Angolo della Psicologa/ Il rischio che non fa paura: la Cannabis. Prospettive e possibilità

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Qualche giorno fa mi sono trovata a parlare, insieme al Comandante della Stazione Carabinieri locale, con un nutrito gruppo di ragazzi di una scuola media di Campobasso (Molise).
Abbiamo parlato di droga.
Chi mi conosce o, mi ha ascoltato in qualche incontro, sa che le lezioni cattedratiche, in qualsiasi circostanza, non sono il mio forte, così, per cominciare l’incontro, ho rotto il ghiaccio cedendo la parola ai ragazzi e chiedendo loro quali fossero le droghe.
Entusiasti di far sentire la loro voce, i ragazzi hanno cominciato ad elencare diverse varietà di sostanze stupefacenti ma nell’elenco nessuno menzionava la Cannabis.
Quindi, alla mia successiva domanda, su quanti di loro ritenessero la Cannabis una droga, solo quattro ragazzi, in tutta la nutrita platea, hanno risposto che la consideravano una sostanza stupefacente.


Tra me e me ho pensato: “questo sì che è stupefacente…”, mi sono allora chiesta il perché di questa esclusione e poi l’ho chiesto a loro.
Qualcuno ha risposto che “l’erba” non è una droga perché è naturale, qualcun altro perchè si prescrive come cura, qualcun altro ancora perchè è molto diffusa, pensando probabilmente che la facilità con la quale si possa reperire sia sinonimo di un accesso legalizzato e quindi non dannoso. Certamente ignoravano che quando si abbassa la percezione del rischio, non si ha neppure consapevolezza del danno.
Il nostro dibattito, a questo punto, è stato arricchito dall’intervento del comandante della Stazione dei Carabinieri di Campobasso che ha ben spiegato quali fossero i rischi legali, con le relative sanzioni, derivanti dalla detenzione e spaccio di Cannabis, lasciando interdetti i ragazzi che non avevano realmente idea di quale grigia realtà si celasse nel “fumo”.
I nostri interlocutori, avevano del tutto normalizzato e, così neutralizzato, i rischi della fruizione di una sostanza illegale intorno a cui i media ed il senso comune forniscono informazioni incomplete e confuse.Pubblicità


Con un rapito giro sul web ho appreso dell’esistenza di diversi negozi online, ma ce ne sono anche lungo le nostre strade, in cui si vendono sostanze derivate dalla cannabis. Ai siti in questione si accede certificando la propria maggiore età con un click (ironicamente ho pensato che possiamo stare sicuri, che nessun preadolescente o adolescente potrà mai accedere ai loro contenuti, prima dei 18 anni…).
Ovviamente tali siti elogiano le proprietà del prodotto e promuovono la legalizzazione della Cannabis. Un ragazzo che si accosta da solo a simili contenuti, cosa pensate possa fare? Con molta probabilità, ci crederà e farà proprie quelle informazioni parziali e scorrette.
Si parla quindi tanto di cannabis ma raramente si spiega, in modo corretto, quale sia il suo contenuto. Innanzi tutto è bene fare una precisazione, la Cannabis attuale non è quella degli anni 70, non lo è né nella forma e tanto meno nei contenuti. Oggi si ha a che fare con piante coltivate con biotecnologie specifiche che aumentano il contenuto del THC . Con questo non voglio dire che la Cannabis degli anni 70 non facesse male ma, sicuramente ne faceva molto meno, proprio in base alla percentuale di presenza ed al rapporto dei suoi principali componenti: THC e CBD.


Il THC è una molecola psicotropa cioè capace di creare dipendenza, di modificare lo stato psicofisico di un soggetto alterandone l’attenzione, la percezione, l’umore, il comportamento, gli stati di coscienza e causando addirittura psicosi. Studi recenti hanno dimostrato che l’aumento di stati psicotici in consumatori di cannabis è direttamente proporzionale all’ aumento del suo contenuto di THC.


