Al via Meat the Change, la campagna di Slow Food dedicata al tema carne

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E tu, quanto sei Slow? Parte con un quiz sulle abitudini alimentari di ognuno di noi la campagna Meat the Change, lanciata oggi da Slow Food Italia e realizzata con il contributo del Ministero italiano dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Secondo l’Osservatorio permanente sul Consumo Carni, il consumo medio annuo in Italia di carne (pollo, suino, bovino, ovino) è pari a 79 chilogrammi pro-capite, con il 45% dei consumatori che privilegia la carne proveniente da allevamenti italiani, il 29% che sceglie quelle locali e il 20% quelle con marchio Dop, Igp o con altre certificazioni di origine. Stando ai dati Ismea relativi alla bilancia agroalimentare del primo semestre 2019, in Italia continuano ad aumentare i consumi di carne fresca, soprattutto bovina e avicola, mentre sono stabili quelli di carne suina e in calo quelle cosiddette minori, ossia ovine e cunicole. Se prendiamo solo in considerazione la carne bovina, sempre secondo gli studi Ismea, nel 2018 abbiamo prodotto solamente il 52,7% del nostro fabbisogno, importando il resto.  

Che l’eccessivo consumo di carne proveniente da allevamenti intensivi improntati a un modello industriale sia un grave problema è dimostrato da numerosi studi e inchieste, in primis dalla Fao. Questi allevamenti impattano fortemente sugli ecosistemi a livello di emissioni di gas clima alteranti, di inquinamento da reflui zootecnici, ma anche a causa dei mangimi a base di cereali e soia provenienti da monoculture responsabili di deforestazione e di impoverimento dei suoli. Gli animali sono considerati semplici macchine da carne senza considerazione per le condizioni in cui vivono. Il risultato ultimo è la produzione di carne di scarsa qualità che peggiora la salute dei cittadini.

«Il modello di allevamento industriale globale, non solo quello praticato nel nostro Paese ovviamente, ci costringe a fare i conti con costi ambientali e sociali insostenibili. Dobbiamo ripensare i nostri consumi per immaginare un futuro migliore e le scelte dei consumatori sono determinanti per indirizzare la produzione e condizionare il mercato. Tuttavia la soluzione non è cancellare la carne dalla nostra dieta, perché un buon allevamento – buono per l’ambiente e buono con gli animali – è indispensabile per una buona agricoltura e per una carne di qualità. Per questo occorre sostenere chi pratica un allevamento sostenibile, spesso prendendosi cura anche di territori marginali e salvando biodiversità, come i numerosi allevatori che custodiscono razze locali», commenta Raffaella Ponzio, referente Slow Food del tema carne. «La campagna si chiama Meat the Change, con un gioco di parole che ci invita a cambiare la carne nella nostra dieta e allo stesso tempo ci invita ad andare incontro al cambiamento di cui, attraverso scelte di consumo più attente, si può diventare protagonisti».

Dagli studi della Fao emerge che con il 14,5% delle emissioni totali di gas serra, il settore zootecnico è infatti un importante fonte di gas climalteranti, mentre un terzo delle terre coltivate nel mondo è utilizzato per produrre un miliardo di tonnellate di mangimi, soprattutto sotto forma di monocolture di soia e mais. Per non parlare delle risorse idriche: il 23% dell’acqua dolce disponibile sul pianeta è utilizzato per l’allevamento del bestiame.

Con Meat the Change Slow Food invita a fare scelte alimentari ragionate: il giusto punto di partenza per uno stile di vita più sostenibile, più Slow. Ma cosa vuol dire precisamente essere più Slow?

«Significa informarsi, significa dare grande importanza alle nostre scelte alimentari quotidiane: ciò che mangiamo diventa parte di noi, dovremmo prestare molta più attenzione alla qualità integrale – quindi non solo al sapore, anche agli aspetti ambientali e sociali – di un prodotto alimentare. Essere Slow significa mangiare meno carne – ma anche cercare di variare le specie (in particolare consumare più carni ovine e caprine che sono così importanti per sostenere la pastorizia, indispensabile per la gestione di aree più marginali), provare tagli meno conosciuti, ridurre gli sprechi, riscoprendo molte e buonissime ricette che recuperano gli avanzi o le parti meno nobili. Ma significa soprattutto scoprire e supportare il lavoro di allevatori sostenibili, che hanno un basso impatto ambientale e mettono in primo piano il benessere degli animali. Esistono ma non hanno molta voce e hanno bisogno di noi per sopravvivere su un mercato che è una continua lotta per ridurre i costi e fornire carne a prezzi bassi. Parlare di carne implica prendere in considerazione anche salumi e altri trasformati. Essere più Slow vuol dire acquistare salumi naturali, che non contengono cioè conservanti e altri additivi, davvero pericolosi per la nostra salute grazie a un effetto accumulo che nel tempo potrebbe portare a sviluppare malattie molto gravi», aggiunge Gaia Salvatori, esponente del Comitato esecutivo di Slow Food Italia.

Come fare concretamente? Diventare più curiosi. «Leggere le etichette, fare più domande al macellaio e al cuoco quando siamo al ristorante, organizzare qualche gita in fattoria per conoscere chi alleva e come, aderire a gruppi di acquisto che si riforniscono da produttori affidabili, come ad esempio i nostri Presìdi Slow Food. Informarsi anche attraverso le organizzazioni come Slow Food che da anni studiano questi temi. Non dimenticando mai che bisogna diffidare dei prezzi troppo bassi, che in realtà nascondono altissimi costi ambientali e sociali. Produrre qualità invece costa, ed è un lavoro che deve essere remunerato il giusto», conclude Ponzio.  

E ovviamente significa partecipare alla campagna Meat the Change realizzata in collaborazione con l’agenzia Latte Creative.

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