(Adnkronos) – Trascorrono online da una a tre ore al giorno, uno su cinque oltre le quattro ore, e sono quattro le modalità che esprimono quando sono in rete: irrequiete/i, esploratrici/ori, performative/i e ripiegate/i. Questa la fotografia dei minori tra gli 8 e i 16 anni scattata da uno studio promosso dal ministero delle Imprese e del Made in Italy con la collaborazione scientifica dell’Alta Scuola in media, comunicazione e spettacolo dell’Università Cattolica. Il 94% utilizza uno smartphone, sette su dieci (la metà tra gli 8 e i 10 anni) usano regolarmente i social e le piattaforme streaming. I risultati dell’indagine “Alfabetizzazione mediatica e digitale a tutela dei minori: comportamenti, opportunità e paure dei navigatori under 16” sono stati presentati oggi in Università Cattolica a Milano. Il campione della ricerca è costituito da 1.677 tra bambini di 8-10 anni e adolescenti dai 14 ai 16 anni, rappresentativi per genere, età, zona e ampiezza del comune di residenza. Di loro, 600 sono stati coinvolti nella fase esplorativa rivolta a raccogliere con domande aperte le differenti tipologie di esperienze online (positive e negative). A partire da questi risultati è stato creato un questionario via web per le altre fasi dell’indagine: 1.000 sono stati intervistati online, 57 hanno compilato un diario giornaliero di consumo e 20 hanno partecipato a focus group collaborativi. Inoltre, 1.000 sono stati i contenuti mediali indicati dai minori e analizzati dai ricercatori. La maggior parte dei giovanissimi rimane online da una a tre ore al giorno, uno su cinque oltre le quattro ore utilizzando diversi strumenti: social network, messaggistica e piattaforme streaming. Secondo l'indagine, sono diverse le motivazioni che spingono i ragazzi, indipendentemente dalle fasce di età, a trascorrere tanto tempo in rete: prima di tutto il bisogno di un sostegno per calmarsi e contenere le emozioni negative, poi la sete di conoscenza e di intrattenimento e la ricerca di sensazioni forti e adrenaliniche, per ultime il bisogno di socializzare e di performare. Così si finisce per essere quasi sempre connessi. Il 94% dei minori tra gli 8 e 16 anni utilizza uno smartphone (il 68% ne possiede uno personale, il 28% l’ha ricevuto prima dei 10 anni e il 25% dopo gli 11). Gli stessi minori sono consapevoli di un uso eccessivo, come sostiene un quinto del campione, e la quota sale al 28% tra i 14-15enni, in particolare tra gli insoddisfatti e tra le ragazze. Lo smartphone "mi distrae quando faccio i compiti, mi distrae da tutti… allora proprio lo metto in un’altra stanza… a volte vorrei metterlo in una scatola e lasciarlo lì", racconta un’intervistata. Sette ragazzi su dieci (la metà tra gli 8 e i 10 anni) usano regolarmente i social e le piattaforme streaming. Gli utenti aumentano durante la preadolescenza e l'adolescenza. Ogni social ha il suo ruolo specifico: Instagram serve a curiosare e interagire, Tik Tok a lasciarsi andare al flusso, Facebook a leggere i commenti più che a guardare. In generale le piattaforme streaming (YouTube, Amazon Prime Video e Netflix, ma anche Svod e Avod) vengono utilizzate in famiglia, o da soli in camera e molto meno con gli amici, fuori casa e a scuola. Tra le piattaforme di messaggistica – emerge dalla ricerca – Whatsapp è risultato imprescindibile in quanto modalità più rapida per comunicare, per creare community e scambiare materiali. I fruitori regolari sono al 93% 14-15enni, all’89% 11-13enni e al 60% hanno tra gli 8 e i 10 anni. Per i minori la rete non è priva di rischi. Quattro intervistati su 10 raccontano esperienze negative, più della metà tra i teen con particolare incidenza tra i più fragili e i più presenti online. La maggioranza ha visto contenuti inadatti almeno una volta di recente su uno dei social citati, ma in particolare i più piccoli sono incappati in eventi critici su Youtube. Inoltre, gli intervistati hanno espresso piena fiducia a Whatsapp, Instagram e Pinterest (e a seguire nella graduatoria a Telegram, Twitch e Discord), alle piattaforme Netflix e Amazon Prime Video, e in seconda battuta a Rai Play e Disney+ (non alla più popolare YouTube). Per quanto riguarda le forme di limitazione e controllo nell’uso degli smartphone da parte dei genitori, circa 8 su 10 le utilizza sfruttando i limitatori, come parental control, offerti da piattaforme e dispositivi. Più di un terzo dei ragazzi e delle ragazze viene controllato: dal 49% dei bambini 8-10enni, al 20% dei 14-15enni. Ma – avvertono gli esperti – l’eccessivo controllo potrebbe inibire lo sviluppo di competenze e autonomia, rendendo