La riflessione/ In Italia il mercato del lavoro favorisce l’inattività

0
37

In Italia, la pandemia ha aggravato la situazione del mercato del lavoro già in sofferenza. In generale, nel secondo trimestre del 2020 le dinamiche del mercato del lavoro hanno risentito ancor di più rispetto al precedente trimestre degli effetti dell’emergenza sanitaria. Il passaggio da disoccupato a occupato è troppo poco conveniente: imposte e sussidi scoraggiano la ricerca di occupazione, mentre il sistema di welfare, piuttosto scarso, disincentiva la ricerca di un posto full-time, la causa il tenere troppo bassi i salari, soprattutto per le donne. Economia e occupazione sono state sulle prime pagine dei giornali sia nei periodi di normalità e di crescita che nei periodi di crisi e recessione, anche quando la pandemia ha stravolto le vite e l’attenzione mediatica si è concentrata su di essi, per le conseguenze economiche negative che ha avuto. Si discute di: magrezza di stipendi, difficoltà di assunzione da parte delle aziende, costo del lavoro da tagliare, incentivi da dare alle imprese, mentre è sempre passato in secondo piano il tema degli incentivi dei singoli ad occuparsi, quando lavorare o meno è una scelta della singola persona. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha ricordato che lo scarto tra occupazione maschile e femminile è al massimo in Europa, il tasso di occupazione è tra i più bassi, mentre quello di inattività è maggiore.

Non vi è solo il problema di incitivi all’assunzione per le imprese, ma anche di volontà di occuparsi, per molti, soprattutto donne, la lontananza dal mondo del lavoro non deriva dal non trovare occupazione, ma dal non cercarla, a causa dei rafforzamenti; del sussidio disoccupazione, Naspi, introduzione del Reddito di Cittadinanza e reddito di Emergenza, si è creata una trappola di povertà che tiene nell’inattività molti di coloro che trovando lavoro vedrebbero le proprie entrate crescere di poco rispetto ai sussidi che ricevono, e quel poco risucchiato dalle imposte, meccanismo che vale anche per l’ incremento di reddito che avrebbe colui che volesse passare dal part time al full time, la cui differenza è  ridotta dalle maggiori imposte. Si parla di trappola di disoccupazione, che nel nostro Paese è molto alta, sfiora l’80% del salario lordo ciò che guadagnerebbe un neo-assunto, inferiore a quello medio, il vero guadagno sarebbe solo il 20%, tolto quello che mangerebbero le tasse e tolto quanto era garantito dai sussidi che si prendevano.

Sembra singolare che sia proprio l’Italia, Paese con bassa occupazione, a disincentivare a cercare lavoro più della gran parte degli altri Stati europei e non europei, le donne tra i 25 e i 49 anni, sono le più disincentivate dal lavorare o dal lavorare di più, essendo spesso occupate da impegni familiari, in presenza di un welfare per la famiglia piuttosto scarso. Il peggioramento dell’occupazione di questa fascia è coinciso con il peggioramento della disoccupazione mentre nell’Unione europea e accadeva l’opposto, per esempio Francia e  Grecia, altro Paese con bassa occupazione, dove la trappola disoccupazione è molto limitata, anche se qui tra i motivi vi è il livello particolarmente scarso dei sussidi pagati a chi ha perso il lavoro. Ad essere disincentivate sono l’aumento delle ore di lavoro, la trappola dei bassi salari, ovvero la percentuale di reddito lordo aggiuntivo che viene perso per le tasse o la riduzione di sussidi nel passaggio da un salario molto basso, corrispondente al 33% di quello medio, per esempio frutto di un lavoro part time, a uno che sia due terzi di quello medio, quindi magari un full time in una mansione elementare. L’Italia è leggermente sotto la media europea, con il 38,3% ma si tratta di un valore probabilmente troppo alto in proporzione all’occupazione. La trappola dei bassi salari è rimasta piuttosto immobile, ci si sarebbe aspettati che incidesse non più che in Spagna, uno dei Paesi con tasso di occupazione femminile inferiore alla media, seppure superiore alla nostra ad incidere su questi numeri più che il livello dei sussidi vi è la tassazione, con la presenza di aliquote marginali effettive che sono più alte e più variabili sotto i 38 mila euro lordi .

Si tratta della quota di reddito aggiuntivo che al passaggio da uno scaglione all’altro dell’IRPEF viene pagato in tasse, e considerando che dopo un certo reddito scattano le addizionali e si esauriscono gli assegni familiari, ad alcuni livelli di reddito su 100 euro in più ne rimangono in tasca solo la metà, nonostante si tratti di stipendi netti, magari, inferiori ai 1.500 euro al mese, vi sono casi limite,  intorno ai 18mila e ai 28mila euro, in cui l’aliquota marginale effettiva arriva al 100%. Se consideriamo che in Italia più che altrove la qualità dei posti di lavoro, per neo-assunti o per lavoratori a basso reddito lascia a desiderare, con contratti a termine o somministrazione in piccole e micro aziende, in settori spesso duri come il commercio, dove il lavoro è poco qualificato, con poche possibilità di carriera, ecco che è plausibile che soprattutto le donne rinuncino a cercare lavoro se in cambio il guadagno aggiuntivo è così flebile e preferiscono i sussidi.

Visto che nel governo Draghi si parla di riformare il sistema fiscale, varrebbe la pena provare a guardare anche a questo aspetto, perché l’Italia che proverà a rinascere dopo la pandemia non potrà più permettersi di escludere dal lavoro quella grande massa di uomini e soprattutto donne che ora giacciono nel limbo invisibile dell’inattività, del parassitismo, sopravvivendo con i sussidi.

Alfredo Magnifico