Cassazione: è reato tradire in casa la moglie, integra il reato di maltrattamenti

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Il palazzo della Corte di Cassazione

E’ reato costringere la moglie a sopportare le corna in casa. Tale condotta infatti integra il reato di maltrattamenti a tutti gli effetti. A sostenerlo è la Cassazione con la sentenza n. 16543/2017, depositata il 5 aprile, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda di una donna costretta tra le varie cose a subire i rapporti intimi del marito con l’amante nella casa coniugale. Sul punto, a nulla vale per l’uomo tentare di sminuire il proprio comportamento, adducendo la non configurabilità del reato di maltrattamenti, per avere semplicemente “intrattenuto una relazione extraconiugale” e non la serie di atti vessatori richiesti dalla fattispecie incriminatrice. Secondo gli Ermellini, infatti, sottolinea Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, la doglianza è infondata. Va ricordato che il reato di maltrattamenti, ex art. 572 c.p., ricordano preliminarmente dal Palazzaccio, “integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali (cfr., tra le altre Cass. n. 43221/2013). Nella, specie, il giudice d’appello “ha adeguatamente valutato l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, sia sotto il profilo della intrinseca linearità sia sotto il profilo della correttezza estrinseca, constatando come la condotta di violenza e di sopraffazione che l’imputato ha inflitto a sua moglie, consistente nell’intrattenere rapporti sessuali con l’amante all’interno della casa coniugale imponendo alla moglie l’accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce, abbia trovato riscontro anche nella relazione di servizio e nel chiaro contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l’imputato e la persona offesa”. Per cui, nulla di fatto per l’uomo.

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