Una tragedia eviatata grazie alla prontezza di riflessi di un poliziotto. L’episodio venerdì sera a Bari: un bambino di tre anni è stato salvato da un agente della Polfer che si apprestava a lasciare l’ufficio a fine turno. Il piccolo era sfuggito all’attenzione della mamma, una 24enne nigeriana che si trovava nel bar con un’amica, andandosi a cacciare in una situazione molto pericolosa.
Il piccolo, di appena tre anni, stava rincorrendo un treno in partenza; il poliziotto non ha esitato a raggiungere il piccolo e afferrarlo in modo tale da scongiurare, col suo intervento, una situazione di grave pericolo.
Il bambino è stato quindi riportato dalla sua mamma sano e salvo. foto di repertorio
La riapertura dell’anno scolastico purtroppo non è stata uguale er tutti. Primo giorno di scuola dalla Rianimazione dell’ospedale Mauriziano di Torino per un sedicenne affetto da una grave polmonite bilaterale. Il giovane, studente dell’Itis Primo Levi, era stato ricoverato venerdì. Gli esami hanno escluso il Covid: il miglioramento delle ultime ore gli ha permesso di affrontare le prime lezioni online. Il ragazzo sta meglio e ha potuto affrontare il primo giorno di scuola dall’ospedale
Una storia a lieto fine ed un gesto di generosità e professionalità. Una vigilante veneziana di 23 anni impiegata in questi giorni come operatrice di security alla fiera Voice di Vicenza, ha trovato un diamante di sei carati (150mila euro di valore) e l’ha restituito al legittimo proprietario, un imprenditore orafo. Non si conosce la dinamica che ha portato l’imprenditore a “perdere” il diamante da 6 carati.
Una situazione a dir poco imbarazzante. “Cara Azzolina, questi sono gli alunni di una classe genovese che scrivono in ginocchio perché non hanno i banchi che avevate promesso. E non sarebbero gli unici.” Inizia così una nota del il governatore ligure Giovanni Toti sulla sua pagina Facebook. L’immagine è stata inviata alle famiglie da un’insegnante, che voleva condividere con i genitori degli alunni la loro capacità di “adattamento”.
Alcuni genitori, però, hanno inviato quell’immagine alle testate giornalistiche, lo riporta Genova24.it.
Una storia ancora tutta da chiarire. Primo giorno di scuola con grave incidente durante la ricreazione: uno studente di 16 anni è caduto da un lucernario sul tetto attiguo all’istituto che frequenta a Sansepolcro (Arezzo). E’ stato trasportato con l’elisoccorso all’ospedale fiorentino di Careggi: ha riportato diversi traumi e fratture. Ancora da chiarire come mai il ragazzo si trovasse sul lucernario. Sul posto intervenuti 118, carabinieri e vigili del fuoco.
Sono numeri che non fanno presagire nulla di buono. E’ di 1.008 nuovi contagi e 14 vittime il bilancio dell’emergenza coronavirus in Italia nelle ultime 24 ore, con 45mila tamponi eseguiti (circa 27mila in meno rispetto al giorno precedente). Il numero totale dei casi sale così a 288.761. I pazienti in terapia intensiva sono 197 (+10), mentre i guariti da ieri sono 316. Ci sono poi 2.122 pazienti ricoverati con sintomi negli ospedali italiani, mentre 21.783 persone sono in isolamento domiciliare. Complessivamente gli attualmente positivi in Italia 39.187 persone (38.509 domenica).
Ancora un caso di incidente sul lavoro. Tragedia alla FCA di Mirafiori, dove un operaio di 49 anni sabato mattina è morto in seguito a un incidente sul lavoro risalente a giovedì pomeriggio.
