Nell’anno della pandemia, gli italiani cercano il senso della vita nella generosità che investe sul futuro

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FOTO DI REPERTORIO

Sarà, quella del 2020, una Festa dei Defunti che difficilmente dimenticheremo, un momento non più solo familiare ma anche collettivo, per stringersi, come comunità, attorno alle famiglie di quanti, nel corso dell’anno, hanno perso i propri cari a causa del Covid-19.

Mai come quest’anno, trovare il modo di parlare della caducità della vita, ai bambini e tra adulti, diventa più importante che mai, per aiutare gli altri e noi stessi a comprendere, accettare, metabolizzare i profondi cambiamenti che il Coronavirus ha portato prepotentemente nelle nostre vite, non solo in termini di abitudini quotidiane ma anche di percezione della vita e del futuro.

Un po’ come i 3 fantasmi del “Canto di Natale” di Dickens, l’esperienza della pandemia ci lascia tre insegnamenti, che riportano a tre dimensioni: passato, presente e futuro. Lo spiega il professor Mario Pollo, professore di Pedagogia Generale e Sociale e di Psicologia alla LUMSA di Roma, interpellato dal Comitato Testamento Solidale: “Il primo insegnamento, guardando indietro a quello che abbiamo vissuto, è che abbiamo compreso che nessuna persona si salva da sola, cioè nessuno è autosufficiente. Il secondo è che abbiamo riscoperto, in un’epoca che tende a nasconderla, la nostra fragilità, e anche la nostra mortalità. Questa riscoperta è importantissima perché è l’unica che fa sviluppare nelle persone una forza interiore che consente loro di affrontare interiormente il presente e le avversità della vita. Il terzo insegnamento invece è l’importanza del futuro. All’interno del tempo in cui siamo stati confinati, in cui il futuro sembrava essere scomparso, assorbito dal presente, abbiamo scoperto come invece questo futuro fosse fondamentale per la nostra vita.

IL SENSO DELLA VITA: A CHE ETÀ PENSIAMO DI AVERLO TROVATO

Un team dell’Università della California-San Diego[1] ha intervistato un campione di 1042 persone tra i 21 e i 100 anni ed è giunto a una conclusione: è intorno ai 60 anni che troviamo risposta alle domande sul senso della nostra vita. I ricercatori hanno rilevato che, tra gli adulti, l’età dell’inquietudine è quella tra i 20 e i 30 anni, quando ancora è tutto in divenire, sia sul fronte personale e affettivo che su quello professionale. Tra i 40 e i 50 anni le vite tendono a stabilizzarsi e ci si sente “arrivati”, ma ancora si prova quel senso di inquietudine che accompagna il passaggio verso l’età più matura. Sarebbe invece intorno ai 60 anni che le persone credono di aver trovato il senso della propria vita. Una sorta di “golden age”, che non è però destinata a durare per sempre. Pochi anni dopo tutto torna in discussione: si va in pensione, si accusano i malanni dell’età, si vedono gli amici invecchiare, a volte lasciarci… E così il ciclo ricomincia, alla ricerca di un nuovo posto nel mondo.

In tempi di pandemia, sono sempre di più coloro che questo posto, questo senso lo cercano nella generosità, anche attraverso un lascito solidale. Secondo la ricerca “Gli Italiani e la solidarietà dopo il Coronavirus”, commissionata da Comitato Testamento Solidale e realizzata da Walden Lab, dopo il lockdown e in pieno allarme pandemia il 20% degli over 50 dichiara di aver fatto o di essere orientato a fare un lascito solidale in favore di un’organizzazione no profit, l’8% in più rispetto al 2018. E se sono quasi 7 italiani su 10 che dichiarano di avere fatto una donazione almeno una volta nella vita, nel primo semestre di quest’anno la percentuale di chi ha compiuto un gesto concreto è salita al 28%, rispetto al 21% dell’anno precedente. Un raggio di luce in uno scenario complessivo di grande preoccupazione e incertezza per il futuro.

Spiega ancora il professor Pollo: “Nel contesto attuale il lascito solidale ha un grande valore perché ci aiuta a recuperare l’unico tempo della nostra vita che è significativo, il tempo che ci differenzia da tutte le altre specie viventi e che viene chiamato ‘tempo noetico’, cioè la capacità di vivere il presente in relazione al passato e al futuro anche non immediato, non prossimo. Il testamento solidale ci ricorda che siamo ciò che siamo grazie a coloro che ci hanno preceduti. Ciò che noi facciamo nel presente influenzerà la vita delle generazioni che ci seguiranno. Ciò che noi lasciamo in eredità alle nuove generazioni arricchirà la loro vita e anche la nostra perché noi siamo solidali con tutta l’umanità quella che ci ha preceduta e quella che ci seguirà. Non siamo delle monadi isolate. Questo elemento ci dice che noi possiamo dare un senso profondo alla nostra vita e anche al nostro morire se abbiamo la capacità di lasciare un’eredità al futuro.”