più acritica e rischiosa la navigazione. Circa un quarto del campione (che scende al 17% dei teen) afferma di non essere mai incorso in esperienze negative sui social, mentre il 42% (53% tra i teen) ne riporta di gravi e ripetute. I più esposti sono coloro che tendono a condividere contenuti e informazioni personali con sconosciuti, i soggetti più fragili come i portatori di disabilità o coloro che esprimono minor benessere su tutte le dimensioni indagate, gli utenti regolari dei social network, gli iperconnessi e i gamer intensivi, ma si evidenzia anche una lieve prevalenza territoriale che penalizza i residenti nelle grandi città e nel Sud Italia, più inclini all’uso precoce dello smartphone e dei social. —[email protected] (Web Info)
Allarme superbatteri resistenti, infettivologi: “In Italia 11mila morti all’anno”
(Adnkronos) –
I superbatteri resistenti agli antibiotici causano oggi 30mila morti in Europa, di questi 11mila in Italia e “il nostro Paese è tra quelli che soffre di più il problema con 2 milioni di giornate di degenza ogni anno per le conseguenze dell’antimicrobico-resistenza, come se tutti i posti letto del Friuli Venezia Giulia fossero dedicati a questo problema. Il costo? Due miliardi di spesa all’anno per le infezioni resistenti ai farmaci”. A lanciare l’allarme su questa nuova emergenza latente negli ospedali e non solo è stato Massimo Andreoni, segretario scientifico della Simit, la Società italiana di malattie infettive e tropicali, nel suo intervento oggi all’evento ‘Insieme contro le infezioni correlate all’assistenza', promosso dalla Simit alla Camera per sensibilizzare la politica sull’emergenza dei ‘super batteri’ resistenti agli antibiotici. "Ci deve essere un obbligo per il mondo politico di affrontare l’argomento in modo serio – ha rimarcato Andreoni – penso alla sorveglianza, all’attenzione clinica e a dare direttive ai Dg degli ospedali per relazionare su cosa stanno facendo contro le infezioni ospedaliere”. Secondo la Simit, servono interventi ‘ad hoc’ con programmi attivi di contrasto portati avanti in team multidisciplinari “che potrebbero prevenire dal 30% al 50%” delle infezioni correlate all’antimicrobico resistenza". La Simit ha lanciato la piattaforma Resistimit. “Spesso facciamo interventi costosissimi o terapie importanti sui pazienti che poi muoiono per le infezioni ospedaliere – ha detto Marco Falcone, consigliere Simit e responsabile del progetto – vogliamo capire cosa non funziona nel trattamento di queste infezioni, abbiamo nuovi antibiotici e nuove terapie, oggi facciamo le Car-T che costano 250mila euro ma poi il paziente rischia di morire per una infezione batterica. Ecco, magari dovremmo riflettere – ha aggiunto – se conviene non spenderne 2mila per una terapia antibiotica”. "Per rendere operative le strategie di contrasto alle Infezioni correlate all'assistenza (Ica) occorrono un coordinamento tra istituzioni, direzioni sanitarie e clinici; un inquadramento in progetti nazionali; un monitoraggio continuativo e un sistema permanente, poiché si tratta di fenomeni in continua evoluzione – ha sottolineato nel suo intervento Cristina Mussini, vicepresidente Simit – Da queste esigenze nasce 'Insieme', un progetto con cui la nostra società scientifica si propone come braccio operativo nell'applicazione del Pncar (Piano nazionale di contrasto dell'antimicrobico-resistenza), uniformando a livello nazionale le politiche di controllo delle infezioni ospedaliere". "Proprio per evitare applicazioni eterogenee – ha continuato l'esperta – abbiamo costituito un gruppo di esperti che possano promuovere la formazione, organizzare controlli negli ospedali e audit che raccolgono le criticità. Nel primo workshop, a Modena, che ha coinvolto 14 ospedali distribuiti su tutto il territorio nazionale, abbiamo formato e addestrato il gruppo di progetto e creato una survey allo scopo di evidenziare le criticità principali per l'implementazione dei programmi di contrasto alle infezioni nosocomiali negli ospedali. Questo questionario lanciato e diffuso dalla Simit ha visto la partecipazione di oltre 40 ospedali. Dalle risposte abbiamo rilevato la difficoltà di interazione tra i diversi gruppi di lavoro, la mancanza di personale dedicato e di sistemi integrati di sorveglianza nei laboratori, la necessità di diffondere ulteriormente pratiche standard come, ad esempio, l'igiene delle mani del personale sanitario, che deve essere rafforzata in almeno la metà degli ospedali". "Più della metà degli ospedali – ha rimarcato Mussini – non ha un sistema integrato di monitoraggio delle principali infezioni diffuse nelle chirurgie, legate agli accessi vascolari, alle infezioni del tratto urinario, alle polmoniti, alle protesi articolari, con difficoltà nell'attuare interventi di prevenzione specifici (bundle) degli stessi. Migliorare la situazione è possibile, basti pensare che con l'applicazione di strategie adeguate possono prevenire fino al 50% delle Ica. Serve dunque sia un'azione culturale che generi consapevolezza, sia una strategia operativa che realizzi un'inversione di rotta che acquisti continuità". —[email protected] (Web Info)
