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Lavoro/ In Italia anche le alte professionalità hanno stipendi da fame

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Alfredo Magnifico

Dal 1990 le paghe dei lavoratori non fanno che andare indietro, al contrario aumentano negli altri paesi, in Italia sale solo il costo della vita e delle case.

La questione salariale riguarda non solo i lavoratori a bassa qualifica ma anche i lavoratori qualificati, spesso incastrati in percorsi di carriera congelati, con salari bassi e rarissime promozioni, di questi solo il 9% dei dipendenti full time ha una busta paga sopra i 40mila euro lordi, poche aziende provano a trattenere i propri talenti con aumenti di salario e promozioni di carriera.

Quando si parla di redditi insoddisfacenti, il riferimento corre ai pensionati, ma la caduta degli stipendi, ininterrotta ormai da decenni, è il segno di come ormai si sia bloccato l’ascensore sociale.

Per la grande maggioranza dei lavoratori italiani il problema è che è sempre più difficile ottenere aumenti e avanzamenti di carriera:

·        solo il 34% sente di poter parlare liberamente con il proprio capo delle aspettative di carriera

·        quasi metà (49%) in passato ha richiesto al proprio capo un miglioramento di condizioni o retribuzione, senza ottenerlo

·        nel 60% dei casi, il datore di lavoro italiano non parla mai di possibilità di avanzamento di carriera.

Da trent’anni in tarlo sta divorando i salari degli italiani, la politica in tutt’altre faccende affaccendata, sembra ignorarlo, poi la statistica dell’Ocse fa scoprire la verità; gli italiani, a parità di lavoro e di gradi gerarchici, guadagnano meno, molto meno dei colleghi tedeschi, francesi, spagnoli.

L’Ocse calcola che, a parità di potere d’acquisto, il salario medio di un lavoratore italiano dal 1990 a oggi è sceso del 2,9%, mentre nello stesso arco di tempo, in Francia e in Germania i salari medi sono cresciuti più del 30% e negli Stati Uniti di quasi il 40%.

A Milano, dove gli stipendi sono tra i più alti d’Italia con una media di 35 mila euro all’anno, ogni lavoratore dal 1990 ha perso in busta paga qualcosa come 1.000 euro, la sua ricchezza è diminuita, invece di aumentare, e nel frattempo i prezzi per acquistare o affittare una casa sono triplicati, e anche l’aumento della spesa è andato ben oltre il tasso annuo di inflazione.

Il problema dei bassi salari c’è ovunque, anche nel lavoro qualificato, e potrebbe essere causato da una mancanza di concorrenza tra imprese nel procacciarsi i lavoratori, per dirla più chiaramente: possono permettersi di pagarli poco.

Il problema dei salari bassi italiani riguarda la mancanza tra i lavoratori full time di posizioni alte, con pochi salari sopra i 40mila euro lordi annui, nel 2021 solo il 9% aveva una busta paga sopra questa cifra.

Le motivazioni sono diverse:

·        l’incapacità dell’Italia di attrarre nuove imprese per aumentare la concorrenza,

·        la difficoltà delle aziende medie e grandi di rinnovare le gerarchie aziendali, offrendo retribuzioni e percorsi di carriera stimolanti

·        i giovani che, da vent’anni, sono sempre più spinti in fondo alle piramidi aziendali,

·        i più anziani che restano al comando con stipendi più alti.

Non meravigliamoci se i manager italiani emigrati all’estero non hanno nessuna voglia di tornare in Italia. Solo il 22,8% dice di vuole rientrare, la metà di dieci anni fa, per l’80% lavorare all’estero premia il merito, al contrario dell’Italia, e tre su cinque ritengono di poter cogliere maggiori opportunità di crescita professionale fuori dai confini nazionali.

I lavoratori guadagnano sempre meno, ma questo problema non sembra interessare più di tanto chi potrebbe incidere per invertire la rotta. Da decenni, proprio in concomitanza della caduta verticale del potere d’acquisto dei salari, nessuno si occupa più di quella che una volta si chiamava «la politica dei redditi». Interventi a difesa del potere d’acquisto dello stipendio.

