Lo studio/ Le teorie economiche moderne riprese dalle sacre scritture

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L’apologo di Giuseppe e il Faraone
Giuseppe spiega al Faraone il sogno che tanto lo preoccupa; le vacche magre che mangiano le vacche grasse è l’anticipazione di carestia che segue l’abbondanza, per evitare gli anni di vacche magre, deve agire, secondo Giuseppe, mettendo da parte un quinto del raccolto, cioè, aumentare le tasse, altrimenti, la carestia non avrebbe semplicemente bilanciato l’abbondanza, ma avrebbe, addirittura, distrutto l’Egitto. Questa soluzione oggi risulterebbe impraticabile e obbligherebbe a posizioni ideologiche diverse e inconciliabili; controversia fra liberisti e keynesiani (cuore di ogni dibattito di politica economica) secondo Giuseppe, un bilanciamento fra il ciclo espansivo e quello recessivo, non si sarebbe avuto con il ritorno al punto di partenza, ma si sarebbe creato un ciclo depressivo che avrebbe ridotto e di molto il livello iniziale del PIL.
Giuseppe propone di stipare nei magazzini un quinto della produzione agricola negli anni dell’abbondanza, ridistribuirla negli anni di carestia, il saldo fra entrate e uscite è eguale a quello precedente, la variazione dei magazzini del Faraone non è una variazione dello stock del debito pubblico, il suo incremento è interamente finanziato dalle imposte, se fosse stato finanziato in deficit, avremmo avuto, prima una crescita del debito e poi una sua contrazione, i sudditi avrebbero ricevuto Buoni del Tesoro in cambio di una parte di produzione agricola negli anni migliori, che avrebbero restituito al Tesoro per ricomprare negli anni peggiori. In questo caso, il debito pubblico prima si espande e poi si contrae, tornando al punto di partenza, l’incubo del Faraone grazie a Giuseppe non si avvera, non ci sarà alcuna carestia, riportato ai giorni nostri se la diagnosi per risolvere un problema è efficace la previsione di crisi profonda non si realizza, la previsione era giusta, non si materializza perché Giuseppe aveva concepito la politica economica giusta.
Nel Libro della Genesi non è citata la ragione per la quale si sarebbero avuti gli anni di abbondanza e quelli di carestia; non sono citate né cause morali, come la punizione per l’arroganza degli umani, (Torre di Babele) né economiche, le cause del ciclo delle vacche sono ignote (e ignorate). Un ultra liberista avrebbe accusato il Faraone di «eccessi fiscali», avrebbe sostenuto che «il mercato avrebbe fatto il suo corso», evitando la depressione e l’intervento del Faraone considerato un’intrusione inaccettabile nella vita dei sudditi.
Mettiamoci nei panni del Faraone, non poteva sapere con certezza che il mercato avrebbe fatto il suo corso nel tempo delle vacche magre, avrebbe fatto correre un rischio troppo grande al Paese, meglio l’intrusione fiscale. In termini moderni, possiamo dire che il Faraone agiva in stato di “incompletezza informativa”. Sostituiamo le vacche magre con la crisi della Lehman Brothers, la paura che le vacche magre possano mangiare quelle grasse spinge all’intervento in un contesto di “incompletezza informativa”. Tutti quelli che dissentono dall’operato dei governi degli ultimi anni ignorano che cosa sarebbe successo se le vacche magre avessero mangiato quelle grasse. La conclusione, controversa, meglio emettere nuovo debito e comprare tempo.
La vicenda di Giuseppe e del Faraone piace a chi non vede niente di satanico nelle imposte ,che per scongiurare le vacche magre compaiono e scompaiono. Il debito pubblico non c’è, e, se ci fosse stato, si sarebbe gonfiato e sgonfiato, deficit e debiti vengono e vanno via, come quelli del Faraone, sono diversi da deficit e debiti che vengono e non vanno via mai, come quelli di oggi. I paesi sviluppati, chi più chi meno, non riescono a contenere il deficit e a evitare di accumulare debito, qualunque sia la fase del ciclo; negli anni delle vacche grasse si riduce il peso del debito in rapporto al PIL, ma non lo stock del debito; negli anni delle vacche magre i deficit si espandono molto e alimentano il debito. La crescita del debito si materializza per la ricerca di consenso, problema che il Faraone non aveva nella stessa misura che hanno i politici di oggi.
Chi crede possa esistere una classe politica addestrata e disinteressata, attenta a distribuire onori e oneri secondo giustizia, avrà la sua proposta, chi pensa la politica vada ridotta al minimo perché così, grazie al mercato, si avrà maggior giustizia, chi, invece, crede che i politici siano degli imprenditori sotto diverse spoglie che non massimizzano il fatturato ma i voti, avrà la sua idea: alla fine prevarranno i gruppi organizzati in grado di concentrare il voto, oppure di fare pressione lobbistica, nel primo caso siamo nel mondo del dover essere, nel secondo dell’accettazione del mondo così com’è, insomma, stiamo fra idealismo e realismo impotente.
Idealismo, perché non si capisce come il sistema politico esistente possa essere sostituito da uno completamente diverso guidato da arcangeli e semi dei, realismo impotente, perché già in partenza si pensa che si otterrà comunque poco dal cambiamento.

Alfredo Magnifico