Tumori, Fiagop: “Cure bimbi nei centri migliori con monitoraggio a casa grazie a Rete”
(Adnkronos) – "E' giusto che la gente che vada nei centri migliori, per ricevere le migliori cure" per i loro bambini con malattia oncologica, "dopodiché può andare in un centro più lontano e venire monitorata dalla famosa Rete. Io non voglio che i bambini muoiano. Ma non solo. I bambini devono essere accolti. Non dobbiamo lavorare per dire alla famiglia che non si deve spostare, assolutamente: noi abbiamo credo 500 case alloggio sparse su tutto il territorio nazionale perché ospitiamo queste famiglie che arrivano da lontano, Fiagop raccoglie 34 associazioni distribuite su tutto il territorio nazionale e quindi siamo ovunque". Lo ha detto Paolo Viti, presidente Fiagop (Federazione italiana associazioni genitori e guariti oncoematologia pediatrica), questa mattina nel suo intervento a Montecitorio al convegno 'Rete nazionale tumori rari: criticità e prospettive per l'oncoematologia pediatrica' organizzato da Fiagop, a cui ha partecipato anche Aieop (Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica), in occasione della Giornata mondiale contro il cancro pediatrico che si celebra oggi 15 febbraio. Rammaricato per l'assenza delle Regioni, al convegno a cui erano state invitate, Viti ha osservato che "accanto a centri ospedalieri d'eccellenza, vaste aree del territorio nazionale non dispongono di strutture per la cura dei tumori pediatrici. In considerazione dei numeri relativamente piccoli di tali malattie, è comprensibile che non tutte le terapie possano essere erogate presso tutti i distretti, ma una buona organizzazione della Rete nazionale dei tumori rari potrà tutelare la qualità delle cure e anche la qualità della vita di pazienti e famiglie". Sulla ricerca, il presidente Fiagop chiede "maggiori investimenti, sia a livello nazionale che presso la Comunità europea, se vogliamo arrivare a un valore molto, molto più basso di 500 bambini che muoiono ogni anno". Sulle cure palliative, Viti ha rimarcato che ci sono "poche attrezzature, pochi reparti, poche strutture: ci sono associazioni che fanno anche 150 chilometri, 200 chilometri per andare a dare l'assistenza". Invece "ogni ospedale dovrebbe avere un reparto di cure palliative, ogni ospedale pediatrico lo dovrebbe avere". Parallelamente al convegno romano – si è ricordato nel corso dell'evento – Fiagop organizza in tutta Italia, fino a domenica 18 febbraio, altre due attività. La prima è 'Diamo radici alla speranza, piantiamo melograni', con la messa a dimora – presso parchi pubblici, giardini di ospedali e istituti scolastici – di centinaia di queste piccole piante il cui frutto è simbolo della vita e della solidarietà. La seconda iniziativa è 'Ti voglio una sacca di bene', che ha lo scopo di promuovere la donazione di sangue e piastrine e che verrà organizzata presso i centri trasfusionali degli ospedali di varie città italiane grazie al servizio di centinaia di volontari. Le trasfusioni di sangue sono infatti importanti nella cura di questi piccoli pazienti. —[email protected] (Web Info)
Tumori, medici ambiente: “In Italia +2% casi l’anno nei bimbi, agire su cancerogeni”
(Adnkronos) – "Non è possibile rassegnarsi all'inesorabile aumento del numero di nuovi casi di tumori in età pediatrica, con una media del +2% l'anno (il doppio rispetto al dato medio europeo) e punte del +3,2% nel primo anno di vita, né ci si può limitare a registrare i casi di malattia e i decessi". A lanciare il monito nella Giornata mondiale contro il cancro infantile è Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale (Sima), invocando "un cambio di prospettiva che parta da noi medici, epidemiologi e addetti ai lavori". Bisogna "fornire risposte in grado di prevenire i tumori anziché diagnosticarli in fasi precoci e curarli – precisa Miani – iniziando dalla rimozione delle esposizioni ai cancerogeni certi per l'uomo nell'aria che respiriamo e in tutto quel che mangiamo, beviamo o utilizziamo ogni giorno". Anche a questo lavorerà Epi-Pro, un "gruppo di studio