I sindacati scattano con mobilitazioni se si paventa, il rischio di un intervento sulle pensioni, che, ormai, formano la maggioranza degli iscritti, purtroppo la voce dei lavoratori dipendenti diventa sempre più flebile.

Gli strumenti di difesa che i lavoratori sono riusciti a mettere in campo, riguardano; la loro straordinaria capacità di adattamento, attingendo dai risparmi, oppure mettendo a reddito qualcosa del loro patrimonio, per esempio la seconda casa, poi c’è il lavoro nero, o sommerso che dilaga anche in materia di premi che gli imprenditori sono ben contenti di dare sotto questa forma. e infine il doppio lavoro.

La domanda che sorge spontanea è; “cosa fare per alzare gli stipendi?”

Ci sono tre azioni possibili, tutte di natura politica;ridurre il cuneo fiscale, la differenza tra i soldi pagati dall’imprenditore e quelli incassati dal lavoratore (in pratica le tasse sugli stipendi), a favore dei dipendenti, riprendere a tessere una vera politica dei redditi, che proponga sia il tema dell’aumento degli stipendi, sia l’equità salariale tra uomo e donna e sia il pagamento minimo per un’ora di lavoro.

Infine, bisognerebbe ragionare di più sulla possibilità di “Lavorare tutti, lavorare meno”, un vecchio slogan dietro il quale c’è una precisa scelta politica che, se fosse possibile realizzare, porterebbe a un aumento di fatto dell’occupazione e degli stipendi.

Alfredo Magnifico

Russia/ Perde l’equilibrio durante un selfie, influencer cade nel vuoto e muore

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Un’imprudenza che è costata la vita ad una giovane influencer.

Voleva scattare una foto su una piattaforma panoramica a Gagra, in Georgia, sul Mar Nero. Ma ha perso l’equilibrio ed è precipitata nel vuoto. È morta così a 39 anni una influencer russa.

Il video dell’incidente, ripreso da alcune telecamere di sorveglianza, è diventato virale e mostra proprio il momento in cui la donna perde l’equilibrio e scivola dalla piattaforma.

Successivamente, nello stesso filmato, si vede un uomo che le corre dietro per tentare di salvarla, senza successo.