E’ deceduto per un’emorragia interna all’ospedale Cto dov’era stato ricoverato giovedì pomeriggio; l’uomo era dipendente di una ditta esterna che lavora per Fenice, l’azienda che gestisce le attività termoelettriche di tutto il comprensorio di Fca. Trasportato all’ospedale dai medici del 118 per una frattura al femore, si è aggravato il giorno successivo al ricovero ed è morto due mattine fa.
a) La pandemia costringe a misure estreme. Oltre 4mila contagi al giorno in Israele, il governo impone alla popolazione un nuovo lockdown di almeno tre settimane;
b) Oggi la riapertura delle scuole , il vero banco di prova contro l’epidemia. La scuola riparte per 5,6 milioni di studenti in Italia: mascherina obbligatoria durante gli spostamenti ma non da seduti;
c) Nell’ultimo giorno registrati in tutto il mondo 307.930 nuovi casi di coronavirus: è il dato più alto dall’inizio della pandemia, fa sapere l’OMS.
Il mercato dei trasporti marittimi viaggia a gran velocità verso l’adozione di un’automazione spinta e una progressiva riduzione degli equipaggi a bordo. L’effetto Covid – secondo un’analisi comparata dei più recenti studi in materia, condotta da BlueMonitorLab – ha impresso un’ulteriore accelerazione alla progettazione non tanto delle unmanned vessels, quanto alla realizzazione di sale di controllo di terra che siano in grado di definire e “ordinare” alla nave l’adozione dei parametri più convenienti, più sicuri e più sostenibili, nella sua gestione in navigazione. Ciò con effetti particolarmente rilevanti in tema di consumo di carburante, adozione delle rotte più safe e meno impattanti sulla nave, anche attraverso un’analisi costante delle condizioni meteo-marine e quindi un adattamento “in remoto” delle rotte. Con una previsione di incremento dell’interscambio via mare di oltre un terzo entro il 2030 (superando i 74 miliardi di tonnellate miglia), il processo di automazione navale e di conseguente riduzione nel numero dei componenti dell’equipaggio, dovrebbe procedere di pari passo anche per incidere in modo determinante su quella percentuale del 90% degli incidenti e delle collisioni in mare che sono riconducibili all’errore umano e che – secondo le più recenti proiezioni effettuate nel mercato assicurativo – si traducono in claims e danni quantificabili in 1,4 miliardi di dollari all’anno. Secondo quanto dichiarato recentemente dal presidente Marine di Rolls-Royce, Mikael Makinen, l’entrata in esercizio delle “smart vessels”, le navi intelligenti gestite attraverso un costante interfaccia con control room a terra, sarà in grado di migliorare del 90% le performance economiche dell’industria logistica e marittima e di incrementare in modo significativo il fatturato del settore.
Come sottolineato in una recente ricerca di Nautix, mentre l’utilizzo di personale low cost a bordo delle navi, con tutte le conseguenze derivate in termini di standard di sicurezza, ha generato un risparmio sul costo del lavoro pari a circa il 60%, l’automazione spinta potrebbe ridurre del 90% il costo del lavoro diretto on board, generando tuttavia altre filiere occupazionali. Il mercato delle navi a forte automazione dovrebbe crescere da 5,5 miliardi del 2018 a 12,5 miliardi nel 2030 per poi registrare una vera e propria impennata, impattando sulla sicurezza, sulla capacità di monitorare le condizioni del carico, di implementare misure di risparmio energetico, garantire la migliore performance dei motori, ridurre l’errore umano e aumentare la capacità di carico delle navi grazie a equipaggi molto ridotti.
“Lo sviluppo di questo settore nel quale sono già stati investiti 25 milioni di euro in progetti come Sea Machines Robotics, EU’s MUNIN, SINTEF’s Seatonomy, e Rolls-Royce’s Advanced Autonomous Waterborne Applications Initiative – secondo Giampiero Soncini (uno dei maggiori esperti di automazione e specialmente di controllo remoto delle navi) – sarà garantito in particolare dalla concentrazione degli sforzi in atto sulle control rooms a terra che consentiranno di monitorare h24, tutti i movimenti della flotta di una determinata compagnia, ottimizzando rotte, consumi di carburante e persino scelta dei porti in grado di garantire le migliori condizioni di movimentazione del carico, specie su una nave senza o con equipaggio ridotto”.