congiunto tra Sima e Lilt", Lega italiana per la lotta contro i tumori, dedicato a "epidemiologia, epigenetica e prevenzione primaria oncologica – elenca la Sima – coordinato dagli epidemiologi Prisco Piscitelli ed Eva Negri". "Il cancro – afferma Miani – è la prima causa di morte per malattia in età pediatrica e questo non è accettabile. Il focus va spostato dalle cure, per fortuna sempre più efficaci ed accessibili, ad una vera prevenzione primaria: dobbiamo cioè fare in modo che i nostri bambini e i nostri giovani non si ammalino di tumore". Secondo il presidente Sima, "la chiave di lettura dell'aumento dei tumori osservato nei bambini e nelle fasce più giovani di popolazione è il modello epigenetico, ovvero il complesso di esposizioni ambientali che attivano gli interruttori di accensione degli oncogeni e spengono i geni oncosoppressori, talora già nel grembo materno. Siamo qui a rappresentare la scienza che intende ragionare senza pregiudizi" e trovare soluzioni, "partendo da questo nuovo paradigma eziologico". "Secondo dati internazionali pubblicati da Lancet Oncology – osserva Piscitelli, vicepresidente Sima – l'Italia è ai primi posti al mondo per incidenza i tumori pediatrici. Gli ultimi dati ufficiali disponibili, forniti dall'Associazione italiana registri tumori" Airtum, "che purtroppo non copre tutte le aree del Paese, fornisce una stima di 11mila casi di neoplasie tra 0 e 19 anni nel quinquennio 2016-2020. Il numero di nuovi casi di tumori pediatrici in questa fascia d'età ha toccato le 2.400 unità, di cui un terzo sono leucemie, seguiti dai tumori del sistema nervoso centrale e dai linfomi (+4,6% l'anno contro una media Ue del +0,9%), ma c'è anche una quota di tumori ossei e renali (5%) e tumori più tipicamente associati con esposizioni ambientali come i sarcomi dei tessuti molli (circa il 7%). Nuove evidenze – rimarca Piscitelli – supportano il ruolo dei cancerogeni ambientali in chiave epigenetica quale possibile spiegazione della transizione epidemiologica che stiamo osservando". "In questa campagna che punta a un cambio di paradigma" contro il cancro dei bimbi "è impegnata anche la Lilt, grazie a un Protocollo congiunto con Sima – si legge in una nota della Società di medicina ambientale – nell'ambito di un Accordo quadro di mutua collaborazione già siglato in autunno, con cui i due enti hanno concordato l'attivazione del gruppo di studio Epi-Pro". L'obiettivo è "richiamare l'attenzione e le attività di ricerca della comunità scientifica sulle cause dell'irrefrenabile aumento dell'incidenza di neoplasie in fasce sempre più giovani della popolazione, utilizzando come principale focus la prospettiva dell'epigenetica e della prevenzione primaria". Perché "una maggiore comprensione delle cause del fenomeno in esame – puntualizza Miani – è passo necessario per la ricerca delle soluzioni a qualsiasi problema". "Il nascente gruppo di Studio Epi-Pro è aperto ai medici ed esperti di settore che intendono promuovere una nuova visione dell'epidemiologia e della medicina preventiva nell'ambito oncologico – spiega il presidente Sima – in grado di contribuire a cambiare in meglio il mondo in cui viviamo, con ricadute immediate per le fasce pediatriche e quelle più giovani della popolazione. Abbiamo il dovere di contribuire al cambio di approccio necessario a salvaguardare la salute delle prossime generazioni, con lo stesso impegno che stiamo mettendo nella ricerca di soluzioni ai cambiamenti climatici. Azioni preventive specifiche devono essere adottate sulla base dei fattori di rischio che caratterizzano le popolazioni a livello locale – conclude Miani – tenendo conto anche dei determinanti sociali e ambientali della salute, poiché la lotta a tali nuove forme di disuguaglianze può contribuire in maniera decisiva a prevenire malattie e tumori". —[email protected] (Web Info)
Cronaca nazionale/ Donna accoltellata nel garage, è caccia all’aggressore
Mistero un grave fatto di sangue.
Una fisioterapista 61enne è stata accoltellata nel garage del suo condominio a Bolzano.
La donna non sarebbe in pericolo di vita, ma è stata ricoverata in gravi condizioni per alcune ferite interne riportate dopo l’aggressione. La 61enne è stata accoltellata alla gola, ma le ferite riscontrate sarebbero cerebrali.
La fisioterapista sarebbe stata attirata nel garage condominiale dal killer, che aveva staccato il contatore dell’energia elettrica. Una volta arrivata nel garage per riattivare la luce, la 61enne è stata aggredita e accoltellata. A trovare la donna riversa in un lago di sangue, un vicino di casa che ha subito allertato i soccorsi.