Malattie del cuore, in Italia provocano una morte su 3

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(Adnkronos) – "Le malattie cardio, cerebro e vascolari, che rappresentano ancora oggi la prima causa di mortalità in Italia con oltre 216.000 decessi nel 2021 pari al 31% dei decessi complessivi avvenuti nel nostro Paese, sono al centro, nelle ultime settimane di un vivace dibattito parlamentare con diverse risoluzioni che evidenziano la necessità di un Piano nazionale dedicato a queste patologie, come sta avvenendo in altri Paesi europei". E' quanto hanno evidenziato gli esperti intervenuti all'evento 'Cardiovascular Health for All – Quali prospettive per l’Italia', realizzata da Meridiano Cardio, la piattaforma di discussione e dialogo sulle patologie cardio, cerebro e vascolari di The European House – Ambrosetti (Teha), in collaborazione con l’Intergruppo Parlamentare per le malattie cardio, cerebro e vascolari. "Oggi queste patologie hanno impatti importanti in termini di elevate mortalità, incidenza, prevalenza, su cui incidono fattori di rischio e sindromi concomitanti – il rischio di contrarre malattie cardiovascolari, ad esempio si manifesta con una probabilità più elevata nella popolazione con malattie metaboliche (fino a 4 volte maggiore nella popolazione diabetica) – e hanno un significativo 'burden' economico (42 miliardi di euro l’anno tra costi sanitari diretti e costi indiretti)", hanno ricordato gli esperti.  La richiesta di un Piano, "che assicura una visione unitaria e condivisa tra i vari stakeholder", va nella direzione di "migliorare la gestione di questi pazienti e conseguentemente i loro risultati di salute, attraverso una serie di interventi in alcuni ambiti prioritari di intervento". Meridiano Cardio ha individuato 6 ambiti prioritari, tra cui: le attività di prevenzione primaria e secondaria e di diagnosi precoce, l’accesso all’innovazione tecnologica e farmacologica, l’aderenza terapeutica, la telemedicina e gli altri strumenti di sanità digitale, la continuità di cura tra i diversi setting assistenziali e il coinvolgimento ed empowerment del paziente. “Gli indicatori sono non solo uno strumento di monitoraggio ma anche uno strumento di indirizzo e programmazione. Se non definiamo per ciascun ambito di intervento degli indicatori di monitoraggio, non sapremo mai se le azioni implementate a livello locale e regionale abbiano consentito un miglioramento dello stato di salute della popolazione e di migliorare l’efficacia e l’efficienza del sistema. – ha affermato la Senatrice Elena Murelli, Promotrice dell’Intergruppo Parlamentare per le malattie cardio, cerebro e vascolari. Gli indicatori, infatti, misurando i cambiamenti che si verificano nei fenomeni che osserviamo, permettono di orientare i processi decisionali".  
Negli anni sono stati sviluppati numerosi indicatori riferiti alle patologie cardio, cerebro e vascolari da parte di Agenas con il Piano Nazionale Esiti e il monitoraggio della Rete cardiologica, e del Ministero della Salute, attraverso il Nuovo sistema di garanzia (Nsg) per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria. Il Gruppo di lavoro di Meridiano Cardio ha censito un totale di 75 indicatori, ben 46 riguardano l’ambito cardiologico, 20 l’ambito vascolare e 9 l’ambito cerebrovascolare. Focalizzando l’attenzione sull’ambito cardiologico, che è stato oggetto dell’incontro, 32 indicatori si riferiscono all’ambito ospedaliero, vale a dire alle procedure cardio-chirurgiche e alla gestione dell’Ima in fase acuta, e 14 al territorio, alla gestione della fase post-infarto e dello scompenso cardiaco. "La rete dell’infarto miocardico acuto in Italia funziona garantendo circa 600 interventi di angioplastica per milione di abitanti in modo abbastanza omogeneo sul territorio nazionale e questo anche grazie al Piano nazionale esiti di Agenas che ha stimolato l’implementazione della rete e delle procedure in urgenza – ha aggiunto Giuseppe Musumeci, coordinatore Scientifico del Gruppo Tecnico per l’elaborazione di proposte per l’attuazione e l’evoluzione della rete cardiologica per l’emergenza di Agenas – Gli attuali indicatori che riguardano gli interventi sulle valvole cardiache non tengono però conto della recente introduzione delle tecniche mini-invasive (Tavi e clip mitraliche) operate dai cardiologi interventisti alternative alle tecniche tradizionali di cardiochirurgia. È fondamentale quindi implementare degli indicatori di volume ed esiti di queste tecniche mini-invasive in modo da poter distinguere le due tipologie di interventi e monitorare gli outcome di questi interventi (che attualmente sono circa un terzo delle procedure totali) per garantire volumi ed esiti eccellenti ed omogenei sul territorio nazionale”. "Recentemente il gruppo tecnico di Agenas, partendo dai risultati positivi ottenuti dalla rete dell’urgenza cardiologica, ha individuato 4 nuovi indicatori per migliorare i risultati oggi meno incoraggianti nella gestione del paziente dopo l’evento acuto. Sono infatti rilevanti: l’individuazione dei pazienti ad alto rischio ischemico residuo, in particolare quelli con ridotta funzione cardiaca, l’avvio a un programma di riabilitazione cardiaca e il raggiungimento del target lipidico – ha affermato Fabrizio Oliva, presidente di Anmco – Nell’ambito dello scompenso cardiaco oltre al mantenimento dell’indicatore di processo riguardante l’ospedalizzazione sarebbe importante monitorare l’utilizzo dei trattamenti farmacologici raccomandati che hanno dimostrato di modificare positivamente la prognosi di questi pazienti". Dalla mappatura realizzata da Meridiano Cardio, "si rileva nuovamente come l’assistenza territoriale sia sottodimensionata in termini di indicatori monitorati. Dopo la recente introduzione di indicatori di prevenzione secondaria, continuano a mancare indicatori relativi alla diagnosi precoce, all’aderenza terapeutica e alla telemedicina – ha sottolineato Pasquale Perrone Filardi, presidente di Società italiana Cardiologia – L’individuazione anche per questi ambiti di indicatori misurabili che guardino a screening cardiologici, semplificazione delle terapie – anche attraverso il ricorso alle associazioni fisse – e utilizzo della telemedicina, è fondamentale per migliorare la gestione dei pazienti e contribuire alla sostenibilità del Ssn".  —[email protected] (Web Info)