Il CBD o cannabidiolo, è invece la seconda sostanza più abbondante presente nella Cannabis. Non è psicoattivo, non crea assuefazione e da un effetto calmante. Tuttavia, è bene sottolineare ancora che, nella cannabis che si trova attualmente in commercio, la percentuale di THC è molto più elevata di quella di CBD, per cui nessuna canna fumata a scopo ricreativo ha effetto curativo, anzi servirà a tutt’altro che a far stare bene.
Hall ed i suoi collaboratori in un’altra ricerca del 1995 hanno descritto le conseguenze acute e croniche, fisiche e psichiche, dell’abuso di cannabinoidi. Tra gli effetti acuti si ritrovano: ansia, disforia, panico, paranoia (specialmente in “fumatori” non sperimentati o in soggetti che ricevono THC a fini terapeutici) e compromissione cognitiva, soprattutto a carico della memoria e dell’attenzione (la memoria a breve termine è compromessa e le associazioni mentali sono allentate).


Tornando ai giovani e lasciando da parte le definizioni (sebbene importanti per capire), le statistiche più recenti italiane mostrano che il primo accesso alla cannabis per il 9,2% dei ragazzi è avvenuto al di sotto degli 11 anni, la percentuale sale al 14, 6% per i giovani tra i 12 e i 13 anni, fino a raggiungere tra i 14 ed i 15 anni il 50,2% (fonte: “Venduti ai minori, indagine sull’accesso dei minori ad alcool, cannabis, tabacco, azzardo, pornografia e videogiochi” 2019).
E’ molto interessante riflettere anche sulla motivazione che li hanno indotti al consumo: il 54% del campione risponde di averlo fatto per “curiosità”, seguito dal 28% che afferma “mi rilassa/mi svuota la mente”; percentuali minori dicono di aver iniziato per “ribellione” (7%), perché “li faceva sentire importanti” (5%), “perché tutti gli amici lo fanno” (2%).
Si comincia quindi per curiosità, perché si ha voglia di svuotare la testa e infine perché gli altri lo fanno, in minima percentuale, forse statisticamente non significativa ma, a mio avviso, da non sottovalutare.


Sempre la stessa statistica (la cui fonte è stata citata in precedenza) ha anche indagato sul ruolo della scuola chiedendo agli intervistati se ne avessero parlato durante l’orario scolastico, il 34% del campione ha risposto che a scuola ne hanno parlato, ma “poco”, il 34,3% che non ne hanno “mai” parlato e solo il 31,7% che ne hanno parlato “tanto”.
Senza nulla togliere all’importanza delle lezioni curriculari credo sia doveroso fare in modo che ci siano maggiori spazi per sanare la “curiosità” dei giovani che, senza una corretta informazione e la possibilità di avere interlocutori preparati cercano da soli, e nel modo sbagliato, le risposte alle loro domande ed alle loro necessità.


Se un’alta percentuale di ragazzi fuma le canne perché deve rilassarsi o per svuotare la testa, noi adulti e professionisti, noi genitori ed insegnanti, al posto di additarli come una generazione fallita, potremmo chiederci quale bisogno muove la loro azione e quale bisogno, a lungo andare, fa soccombere il loro desiderio di vita.
Solo quando è troppo tardi, solo quando si è dietro le sbarre di una prigione o se va meglio, in una comunità che offre una seconda possibilità, si riconosce il vero volto della cannabis e la si chiama per nome: droga perché la cannabis altro non è che una droga ed ogni volta che un giovane accende uno spinello, spegne dentro sé il desiderio di una vita feconda e generativa.


La cannabis è una droga e come tutte le altre droghe è portatrice di morte.
Sta a noi fare in modo che i giovani trovino la propria strada, che imbocchino la direzione giusta e che non mandino la loro vita in “fumo”. Nessuno è escluso dal contribuire al diffondersi della cultura del benessere e della legalità.

Dott.ssa Antonella Petrella, psicologa-psicoterapeuta,
Responsabile della Comunità di Recupero ed accoglienza “Figlia di Sion”

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