Da quanto si apprende, gli investigatori cercano l’ex compagno della figlia della 61enne.
La figlia della 61enne si era già rivolta a un centro antiviolenza
foto di repertorio
Covid, Ricciardi: “Commissione nata per crocifiggere”
(Adnkronos) – Quella approvata in via definitiva con il via libera arrivato ieri dalla Camera, preceduto da bagarre, "è una commissione covid viziata fin dall'origine dal fatto che le indagini verranno fatte in un'unica direzione, cioè quella di crocifiggere il Governo" in carica durante la pandemia "e non di analizzare" i problemi. "E' talmente palese da come è stata presentata che non mi aspetto niente di buono, di positivo dal punto di vista della sanità pubblica". E' la visione di Walter Ricciardi, docente di Igiene all'università Cattolica di Roma, che ha aspettative pessimistiche sull'operazione in avvio, e sull'utilità tecnica dei lavori che verranno portati avanti dalla Commissione d'inchiesta su Covid.
"Tutti i Paesi del mondo hanno operato una revisione di quello che è successo" durante la pandemia, osserva all'Adnkronos Salute. "Lo hanno fatto in maniera oggettiva e basata sull'evidenza scientifica, proprio per cercare di imparare e non dimenticare la lezione di Covid. Le commissioni che cercano di approfondire, di revisionare, di trarre esperienze positive per il futuro sono tutte benvenute". Però, "per come è stata impostata" la commissione "in Italia, è un unicum. Nel senso che è stata impostata in maniera esclusivamente politica. Il fatto di escludere" dal perimetro d'indagine "le Regioni, che sono le organizzazioni che in Italia sono responsabili dell'erogazione dei servizi sanitari, fa capire che non si vuole fare un approfondimento scientifico, ma – come ha detto Roberto Speranza – cercare di evidenziare in maniera 'partisan', quindi unipolare, quanto accaduto". Proprio per come è impostata, dunque, ribadisce l'esperto, "questa commissione non può portare a niente di buono, se non a un'ulteriore polarizzazione dei discorsi e a un'ulteriore divisione su quelle che invece dovrebbero essere delle lezioni che dovrebbero farci stare tutti uniti. Anche perché i problemi rimangono, le condizioni che hanno portato alla pandemia rimangono tutte quante in piedi, e quindi sarebbe opportuno che invece di polarizzare, spaccare, frammentare e dividere avessimo un accordo unanime in Parlamento sulla necessità di non ripetere – se ci sono stati – degli errori e di imparare soprattutto da questi".
Le premesse "non convincono" dunque Ricciardi. Al quale non è piaciuta neanche la citazione di ieri da parte della deputata di Fratelli d'Italia, Alice Buonguerrieri nella sua dichiarazione di voto. Proprio il suo intervento ha scatenato la bagarre in Aula e le reazioni di Speranza e Giuseppe Conte. In un passaggio del discorso, Buonguerrieri ha affermato che questa commissione "è ciò che chiedono coloro che hanno subito lockdown, Green pass, restrizioni, soluzioni che non avevano alcun supporto scientifico, ma che sono state adottate come misure di 'cieca disperazione', per usare le parole non di Fdi, ma di Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza e del governo Conte". "Questa parlamentare mi ha citato perché io ho scritto un lavoro su 'Jama' insieme ad altri colleghi – chiarisce Ricciardi – In questo lavoro si dice che il lockdown è una misura di cieca disperazione, e lo è perché sostanzialmente quando devi fare un lockdown non hai alternative. Significa che devi scegliere una via drastica di riduzione alla libertà delle persone per salvargli la vita". Buonguerrieri "ha preso questa dichiarazione attribuendole un significato diverso, negativo. Se queste sono le premesse, dunque, non mi aspetto nulla di buono". —salute/[email protected] (Web Info)
Tumori, Bellucci: “Ho incontrato il cancro 20 anni fa, la ricerca mi ha salvata”
(Adnkronos) – "Ho incontrato il cancro in tanti modi diversi, come la maggior parte di noi: professionalmente, nella cooperazione perché provengo dal mondo dell'associazionismo, del Terzo settore, del volontariato". E "l''ho incontrato in una forma aggressiva personalmente oltre 20 anni fa. Non ero una bambina, non ero un'adolescente, ma certamente ero molto giovane e oggi sono qui. Soltanto medici attenti, soltanto una ricerca puntuale, soltanto delle cure capaci di salvare la vita mi hanno permesso oggi di essere qui e di raccontarlo". Lo ha detto il viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maria Teresa Bellucci, intervenendo al convegno 'Rete nazionale tumori rari: criticità e prospettive per l'oncoematologia pediatrica', promosso dalla Fiagop, la Federazione italiana associazioni genitori e