Cronaca nazionale/ Volano i pannelli da una tettoia, grave un 28enne

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FOTO DI REPERTORIO

Sono momenti di apprensione per le sorti di un ragazzo.

Incidente a Cinisello Balsamo, in provincia di Milano. Alcuni pannelli di legno sono volati da una tettoia e hanno colpito una persona che è ricoverata in gravissime condizioni.

Oltre agli operatori sanitari del 118, sono intervenuti i vigili del fuoco e gli agenti della polizia locale.
L’uomo ha riportato un trauma cranico e uno al volto: è stato trasferito in codice rosso all’ospedale di Cinisello Balsamo.

Foto di repertorio

Denti più bianchi? Ecco come fare

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(Adnkronos) –
Denti più bianchi per un sorriso senza macchia. "Lo sbiancamento è una procedura di odontoiatria estetica che sta vivendo una fase di grande richiesta": la chiedono al dentista "ogni anno almeno 120mila italiani", ansiosi di "schiarire il colore dei denti che si macchiano e ingialliscono a causa del consumo dello smalto e dell'azione colorante del fumo e di alcuni alimenti, come il caffè, il tè, il vino rosso, i succhi di frutta al mirtillo". Il dato è emerso durante l'ultimo Congresso dell'Accademia italiana di odontoiatria conservativa e restaurativa (Aic), durante il quale è stato presentato uno studio secondo cui "oltre la metà dei pazienti intervistati è insoddisfatta del colore dei propri denti". Lo ricordano gli esperti di 'Dottore, ma è vero che?', il portale anti-fake news curato dalla Federazione nazionale Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.  Come fare a sbiancarsi i denti in sicurezza? Per rispondere alla domanda i dottori anti-bufala fanno innanzitutto chiarezza sui dentifrici sbiancanti che "sempre più spesso si trovano in farmacia o negli scaffali dei supermercati" e hanno "la pasta scurissima, data dalla presenza del carbone attivo vegetale. Può essere vero che la sua elevata capacità assorbente contribuisca a rimuovere la placca, il tartaro e le altre sostanze che rovinano il bianco naturale dei denti", però "non si può non considerare l'azione abrasiva del prodotto, che a lungo andare potrebbe rovinare in modo permanente lo smalto", avvertono gli esperti. "La polvere di carbone ha un certo effetto abrasivo e quindi può favorire lo sbiancamento dei denti per eliminazione di colorazioni superficiali acquisite", ammette Edoardo Baldoni, professore ordinario di Malattie odontostomatologiche all'università degli Studi di Sassari. "Non è in grado di eliminare le colorazioni profonde, ma potrebbe essere di aiuto per combattere l'alitosi. Tuttavia – precisa – non esistono ancora studi scientifici affidabili (randomizzati e controllati) che confermino entrambe queste caratteristiche, anche perché la disponibilità del prodotto sotto forma di pasta dentifricia è relativamente recente". Secondo uno studio pubblicato su 'The Journal of the American Dental Association', spiegano i medici, "non ci sono prove scientifiche che dimostrino l'efficacia del carbone attivo per la pulizia e lo sbiancamento dentale. Gli autori hanno condotto una revisione della letteratura per esaminare l'efficacia e la sicurezza dei dentifrici a base di carbone, arrivando a identificare 118 articoli potenzialmente idonei. Nessuno degli è risultato abbastanza convincente e la ricerca ha dimostrato che non ci sono prove sufficienti a sostegno della sicurezza e dell'efficacia dei dentifrici a base di carbone attivo. Sono