Ma non sono tutte rose: secondo la World Maritime University difficilmente potranno essere trovate e ufficializzate dalle organizzazioni internazionali, le nuove regole per la gestione di navi senza equipaggio o con equipaggio ridottissimo. Le caratteristiche tecniche, professionali e di formazione dei marittimi dovranno essere infatti rivoluzionate in funzione della gestione pratica di queste navi che potranno richiedere interventi sul sistema motore guidati da terra, ma anche la capacità di fronteggiare emergenze come quelle determinate da cyber attacks o, più semplicemente da improvvisi cambi di rotta, conseguenza di inattesi eventi meteo. Secondo un report della World Maritime University, rilanciato dal sindacato ITF, l’introduzione di navi a forte automazione potrebbe produrre una riduzione del 22% nell’offerta di tradizionale lavoro marittimo entro il 2040, ma l’ITF non tiene conto dell’effetto crescita del mercato indiretto, rappresentato ad esempio dalle task forces, guidate da direttori marittimi e direttori di macchina, che in ogni porto di scalo dovranno essere in grado di effettuare i controlli sui sistemi di automazione e sugli impianti di propulsione e navigazione a bordo delle unità automatizzate. Di certo si tratterà di un salto nel futuro. La International Chamber of Shipping non ha mancato di sottolineare i “danni collaterali” degli equipaggi ridotti, in termini di solitudine a bordo, scarse interrelazioni umane e persino depressione.
Tornando alle navi senza o con scarsissimi componenti di equipaggio, mentre il mezzo navale sta prendendo forma in vari centri di ricerca in Gran Bretagna, Stati Uniti, Cina e Giappone, le control room ovvero un’Intelligent transport system vede all’avanguardia i tecnici giapponesi, in stretta collaborazione con AMOS, Autonomous Marine Operations and Systems, fondato nel 2013 dal Dipartimento di Marine Technology and Engineering Cybernetics della Norwegian University of Science and Technology (NTNU) . AMOS (da non confondere con il software omonimo) è attualmente impegnato prioritariamente su un progetto di piattaforma robotica per operazioni marittime sui temi di: guidance, navigation and control of unmanned ships, underwater vehicles, aerial vehicles, and small-satellite systems.
Si è svolto ieri l’incontro Webinar organizzato da Compag (la federazione nazionale delle rivendite agrarie) intitolato “Mais: Progetti e sinergie per il rilancio” e incentrato sulle modalità applicative dei nuovi strumenti a supporto della filiera maidicola: il fondo competitività delle filiere istituito dal Mipaaf e l’accordo quadro mais, allo scopo di spiegare nella pratica questi due strumenti (già operativi) e, al contempo, cercare di capire i possibili risvolti per l’intera filiera. E’ nota l’importanza del mais per il settore agro-alimentare italiano, tuttavia la superficie dedicata alla coltivazione di questo prezioso cereale è andata quasi dimezzandosi negli ultimi 20 anni, passando da circa 1 milione di ettari della fine degli anni ’90 agli attuali 600.000 ettari. Ciò si è tradotto, prevedibilmente, in una forte dipendenza dalle importazioni (per circa la metà del fabbisogno nazionale). Fortunatamente, di recente si è registrata una lieve inversione di tendenza. Compag, infatti, è si è resa promotrice di due nuove iniziative (a disposizione di tutti gli operatori coinvolti nella coltivazione, commercializzazione e trasformazione del mais) nate per dare ulteriore impulso a questa coltura: l’accordo quadro mais sviluppato in sinergia da ben 10 associazioni in rappresentanza di tutta la filiera e il fondo competitività delle filiere istituito dal Mipaaf. Introdotto dal moderatore Alessando Maresca, coordinatore di Agricommercio, il Segretario del comitato cereali di Compag Edoardo Musarò ha spiegato come l’accordo quadro mais, pensato per incentivare una produzione sostenibile di mais nazionale destinato ad uso zootecnico con elevate caratteristiche qualitative, consente anche una maggiore programmazione produttiva oltre alla stipula di contratti di filiera che contribuiscano a ridurre o diversificare le fluttuazioni di prezzo. In merito al fondo competitività delle filiere, Musarò ha poi chiarito che quello 2020-2021, gestito da AGEA, vede come diretti beneficiari le imprese agricole che abbiano stipulato dei contratti di filiera almeno triennali (attestanti la volontà di impegno) e la possibilità di integrare questi ultimi con accordi annuali. “In base al decreto fondo filiere sono stati stanziati” specifica Musarò “5 milioni di Euro per il 2020 e 6 milioni per il 2021 per il mais, e 4,5 milioni per ciascun anno per soia e legumi, offrendo un aiuto fino a 100 € per ettaro per un massimo di 50 ettari”.
