Effetto crisi: in 10 anni crollano i consumi e spariscono 200 mila negozi

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Secondo uno studio della CGIA, rispetto al 2007(anno pre-crisi) le famiglie italiane hanno tagliato i consumi per un importo pari a 21,5 miliardi di euro, quasi 200.000 negozi di vicinato sono stati costretti a chiudere mentre il valore delle vendite al dettaglio nei negozi di vicinato è crollato del 14,5 per cento.

Lo scorso anno la spesa complessiva dei nuclei familiari nel nostro Paese è stata pari a poco più di 1.000 miliardi di euro, nonostante la contrazione, questa voce continua ad essere la componente più importante del Pil nazionale (60,3%).

Il Sud è stato la zona che ha registrato la riduzione più significativa, nel decennio le famiglie meridionali hanno tagliato la spesa mensile media di 131 euro (1.572 euro anno), quelle del Nord di 78 euro (936 euro) e quelle del Centro di 31 euro (372 euro), a pagare il conto sono stati anche artigiani e piccoli negozianti.

Piccoli negozi e botteghe artigiane faticano a lasciarsi alle spalle la crisi, queste imprese vivono esclusivamente di consumi delle famiglie e sebbene ci sia stata una leggerissima ripresa, i benefici di questa inversione di tendenza non si sentono.

Nella grande distribuzione è salito del 6,4%, trend proseguito anche nei primi 9 mesi del 2019: mentre nei supermercati, nei discount e nei grandi magazzini le vendite sono aumentate dell’1,2%, nelle botteghe e nei negozi sotto casa la contrazione è stata dello 0,5%.

La manovra 2020 ha scongiurato l’aumento dell’Iva e da luglio i lavoratori dipendenti a basso reddito beneficeranno del taglio del cuneo fiscale, ma il peso del fisco continua essere troppo elevato.

L’aumento della disoccupazione condiziona negativamente i consumi, inoltre, è diventato sempre più difficile fare impresa, il peso della burocrazia e la difficoltà di accedere al credito hanno costretto molti piccolissimi imprenditori a gettare la spugna.

A livello regionale le situazioni più negative in termini assoluti, espressi in valore nominali medi si sono verificate in Umbria (- 443 euro mese), in Veneto (-378 euro) e in Sardegna (-324 euro). In contro tendenza i risultati ottenuti in Liguria (+333 euro mese), in Valle d’Aosta (+188 euro) e in Basilicata (+133 euro).

La situazione di difficoltà è proseguita, nell’ultimo anno, anche al Nord: in Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Friuli Venezia Giulia la spesa mensile media delle famiglie nel 2018 è stata inferiore a quella del 2017.

Tra il 2007 e il 2018 la contrazione più importante ha riguardato l’acquisto dei beni (-10,3%), mentre i servizi sono cresciuti del 7%, nel dettaglio, i beni non durevoli (es. prodotti cura della persona, medicinali, detergenti per la casa, etc.) sono crollati del 13,6%, quelli semidurevoli (es. abbigliamento calzature, libri, etc.) si sono ridotti, anche, quelli durevoli (es. auto del 4,5,%) e articoli di arredamento, elettrodomestici, etc del 2,8% per cento.

La caduta dell’acquisto dei beni è proseguita anche quest’anno: tra il primo semestre 2019 e lo stesso periodo del 2018 la contrazione è stata dello 0,4% con una punta del -1,1% dei beni non durevoli , invece, l’esito dei beni durevoli: quest’anno la crescita è stata del 2,9%.

Tra le voci di spesa più significative i trasporti (auto, carburanti, biglietti treni, bus, tram, etc.): tra il 2007 e il 2018 la caduta è stata del 16,8% ed è proseguita,quest’anno con un preoccupante -1% al contrario   le telecomunicazioni (cellulari, tablet e servizi telefonici, etc.) hanno segnato degli score straordinari: negli ultimi 10 anni +20,1% e nell’ultimo anno +7,7%.

Le vendite al dettaglio il 70% del totale dei consumi delle famiglie, negli ultimi 11 anni sono scese del 5,2%, mentre quelle registrate presso la grande distribuzione sono aumentate del 6,4%, nella piccola distribuzione (botteghe artigiane e piccoli negozi) sono precipitate del 14,5% sebbene il gap si sia decisamente ridotto in questi primi 9 mesi del 2019 i segni sono rimasti gli stessi: +1,2% nella grande e -0,5% nella piccola distribuzione.

Tra il settembre 2009 e lo stesso mese di quest’anno le aziende/botteghe artigiane attive sono diminuite di 178.500 unità (-12,1%), mentre lo stock dei piccoli negozi è sceso di quasi 29.500 unità (-3,8%). Complessivamente, pertanto, abbiamo perso più di quasi 200 mila negozi di vicinato in 10 anni.

La regione più colpita dalla moria di aziende artigiane è stata la Sardegna che negli ultimi 10 anni ha visto scendere il numero del 19,1%, seguono Abruzzo con il 18,3% e Umbria con il 16,6% , nel piccolo commercio, invece, ha subito la riduzione più significativa la Valle d’Aosta con il 18,8%, Piemonte con il 14,2% e Friuli Venezia Giulia con l’11,6% , risultano di segno opposto Calabria (+3%), Lazio (+3,3%) e Campania (+4,6%).
Alfredo Magnifico

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