necessari studi più ampi per stabilire prove conclusive e nel frattempo si consiglia di non utilizzarlo". Cosa fare allora? Per Baldoni, illustrano i dottori anti-bufale, "la prima cosa da fare è una seduta di igiene orale professionale per eliminare dai denti placca batterica, tartaro e macchie superficiali. A seguire, si possono valutare tre possibilità. La prima è l'impiego prolungato di dentifrici sbiancanti, facendo attenzione a evitare quelli troppo abrasivi che potrebbero alla lunga danneggiare lo smalto. La seconda è utilizzare prodotti chimici sbiancanti sotto forma di pennellini applicatori, striscioline o mascherine da applicare sui denti per alcuni minuti ogni giorno, fino a raggiungere la colorazione desiderata; il prodotto migliore e la modalità più idonea devono essere consigliati individualmente dall'odontoiatra o dall'igienista dentale. La terza possibilità è sottoporsi a sedute professionali di sbiancamento con l'impiego di sostanze a base di perossidi a maggior concentrazione, con l'aiuto o meno di luci a particolari frequenze, che consentono in tempi più rapidi l'eliminazione di decolorazioni anche profonde e persistenti". E' invece "assolutamente sconsigliato l'utilizzo di metodi 'fai da te' senza aver consultato prima il proprio dentista". Ma avere denti bianchi equivale e ad avere denti sani? "La colorazione naturale dei denti – risponde Baldoni – è correlata geneticamente con quella della pelle, degli occhi e dei capelli. Avere denti di colorazione uniformemente più intensa non vuol dire che non siano sani, ma la presenza di singoli denti con riflessi grigiastri o macchie scure può segnalare la presenza di carie o infiltrazioni. Al contrario, la presenza di aree gessose o macchie bianche può significare che ci sono alterazioni dello smalto, che possono essere congenite o acquisite. Da ricordare, infine, che i denti naturali non hanno mai una colorazione uniforme in tutte le zone della corona e non tutti i denti sono dello stesso identico colore nelle varie zone della bocca. Ad esempio, i canini hanno sempre un tono più intenso di tutti gli altri. Attualmente sono di moda, o comunque graditi e socialmente apprezzati – osserva lo specialista – denti resi artificialmente molto uniformi e molto bianchi, ma che raramente si ritrovano in natura". —[email protected] (Web Info)

Palou de Comasema (Merck Italia): “Importante dialogo fra generazioni”

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(Adnkronos) – “In un progetto di questo tipo è fondamentale la presenza di tutte le generazioni: prima di tutto dobbiamo capire la differente prospettiva delle diverse generazioni circa il concetto di salute. Secondo la percezione della generazione senior, la salute è solamente fisica, mentre per le nuove generazioni la salute è anche mentale. Questa percezione deve aiutare l'industria farmaceutica Merck a sviluppare le innovazioni. Noi abbiamo quattro diverse generazioni da integrare, ma prima dobbiamo capirne le diverse prospettive”. Così Ramon Palou de Comasema, presidente e amministratore delegato healthcare di Merck Italia, ieri a Roma, nel corso di del convegno ‘Emerging healthcare trends. A closer look across generations’ che ha visto la presentazione della ricerca realizzata dalla Luiss in collaborazione con Merck Italia che ha fotografato l’evoluzione del concetto di salute nelle generazioni italiane. —[email protected] (Web Info)

Costabile (Luiss X.Ite): “Cambia il concetto di salute in base alle generazioni”