Molto incisivo l’intervento del Presidente dell’Associazione dei Maiscoltori italiani Cesare Soldi, il quale ha ricordato come la partita in atto abbia dinamiche internazionali, ma con criticità tutte italiane (dalle condizioni biotiche ai vincoli normativi nazionali). L’aspetto positivo della crisi, rilevato da più relatori, è stata la voglia di incontrarsi e confrontarsi per trovare una soluzione congiunta alle numerose criticità da parte di tutti gli operatori. Il tavolo tecnico che ne è seguito ha definito tre linee guida:
La promozione e il sostegno dei contratti di filiera attraverso un’azione sinergica
L’aumento della competitività del settore attraverso la ricerca e l’innovazione
La promozione di efficienti politiche nazionali e comunitarie
Il rilancio sarà possibile solo se tutte queste azioni verranno sostenute. “Con un costo di produzione di 178€ a tonnellata e un prezzo all’agricoltore di circa 166€ a tonnellata, siamo in una situazione di sottocosto, quindi i contratti di filiera e l’accordo quadro rappresentano delle buone opportunità per l’agricoltore perché per la prima volta non sono i costi ed essere analizzati ma il prezzo, le premialità. E un prezzo minimo garantito potrebbe essere un buon incentivo all’adesione ai contratti di filiera, così come la riduzione dei tempi di pagamento” ha affermato Soldi. Bisogna però soprattutto evitare di ingannare il consumatore sulla fonte del proprio cibo: l’Italia è oggi importatore per più di metà del proprio fabbisogno di mais, che viene importato spesso da paesi dove vengono usate sostanze attive che in Italia non sono ammesse.. Importante (ma spesso trascurato) anello di congiunzione tra il mondo degli agricoltori e quello dell’industria, il settore degli stoccatori è stato rappresentato da Fabio Manara, presidente di Compag, il quale ha sottolineato che, a causa dell’emergenza Covid, è stata ritardata la divulgazione e applicazione dell’accordo quadro. “Un altro aspetto degno di nota” afferma Manara “è che l’aiuto massimo di 100€ per ettaro può andare bene per cereali come il grano duro, mentre dovrebbe essere aumentato per il mais, che ha costi colturali superiori. La pandemia ha sensibilizzato i governi sulla dipendenza dall’estero e l’importanza dell’autosufficienza alimentare. Per quanto riguarda il mais, dovremo affrontare con il governo la questione del futuro dei contratti di filiera per il periodo 2022-24 e cercheremo di sensibilizzarlo per raggiungere una maggiore autosufficienza”.
