del principio secondo cui il ricorso del contribuente al giudice tributario per ottenere il rimborso di somme che assume indebitamente versate può essere proposto soltanto nei confronti di un provvedimento di diniego del rimborso, esplicito o implicito; ipotesi, la seconda, attivabile qualora sia decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda di restituzione, la cui inesistenza comporta l’inammissibilità del ricorso per difetto dell’atto impugnabile, vale a dire di un presupposto processuale rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Marcello Maiorino
Fisco Oggi