guariti oncoematologia pediatrica, questa mattina presso la Camera dei deputati. "Negli anni del cancro, e vi dico anche questo – ha continuato Bellucci – ho perso i miei genitori in soli 36 mesi. Purtroppo è un tema che mi è vicinissimo e ne conosco profondamente le complessità. L'incontro di un bambino con il cancro è una priorità per ogni esponente politico e istituzionale. Bisogna migliorare le cure non solo della malattia, ma anche della persona. Perché la malattia è qualcosa che ci sconvolge e spazza via le nostre certezze. E' difficile resistere al dolore che entra nella tua esistenza". "In questi 15 mesi di governo – ha ricordato poi il viceministro – stiamo sostenendo, come ministero del Lavoro, la realtà del Terzo settore. Quest'anno abbiamo stanziato 6 milioni e 200mila euro proprio per sostenere il mondo dell'associazionismo, per supportare le attività di oncologia pediatrica, ossia questa alleanza di cui l'Italia e le famiglie hanno bisogno in un percorso così difficile. Noi continueremo a farlo e a dare maggiori risorse per garantire a ciascuno il diritto alla vita e a non sentirsi solo". —[email protected] (Web Info)
Covid, commissione d’inchiesta sì o no? Cosa dicono i virologi
(Adnkronos) – L'ok della Camera a una commissione d'inchiesta sul Covid divide i virologi. Gli esperti, dopo la pandemia che ha colpito in maniera profonda anche l'Italia, si dividono dopo la movimentata giornata di ieri alla Camera, con il voto preceduto dalla bagarre e da accuse. Da Criisanti a Bassetti, da Pregliasco a Gismondo c'è chi si dice contrario, chi invita alla cautela e chi ritiene doveroso fare chiarezza sulle decisioni prese durante la pandemia. Quanto accaduto ieri in Aula alla Camera al momento di votare la proposta di istituire la commissione d'inchiesta su Covid "è una fotografia di una commissione destinata a fallire, perché ha un'impronta politica e non tecnica". Per il professore di microbiologia e senatore Pd Andrea Crisanti la bagarre che ha preceduto l'approvazione della Commissione "è l'ulteriore conferma" di un timore da lui già espresso. "Io sono davvero convinto che una commissione Covid ci vorrebbe – puntualizza all'Adnkronos Salute – e molti Stati europei l'hanno fatta. Fra questi il Regno Unito, con l'obiettivo di capire il flusso di informazioni, le conoscenze tecniche-scientifiche e la logistica che è stata utilizzata, con lo scopo di identificare gli errori e migliorare. Perché errori ce ne sono stati sicuramente, da tutte le parti". Così però, riflette, "la nostra commissione fallirà l'obiettivo. Intanto perché in Italia la sanità è totalmente devoluta" alle Regioni, "quindi che senso ha stringere il campo d'azione di una commissione alle decisioni dell'esecutivo?", si chiede il senatore Dem. Questo è un primo punto. Poi, aggiunge Crisanti, "se una commissione viene utilizzata con preconcetti e come una clava per attaccare le opposizioni, è chiaro che la prima vittima sarà la verità, non c'è dubbio". Per Matteo Bassetti la Commissione non deve invadere il campo della scienza e della medicina. "Ho sempre pensato che l'istituzione di una Commissione di inchiesta" sulla gestione della pandemia di Covid-19 in Italia "fosse positiva, perché ci consente di guardare indietro a quello che è stato fatto, per vedere cosa ha funzionato e cosa no, soprattutto dal punto di vista degli acquisti, delle mascherine, dei ventilatori e di una serie di altre decisioni politiche, come il lockdown, la chiusura delle scuole, il coprifuoco: decisioni politiche per le quali è giusto che ci sia in qualche modo una valutazione politica", afferma direttore della Clinica di malattie infettive del policlinico San Martino di Genova. "Per quanto attiene invece gli aspetti meramente scientifici, sto parlando soprattutto di vaccinazione, terapie e protocolli di trattamento, spero e mi auguro che la Commissione non voglia invadere il campo della medicina e della scienza – sottolinea Bassetti – che evidentemente non può che essere della medicina e della scienza. Concordo sul fatto che la politica faccia un'analisi di quello che è stato fatto e delle decisioni che sono state prese dal punto di vista politico e lo trovo corretto, anche perché potrà servire per il futuro, per sapere se è si è agito bene o male, ma concordo meno – rimarca – se invece la Commissione va a vedere se i vaccini hanno funzionato o meno, per esempio. Sono convinto che su questo sia più giusto lasciare la palla alla medicina e alla scienza e che la politica faccia invece un passo indietro". "Ben vengano commissioni che possano rivedere ciò che è stato fatto" durante l'emergenza Covid-19, ma "in un senso propositivo