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(Adnkronos) – "L'età incide sulle diverse dimensioni della salute. Le generazioni più avanti negli anni sono maggiormente sensibili alla salute fisica, relativamente meno le nuove generazioni. La salute mentale è sempre più sociale, relazionale, strettamente interconnessa con concetti come il benessere familiare e professionale. La sensibilità tra le generazioni cambia, così come cambia il mix tra cura e attenzione. Su tutto questo gioca un ruolo fondamentale la diffusione delle tecnologie, non tanto quelle legate al mondo della scienza, quanto quelle di consumo, che aiutano i singoli a prendersi più cura di se stessi”. Lo ha detto Michele Costabile, direttore Centro di ricerca Luiss X.Ite, ieri a Roma, in occasione del convegno ‘Emerging healthcare trends. A closer look across generations', nel corso del quale sono stati presentati i dati della ricerca realizzata dalla Luiss (Centro di Ricerca Luiss – X.ite su tecnologie e comportamenti di mercato), in collaborazione con Merck Italia. —[email protected] (Web Info)

Diete vegetariana e vegana più sostenibili di mediterranea: indagine Altroconsumo

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(Adnkronos) – La dieta vegetariana e quella vegana generano un impatto minore sull’ambiente rispetto alla dieta mediterranea e sono anche maggiormente sostenibili sul piano economico, data l’esclusione di carne e pesce. Sono i principali risultati di un’indagine condotta da Altroconsumo sulla sostenibilità di tre diverse diete: mediterranea, vegetariana e vegana. La dieta giusta – spiega una nota – può quindi prevenire malattie anziché curarle, ma anche ridurre il proprio impatto ambientale proprio consumando alimenti più sostenibili, valorizzando al massimo i prodotti vegetali e stagionali e riducendo il consumo di carne e di latticini, visto che la loro produzione genera una ingente quantità di gas serra. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite di dicembre 2023, la filiera alimentate è infatti responsabile del 30% delle emissioni di gas serra e queste sono causate al 60% circa dai prodotti animali. Altroconsumo ha quindi chiesto a un nutrizionista di costituire tre diete equilibrate dal punto di vista nutrizionale per un individuo medio con un apporto calorico giornaliero di 2 mila kcal. Sulla base degli alimenti e delle quantità fornite per ciascuna dieta, è stato calcolato il costo e l’impatto ambientale delle diete per poi metterle a confronto. Secondo le analisi condotte da Altroconsumo una persona adulta che segue la dieta mediterranea ogni settimana produce 15 kg di CO₂ equivalente, e consuma 19 mq di suolo e 1.880 litri di acqua. La dieta vegana, invece, è quella che complessivamente ha il minor impatto ambientale. Infatti, pesa il 32% in meno di quella mediterranea e il 18% in meno di quella vegetariana. Questo perché non prevede alimenti di origine animale e si basa sul consumo di cereali, legumi, verdura e frutta (fresca e secca), oli e bevande vegetali e semi. Infatti, una persona adulta che segue la dieta vegana ogni settimana produce 8 kg di CO₂ equivalente, consuma 15 mq di suolo e 1.810 litri di acqua. La dieta vegetariana, rispetto a quella vegana, che prevede anche uova e latticini, consuma però più acqua, anche rispetto alla dieta mediterranea, per la presenza di formaggi. Infatti, un adulto che segue la dieta vegetariana ogni settimana produce 11 kg di CO₂ equivalente, 17 mq di suolo e 1.980 litri di acqua. Il regime alimentare più economico è quindi quello vegetariano. Infatti, il costo settimanale della spesa vegetariana è di 53 euro circa. Meno di quanto spende chi segue la mediterranea che deve mettere in conto 63 euro circa a settimana, il 17% in più. Per i vegani, il costo della spesa settimanale è simile a quella dei vegetariani, 54 euro, mentre quella mediterranea costa il 15,5% in più. I vegani spendono di più per le alternative vegetali alle proteine, prodotti che incidono per il 16% sulla spesa settimanale, oltre a frutta e verdura che rappresentano il 45% della spesa. —[email protected] (Web Info)

