Terzigno, non solo una questione di “munnezza”

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È possibile, anzi probabile, che la camorra soffi sul fuoco della protesta popolare di Terzigno. Non sono, inoltre, accettabili le violenze e le distruzioni di beni pubblici. Non si possono, però, usare questi argomenti per nascondere la vera sostanza del problema, e cioè il fatto che il Presidente del Consiglio, il Ministro dell’Ambiente, il capo della Protezione civile, il Governatore della Campania e il Sindaco di Napoli (e insieme a loro qualche decina di amministratori ed alti funzionari) hanno irresponsabilmente sprecato una occasione unica e, forse, irripetibile di costruire un serio regime di governo dei rifiuti. Per più di due anni, i cittadini hanno sospeso proteste ed agitazioni, dando il tempo per attuare (o almeno fare avanzare sensibilmente) un piano che comprendeva anche misure impopolari, come la realizzazione della discarica di Terzigno e il termovalorizzatore di Acerra, azioni di sistema, come lo sviluppo della raccolta differenziata a Napoli e, possibilmente, la realizzazione di qualche azione di miglioramento e bonifica ambientale, con i cosiddetti fondi di compensazione. Era del tutto evidente che un simile atto di fiducia non potesse avere una durata illimitata e doveva trovare riscontri concreti. Il bilancio è desolante. La discarica di Terzigno doveva dimostrare che era possibile smaltire i rifiuti con modesti impatti ambientali (come avviene da anni in vari luoghi) ed è invece diventata la pietra dello scandalo. Il termovalorizzatore di Acerra, per quanto si comprende dai verbali dell’Osservatorio ambientale, stenta a funzionare a completo regime. Lo sviluppo della raccolta differenziata a Napoli non c’è stato (qualcuno parla addirittura di riduzione) e non sono stati predisposte le strutture di recapito finale dei rifiuti. I 47 milioni dei fondi di compensazione sono finora rimasti sulla carta, e l’eventuale utilizzo proprio in questo momento viene, giustamente, considerato come una beffa. Eppure, tutti questi obiettivi si potevano raggiungere. Nel Paese esistono e sono conosciuti tecnici di comprovato valore e di grande esperienza che avrebbero potuto e dovevano essere impiegati a sostegno delle strutture locali. Nessuno ha impedito ai responsabili di sperimentare seriamente forme di controllo civico sulla discarica e sull’inceneritore, forme che avrebbero aiutato a individuare tempestivamente i problemi e garantito la trasparenza. A Napoli nessuno vietava di mobilitare la società civile per progettare e realizzare le azioni di sostegno alla raccolta differenziata. Niente impediva inoltre di avviare la costruzione partecipata di un piano di bonifiche da realizzare con i fondi di compensazione. Naturalmente, tutto ciò richiedeva che i responsabili istituzionali accantonassero protagonismi e conflitti. Certamente si sarebbero dovute combattere resistenze corporative e, molto probabilmente, l’opposizione della criminalità organizzata, e ciò sarebbe sicuramente stato difficile. Anche questo, però, poteva aiutare a comprendere l’enorme importanza della posta in gioco: la costruzione di un regime condiviso di governo dei rifiuti non serviva soltanto a risanare l’ambiente fisico ma anche a ricostruire un rapporto di fiducia fra istituzioni e cittadini e cioè a riconsegnare alla Campania due beni comuni essenziali da troppo tempo assenti. Sembra del tutto evidente che una simile sfida richiedeva un esercizio di responsabilità attento, competente e costante e che, quindi, non si poteva pensare che il Governo potesse limitarsi a “chiudere le emergenze e rimettere agli enti locali le proprie responsabilità” come ha detto il ministro Prestigiacomo su “La stampa” del 23 ottobre. E’ sconcertante, leggere sullo stesso giornale, che Il governatore Caldoro, mentre tenta di addossare tutte le colpa alle giunte di sinistra, ammette che, dalla sua elezione ad oggi, è riuscito soltanto a litigare con sindaci e presidenti di provincia, senza uscire dal labirinto dei conflitti ci competenze. In una simile situazione, le esibizioni decisioniste sono alquanto grottesche e mettono in luce l’incapacità di comprendere il problema di fondo che è, tutto sommato, alquanto semplice: nessun sistema di gestione dei rifiuti può funzionare senza due condizioni basilari. Il consenso attiva della popolazione interessata e un regime di responsabilità definito, trasparente e verificabile. Dopo avere perso una grande chance, risalire la china sarà particolarmente faticoso. La cittadinanza attiva resta una risorsa disponibile ma, con tutta evidenza, devono emergere interlocutori credibili e seriamente impegnati.

Alessio Terzi, Presidente di Cittadinanzattiva