per il futuro. Cercando non tanto gli errori, bensì individuando ed esaminando le scelte che poi magari, a posteriori, non si sono rivelate le più efficaci ed efficienti". Un'analisi che dovrebbe essere affidata a tecnici, a "terzi esperti della materia", e che "dovrebbe essere estesa a tutti i livelli dell'organizzazione e gestione della sanità", Regioni comprese, precisa all'Adnkronos Salute Fabrizio Pregliasco, virologo dell'università Statale di Milano. "Di sicuro – sottolinea – se si vuole analizzare la capacità di reazione che c'è stata da parte del Servizio sanitario nazionale, l'attività" della commissione "dovrebbe essere allargata a tutti i livelli del Ssn, considerando che per definizione costituzionale le Regioni hanno un ruolo importante in tema sanità. E anche a livello regionale abbiamo visto una certa varietà, un non coordinamento, delle iniziative di controllo dell'infezione. E' certo poi – aggiunge Pregliasco – che la commissione dovrebbe essere costituita sostanzialmente da specialisti: epidemiologi, virologi, gestori della sanità. Proprio in un'ottica non tanto di trovare colpevoli o altro – ripete – ma appunto di migliorare" la preparazione e la reazione a eventuali future emergenze e quindi di "ottimizzare quello che sarà il nuovo Piano pandemico". La cui "bozza – fa notare il virologo – non a caso ripropone elementi e metodologie di controllo delle infezioni a trasmissione respiratoria attuate nel momento dell'emergenza pandemica". Per Maria Rita Gismondo "fare chiarezza dopo un evento pandemico, e soprattutto dopo tanti errori, alcuni evitabili, è doveroso nei confronti della popolazione". "Non capisco perché qualcuno si opponga. Se si ha la coscienza pulita, far chiarezza servirà per esaltare la propria onestà. In caso contrario, è giusto riconoscere le responsabilità", dichiara all'Adnkronos Salute la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano. Sulla stessa linea l'immunologo Mauro Minelli. "La notizia di una Commissione d'inchiesta su Covid e dintorni, e sulle modalità di gestione dell'emergenza, possiamo dire che non ci coglie di sorpresa o, meglio, che potevamo immaginarla. Su questo ci eravamo espressi in tempi non sospetti ipotizzando la necessità di mettere in luce ciò che non ha funzionato per poter essere maggiormente reattivi nei confronti di nuove emergenze di carattere sanitario. Il punto è proprio questo, però: si è trattato solo di un'emergenza sanitaria, o anche sociale, economica e quindi politica? Sono spunti di riflessione certamente arditi, ma legittimi", afferma all'Adnkronos Salute. "Quindi l'idea di indagare fino in fondo cosa ha funzionato e cosa no è più che legittima – osserva Minelli – anzi appartiene alle dinamiche di un confronto democratico e definisce la statura della nostra civiltà, messa in crisi dalla pandemia, a patto – precisa – che non diventi terreno di mera contesa politica o, peggio, di resa dei conti tra avversari di partito. Sarebbe troppo facile assegnare colpe a qualcuno. Disfunzioni, disservizi ed errori ce ne sono stati, ma a livello mondiale, non solo italiano. E allora, esiste anche una volontà di affrontare la vicenda su scala internazionale?". "Covid non è stato un problema circoscritto alle nostre vite – evidenzia Minelli – ma piuttosto un evento che abbiamo derivato dall'esterno e che ha arrecato danni condivisi ben oltre i confini e i poteri del nostro Stato. Da medico cercherei la verità certo, ma la verità è sempre un po' più grande". "Fare una Commissione parlamentare per indagare su quello che è accaduto durante il Covid è positivo, tutto ciò che può essere d'aiuto per gestire al meglio prossimi eventi d'emergenza come è stato l'arrivo del Sars-CoV-2 è importante. Dal punto di vista scientifico quello che dovevamo sapere su questo nuovo virus l'abbiamo scoperto, il Governo italiano nel 2020 ha seguito indirizzi internazionali e non sono stati seguiti percorso molto diversi, ci sono stati aggiustamenti in corsa fatti con le conoscenze che arrivavano man mano dalla scienza. Da questo punto di vista non credo che la Commissione d'inchiesta possa darci elementi d'interesse. Se sono stati fatti errori è bene saperlo, ma in una emergenza mai vissuta è normale farli",a fferma all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni, segretario scientifico della Simit, la Società italiana di malattie infettive e tropicali. "Tutti i Paesi fanno una revisione di quello che è stato fatto e non fatto durante la pandemia Covid, è legittimo. Se però quella italiana è una Commissione politica a me non interessa. Molte decisioni sugli obblighi e le chiusure durante l'emergenza Covid