Varie ed eventuali/ Bisogna temere l’uomo, non l’Intelligenza Artificiale

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di Pietro Colagiovanni

Il tema dell’intelligenza artificiale è diventato una sorta di mantra nel panorama informativo di queste ultime settimane. Cos’è l’intelligenza artificiale? In sintesi e senza pretese di scientificità si tratta di un computer capace di elaborare e applicare ulteriori routine di programma che non derivano direttamente dal programma originario della macchina. Prima si chiamava sistema esperto oggi, visto l’aumento della potenza di calcolo dei computer, è diventato qualcosa di più esteso e profondo, tale da ricordare l’intelligenza propria degli esseri umani, L’accezione che di questa intelligenza artificiale viene data dal minestrone mainstream dell’informazione quotidiana è generalmente negativa: l’IA (l’acronimo di intelligenza artificiale) è pericolosa, trasforma la fantasia in realtà (come con il programma web Chatgpt) insidia l’essere umano, la sua unicità e potrebbe un giorno sostituire quello che non è sostituibile, ossia l’uomo stesso. Uno scenario da “Io robot” dell’immenso Isaac Asimov che, a differenza del capolavoro dello scienziato e scrittore americano di origini russe, si trasforma in una sorta di isteria pubblica, di ricerca di roghi e proibizioni, senza mai la fatica di capire e disciplinare un fenomeno, quello dell’incremento della potenza di calcolo dei computer, assolutamente ineludibile. Io da caparbio bastian contrario, insofferente allo stupido spiegone dell’informazione contemporanea, provo a esternare alcune  riflessioni sul tema. Primo punto: se l’essere umano è insostituibile ma c’è il rischio che la macchina possa sostituirlo ne deduco logicamente che tanto insostituibile poi non è. Può piacere o non piacere ma è proprio così. Quindi meglio regolare il fenomeno (come faceva Asimov nel già citato “Io robot) anziché strepitare su una inviolabilità che alla fine è violabile. Punto secondo. Ho sentito sproloqui in televisione di presunti esperti che paventano i pericoli, estremi, derivanti dal fatto che, ad esempio, al giudice in carne ed ossa si sostituisca un programma di Intelligenza Artificiale. Questi soloni conformisti non hanno fatto buone letture. E quindi gliene consiglio io una, una lettura che tutti, specie la classe dirigente che ci governa, dovrebbero fare. Il libro si chiama “Rumore” ed è stato scritto dal Premio Nobel per l’Economia Daniel Kahneman, insieme ad Olvier Sibony e Cass R; Sunstein. Un testo che ti apre la mente su quella che è la nostra realtà quotidiana. Tra le tante cose dimostra come il giudizio umano sia fallace, intrinsecamente pieno di pregiudizi e spesso del tutto inattendibili, anche se effettuato da persone sulla carta di grandissima professionalità. Due esempi proprio sui giudici, derivanti da analisi statistiche di migliaia e migliaia di sentenze. In Israele approssimandosi l’ora di pranzo invariabilmente i giudici negavano in modo marcatamente superiore al solito la libertà provvisoria a detenuti che ne facevano richiesta. Avevano fame e quindi erano molto più sbrigativi. Negli Stati Uniti, in una ricerca i cui esiti clamorosi furono pure approfonditi pure dal Congresso  americano si scoprì che per la stessa fattispecie di reato i giudici americani  avevano emesso sentenze di condanna che oscillavano da 2 settimane sino a 20 anni di carcere. Kahneman sostiene che i sistemi automatici, magari affinati e raffinati come l’intelligenza artificiale, possano fornire giudizi  meno influenzati dal pregiudizio umano e rappresentare una base affidabile di decisione, spesso di gran lunga  più affidabile del libero arbitrio umano, anche di quello più professionale. E quindi anziché cercare di fermare l’inevitabile, aizzare paure da film di fantascienza di serie B o C meglio farebbe la società ad organizzarsi, a creare percorsi in cui l’Intelligenza Artificiale, guidata sempre dall’uomo, possa rendere la vita dell’uomo migliore, meno dominata dalla paura dall’arbitrio dell’uomo stesso, una società più pacifica più efficiente e più affidabile.