Lavoro/ Quota femminile nei licenziamenti collettivi, sentenza della Cassazione

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Con la sentenza n. 14454 del 24 maggio 2019, la Corte di Cassazione ha affermato che allorquando si procede a licenziamenti collettivi, la percentuale delle lavoratrici coinvolte non può essere superiore a quella delle donne impiegate nella mansione oggetto di riduzione di personale. Nel caso di specie, la cassazione prevede; nullità, inefficacia, illegittimità del licenziamento collettivo deducendo la violazione delle procedure previste dalla L. 223/91 art.5 comma 2 perché era stata licenziata una percentuale di manodopera femminile superiore a quella occupata, con riguardo alle mansioni prese in considerazione ai fini del licenziamento, oltre ad una violazione degli artt. 3 e 37 Cost. Nella fattispecie si sarebbe realizzata una discriminazione per ragioni di genere a vantaggio degli uomini ed una violazione del diritto comunitario, in particolare della direttiva 2000/43/CE,al contrario dell’interpretazione aziendale che riteneva il criterio di cui al comma 2 dell’art. 5 fosse solo uno dei diversi criteri di scelta utilizzabili dal datore di lavoro nella procedura di licenziamento collettivo e che la norma non avesse alcuna portata imperativa e fosse sprovvista di sanzione in caso di violazione.
La norma sanziona il mancato rispetto di una proporzione già esistente tra uomini e donne, proporzione che ha il fine di evitare che siano licenziate solo o prevalentemente donne nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, la norma sui licenziamenti collettivi conferma l’assoluto principio di parità tra uomini e donne. Concludendo l’art 5 comma 2 pone un limite alla facoltà di scelta dei lavoratori da licenziare da parte dell’imprenditore, ma tale limite è conforme alla costituzione e al diritto comunitario.
In conclusione, il licenziamento in violazione dell’art.5 comma 2 l.223/91 è radicalmente nullo in quanto discriminatorio, di conseguenza, il recesso viene dichiarato illegittimo, con reintegra e risarcimento del danno ex art. 18 della legge n. 300/1970 (se trova applicazione tale disposizione), poiché la decisione datoriale configura un comportamento discriminatorio.
Alfredo Magnifico

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