Anche Assalzoo, tramite il responsabile dell’area economica Giulio Usai, ha sottolineato l’importanza del mais per la zootecnia nazionale e, di conseguenza, per le produzioni di eccellenza del nostro Paese. “Assalzoo ha sempre denunciato la mancanza di attenzione rispetto a questa problematica: oggi la nostra dipendenza dal mais è passata da poche migliaia di tonnellate a vari milioni di tonnellate di mais annue” dice Usai, elencando i primi risultati del lavoro di filiera: “L’accordo quadro mais è un primo punto di partenza, una presa di consapevolezza riguardo alle difficoltà vissute in particolare dagli agricoltori. L’industria ha capito la necessità di aiutare, ma lo sforzo va allargato all’intera filiera. Si è capito poi che l’aiuto per ettaro può essere solo un primo passaggio. Sono necessari interventi maggiori. La filiera sta facendo molto, ma a livello politico sono necessarie delle decisioni e degli strumenti innovativi, come le biotecnologie, per essere competitivi. Il fabbisogno di mais è di 14 milioni di tonnellate, di cui 7 milioni vengono assorbiti dall’industria e altri 8-9 dall’alimentazione animale. Stando così le cose, a rischiare sono soprattutto le DOP per le quali è necessario garantire che gli animali vengano nutriti almeno per il 50% con granella di mais nazionale, quindi non dobbiamo permettere che la produzione attuale scenda sotto questa soglia, che è già minima. Il mais ha una criticità tale per cui non ci possiamo permettere di trascurarlo”.
Positiva la conclusione a cura del presidente di Compag Fabio Manara: “Abbiamo costituito un tavolo operativo e stiamo aggiustando il tiro per i prossimi anni affinché questa filiera diventi sempre più organizzata”. C’è speranza. E viene dal dialogo e dalla collaborazione. www.compag.org.
“L’accordo quadro mais è un primo punto di partenza, una presa di consapevolezza riguardo alle difficoltà vissute in particolare dagli agricoltori. L’industria ha capito la necessità di aiutare, ma lo sforzo va allargato all’intera filiera. Si è capito poi che l’aiuto per ettaro può essere solo un primo passaggio. Sono necessari interventi maggiori. La filiera sta facendo molto, ma a livello politico sono necessarie delle decisioni e degli strumenti innovativi, come le biotecnologie, per essere competitivi. Il fabbisogno di mais è di 14 milioni di tonnellate, di cui 7 milioni vengono assorbiti dall’industria e altri 8-9 dall’alimentazione animale. Stando così le cose, a rischiare sono soprattutto le DOP per le quali è necessario garantire che gli animali vengano nutriti almeno per il 50% con granella di mais nazionale, quindi non dobbiamo permettere che la produzione attuale scenda sotto questa soglia, che è già minima. Il mais ha una criticità tale per cui non ci possiamo permettere di trascurarlo”.
Positiva la conclusione a cura del presidente di Compag Fabio Manara: “Abbiamo costituito un tavolo operativo e stiamo aggiustando il tiro per i prossimi anni affinché questa filiera diventi sempre più organizzata”. C’è speranza. E viene dal dialogo e dalla collaborazione. www.compag.org.
“L’accordo quadro mais è un primo punto di partenza, una presa di consapevolezza riguardo alle difficoltà vissute in particolare dagli agricoltori. L’industria ha capito la necessità di aiutare, ma lo sforzo va allargato all’intera filiera. Si è capito poi che l’aiuto per ettaro può essere solo un primo passaggio. Sono necessari interventi maggiori. La filiera sta facendo molto, ma a livello politico sono necessarie delle decisioni e degli strumenti innovativi, come le biotecnologie, per essere competitivi. Il fabbisogno di mais è di 14 milioni di tonnellate, di cui 7 milioni vengono assorbiti dall’industria e altri 8-9 dall’alimentazione animale. Stando così le cose, a rischiare sono soprattutto le DOP per le quali è necessario garantire che gli animali vengano nutriti almeno per il 50% con granella di mais nazionale, quindi non dobbiamo permettere che la produzione attuale scenda sotto questa soglia, che è già minima. Il mais ha una criticità tale per cui non ci possiamo permettere di trascurarlo”.
Positiva la conclusione a cura del presidente di Compag Fabio Manara: “Abbiamo costituito un tavolo operativo e stiamo aggiustando il tiro per i prossimi anni affinché questa filiera diventi sempre più organizzata”. C’è speranza. E viene dal dialogo e dalla collaborazione. www.compag.org.