Energia, Besseghini: “Su mercato libero fondamentale comunicazione chiara”

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(Adnkronos) – Nel passaggio al mercato libero dell'energia elemento di fondamentale importanza è "che ci sia una comunicazione che arrivi in maniera molto chiara, diretta e semplice ai consumatori sulle offerte e sul sistema che stiamo attraversando". Così il presidente di Arera, Stefano Besseghini, intervenendo in collegamento all’appuntamento di Adnkronos Q&A ‘Le nuove strade della sostenibilità’ presso il Palazzo dell’informazione.  "L'elemento che credo debba accumunare tutti noi che operiamo nel settore è cercare di identificare le linee di fondo della comunicazione. Gli aspetti di attenzione ai prezzi sono legati alle nostre caratteristiche di mix energetico – continua – Ci sono diverse opportunità: penso alle Cer o ai gruppi di acquisto oppure ad altri meccanismi in cui l'offerta esplora il campo dei prezzi fissi che stanno tornando dopo il periodo di crisi in cui erano sostanzialmente spariti dal meccanismo di offerta. Questi sono tutti elementi su cui costruire un'informazione corretta. Quando gli strumenti cambiano anche dal punto di vista del linguaggio è importante che l'informazione da parte istituzionale cerchi di attenersi agli elementi più semplici e didascalici possibili". —[email protected] (Web Info)

Sostenibilità, Arzà (Federchimica): “BioGpl e bioGnl carburanti gassosi già disponibili”

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(Adnkronos) – “Il bio GPL e il bio GNL sono due carburanti gassosi immediatamente disponibili per garantire la transizione energetica. Rappresentano un miglioramento sostanziale rispetto ai carburanti e combustibili tradizionali". Lo ha sottolineato Andrea Arzà, presidente Federchimica, Assogasliquidi, intervenendo al meeting Adnkronos ‘Le nuove strade della sostenibilità’ presso il Palazzo dell’Informazione. Questi due carburanti – ha ricordato – "possono essere impiegati nei veicoli esistenti e possono essere distribuiti in tutta l'infrastruttura che già disponiamo. Noi in Italia abbiamo una rete di stazioni di servizio di oltre 4.300 punti che è la più grande in Europa e che può garantire, senza costi addizionali, questa transizione. Il bio GPL”, la versione biocarburante del gas, derivata interamente da fonti rinnovabili e “il bio GNL” il biometano liquido, “sono due sostituti eccellenti da un punto di vista ambientale dei rifiuti dell'industria agroalimentare”.  “I carburanti e i combustibili gassosi hanno la caratteristica di avere valori di emissioni di polveri sottili praticamente quasi uguali a zero – spiega Arzà – L’industria sta lavorando alla produzione di molecole che possono essere impiegate sia nel settore dei trasporti sia pubblici che privati, sia di traffico leggero che di traffico pesante. Delle due nuove molecole di origine bio, il BioGpl, in Italia è già prodotto in due bioraffinerie di Eni e viene già distribuita. Questo è un valore molto importante perché, uno dei modi secondo noi significativi per non impattare sull'ambiente, è cominciare a non costruire nuove infrastrutture”. A proposito della mobilità elettrica "sorprende che l'Unione Europea – osserva – abbia pensato di emanare prima una direttiva che vincoli la possibilità dell'uso dei motori endotermici a partire dal 2035 e poi si sia preoccupato di fare una direttiva sulle materie prime e non il contrario. Sarebbe stato molto più logico” fare diversamente, “ma, del resto, si deve tener conto dell'approccio fortemente ideologico, e molto poco pragmatico". E' fortunamente seguito "un passo in avanti con un cambiamento verso una neutralità tecnologica" perché "l primo approccio – conclude Arzà – era stato veramente molto esagerato". —[email protected] (Web Info)