Secondo l’indagine di Walden Lab per Comitato Testamento Solidale, il 72% della popolazione italiana adulta (25-75 anni) sa cosa sia un lascito solidale. Tra gli over 50, il segmento di popolazione più orientato all’idea di fare testamento, la crescita è molto netta: nel 2020 ha raggiunto l’80% (nel 2016 la conoscenza del lascito era pari al 55% e nel 2018 al 58%), segno evidente dell’efficacia delle campagne portate avanti in questi ultimi anni dalle principali Onp e dal Comitato Testamento Solidale, di cui fanno parte 22 organizzazioni no profit (ActionAid, AIL, AISM, Associazione Luca Coscioni, Fondazione Don Gnocchi, Lega del Filo d’Oro, Save the Children, Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus, Amnesty International, Amref, CBM, Greenpeace, Istituto Pasteur Italia, Fondazione Cenci Bolognetti, Operation Smile Italia Onlus, Fondazione Telethon, Fondazione Umberto Veronesi, Mission Bambini, Progetto Arca, Unicef, Università Campus Bio-Medico di Roma, UICI e Vidas) con il patrocinio del Consiglio Nazionale del Notariato.

Dal 2013, con il Comitato Testamento Solidale siamo impegnati nel fare cultura su questo importante strumento di donazione. L’emergenza Coronavirus ha reso gli ambiti dei nostri interventi ancora più critici e il sostegno che le organizzazioni non profit possono dare a tante cause sociali dal contrasto della povertà alla lotta alla fame, dalla cura delle persone con malattie degenerative e disabilità, alla ricerca scientifica, dalla salvaguardia dell’ambiente alla difesa dei diritti umani è oggi ancora più decisivo. – sostiene Rossano Bartoli portavoce del Comitato Testamento Solidale e presidente della Lega del Filo d’Oro – Predisporre un testamento solidale è una scelta di cui tante persone parlano apertamente con i propri famigliari, non è necessario disporre di grandi patrimoni e si può valutare di destinare ad un’organizzazione no profit anche una piccola somma per aiutare gli altri”. Accedendo al sito www.testamentosolidale.org è possibile avere un’esaustiva panoramica sui progetti e le iniziative realizzate dalle associazioni non profit e scaricare la Guida ai lasciti solidali che offre informazioni ampie e dettagliate sull’argomento.

ESSERE RICORDATI: TRA TESTAMENTI SOLIDALI ED EPITAFFI FAMOSI

Un lascito è dunque una delle risposte possibili quando ci si domanda che ricordo lasciare di sé ai posteri, che impronta imprimere sul mondo che verrà. Sono soprattutto le migliaia di persone “comuni” che, optando per questa scelta, hanno fatto e continuano a fare la differenza. Per fare un lascito, non servono grandi patrimoni perché ogni gesto, anche il più piccolo, genera un impatto che torna moltiplicato in termini di benefici per la società. Ciò non toglie che la scelta del testamento solidale sia stata fatta anche da tanti personaggi celebri, in Italia e nel mondo: da Bill Gates a Giorgio Armani, da Mark Zuckerberg a George Michael, da Elton John a Robin Williams.

Altri personaggi hanno invece voluto imprimere una traccia del proprio spirito, della propria visione della vita, in un epitaffio, scegliendo la strada dell’ironia per lasciare un messaggio profondamente umano: visto che la morte non si può evitare, tanto vale sorriderne.

Scusate la polvere” fece scrivere Dorothy Parker sulla sua lapide. La Parker nacque in New Jersey nel 1893 ed è morta nel 1967, dopo una vita dedicata alla professione di umorista, scrittrice e critica teatrale, ma anche segnata dalla difesa dei diritti umani e civili.

Stesso spirito deve aver ispirato Werner Heisenberg, morto nel 1976, che scelse come epitaffio la frase “Giace qui, da qualche parte”. Per spiegare questa scelta, bisogna ricordare che il fisico tedesco, premio Nobel nel 1932, fu uno dei fondatori della meccanica quantistica e formulò il celebre principio di indeterminazione, che introdusse per sempre anche nel mondo della scienza il concetto, profondamente esistenziale, di un’incertezza minima ineliminabile.

In Italia, celebri personaggi dello spettacolo hanno scelto la stessa via dell’ironia, al cospetto della morte. “Amici, non piangete, è soltanto sonno arretrato” chiese di scrivere Walter Chiari, morto nel 1991. Anche se la frase non è realmente riportata sulla sua lapide, nel Cimitero Monumentale di Milano, Chiari aveva lanciato questa sua boutade in una celebre conversazione con Dino Risi.

E chi può dimenticare le boutade di Gianfranco Funari? Anche dopo la morte, lo showman ha voluto mantenere intatto il suo stile, chiedendo che sulla sua tomba fosse scritto “Ho smesso di fumare” e “Manco da qui taccio”. Una traccia di due segni distintivi, la sigaretta e la loquacità, che lo hanno caratterizzato sempre durante la sua vita e la carriera televisiva.

Lo stesso sentimento deve aver ispirato la frase scelta dall’amatissimo Aldo Fabrizi per la sua lapide. Il grande attore romano, scomparso nel 1990, visse una vita nel segno dell’ironia e del buongusto a tavola, e così scelse anche di essere ricordato. L’epitaffio che compare sulla sua tomba riporta il verso di uno dei tanti sonetti in romanesco che aveva scritto: “Fu tolto al mondo troppo al dente”.