Il rischio UniCredit nella solita Italietta

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La questione libica, con il suo repentino aggravarsi e con la sua proiezione internazionale, ha ancora una volta di più segnalato le debolezze politiche ed economiche del sistema Italia. La decisione di appoggiare la coalizione internazionale per il rispetto della no-fly zone è stata una decisione presa per default, senza che noi abbiamo guidato il processo e senza che noi siamo stati capaci di tirarci indietro, come invece forse più saggiamente ha fatto la Germania. Umberto Bossi ha pubblicamente criticato questo intervento timido, impacciato e pericoloso ed è stato forse l’unico che ha avuto il coraggio di dire quello che molti pensano. Gheddafi è un pericoloso dittatore sicuramente, ma lo era anche quando gli abbiamo permesso di acquistare le quote della prima banca italiana, Unicredit di cui è diventato primo azionista. Ed era sempre un pericoloso dittatore anche quando l’Eni ha avviato attività petrolifere in Libia. L’esitazione dell’Italia, mai come in questo caso, ha dimostrato la fragilità del sistema Italia, il suo provincialismo, la sua pochezza. Mentre tutti pensano a tutelare con attenzione i propri interessi, noi ci siamo allegramente defilati su questioni che interessano migliaia di lavoratori, di cittadini. Unicredit è un patrimonio dell’intera nazione ma per piccoli interessi (o grandi ma a favore di pochi) abbiamo comunque rischiato quello che nessuno avrebbe mai rischiato: consegnare una banca di questa importanza ad una persona i cui disturbi mentali sono materia nota e conosciuta da oltre trenta anni. Non si tratta di una cosa seria, così come non si può entrare in una guerra solo perché la Francia ci soffia la scena. In poche parole l’Italia, a cento anni da quando decise di invadere la Libia, anche lì collezionando una sequela di brutte e tristi figure, non è cambiata molta: Italietta era e Italietta resta.

Pietro Colagiovanni