furono governative. Noi tecnici abbiamo dato le raccomandazioni sanitarie con le circolari del ministero della Salute. Il Regno Unito ha varato una commissione tecnico-scientifica e non politica", dice all'Adnkronos Salute Giovanni Rezza, già direttore Prevenzione del ministero della Salute e componente del Comitato tecnico scientifico per l'emergenza pandemica, oggi professore straordinario di Igiene presso l’università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Alla domanda se andrà alle audizioni in caso di chiamata da parte della Commissione, Rezza risponde che "se c'è l'occasione di parlare in diretta senza filtri e tagli è chiaro che andrò" e conclude "non ho nulla da nascondere". Walter Ricciardi, docente di Igiene all'università Cattolica di Roma, che ha aspettative pessimistiche sull'operazione in avvio, e sull'utilità tecnica dei lavori che verranno portati avanti dalla Commissione d'inchiesta su Covid. "E' una commissione covid viziata fin dall'origine dal fatto che le indagini verranno fatte in un'unica direzione, cioè quella di crocifiggere il Governo" in carica durante la pandemia "e non di analizzare" i problemi. "E' talmente palese da come è stata presentata che non mi aspetto niente di buono, di positivo dal punto di vista della sanità pubblica", afferma. "Tutti i Paesi del mondo hanno operato una revisione di quello che è successo" durante la pandemia, osserva all'Adnkronos Salute. "Lo hanno fatto in maniera oggettiva e basata sull'evidenza scientifica, proprio per cercare di imparare e non dimenticare la lezione di Covid. Le commissioni che cercano di approfondire, di revisionare, di trarre esperienze positive per il futuro sono tutte benvenute". Però, "per come è stata impostata" la commissione "in Italia, è un unicum. Nel senso che è stata impostata in maniera esclusivamente politica. Il fatto di escludere" dal perimetro d'indagine "le Regioni, che sono le organizzazioni che in Italia sono responsabili dell'erogazione dei servizi sanitari, fa capire che non si vuole fare un approfondimento scientifico, ma – come ha detto Roberto Speranza – cercare di evidenziare in maniera 'partisan', quindi unipolare, quanto accaduto". Proprio per come è impostata, dunque, ribadisce l'esperto, "questa commissione non può portare a niente di buono, se non a un'ulteriore polarizzazione dei discorsi e a un'ulteriore divisione su quelle che invece dovrebbero essere delle lezioni che dovrebbero farci stare tutti uniti. Anche perché i problemi rimangono, le condizioni che hanno portato alla pandemia rimangono tutte quante in piedi, e quindi sarebbe opportuno che invece di polarizzare, spaccare, frammentare e dividere avessimo un accordo unanime in Parlamento sulla necessità di non ripetere – se ci sono stati – degli errori e di imparare soprattutto da questi". —salute/[email protected] (Web Info)
Tumori, Locatelli: “Insieme per scardinare la rigidità tra sistema sanitario e sociale”
(Adnkronos) – “La ricerca, la scienza, le tecnologie, le terapie, le fisioterapie e la riabilitazione” sono importanti. “Però altrettanto importante è essere in grado di affiancare una rete di supporto che, a partire proprio dalla cura, tenga conto della famiglia e accompagni al percorso di cura. È un tema che, per i prossimi mesi, per i prossimi tempi, ci terrà impegnati a ragionare anche sul progetto di vita vero delle persone, ma soprattutto per scardinare quelle rigidità tra il sistema sanitario, socio-sanitario e sociale nei confronti di quelle che poi sono la vita umana, i bambini, i ragazzi, le persone e le loro famiglie. Sono convinta che insieme potremo fare sempre di più”. Così Alessandra Locatelli, ministro per la Disabilità, intervenendo, da remoto, questa mattina a Montecitorio al convegno ‘Rete nazionale tumori rari: criticità e prospettive per l’oncoematologia pediatrica’ organizzato da Fiagop (Federazione italiana associazioni genitori e guariti oncoematologia pediatrica), a cui ha partecipato anche Aieop (Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica), in occasione della Giornata mondiale contro il cancro pediatrico che si celebra oggi 15 febbraio.
Rivolgendosi alle associazioni ha detto Locatelli: “Viviamo in un contesto, in un momento particolare e strategico dove davvero, insieme, possiamo fare molto, soprattutto nella presa in carico della persona e quindi del bambino, sia sanitaria, ma anche sociale. Possiamo immaginare quanto per ogni persona sia fondamentale, nella dignità della sua vita, potersi curare, poter star bene, ma anche poter scegliere che tipo di attività poter svolgere durante la giornata, nel tempo ricreativo, sportivo, la possibilità di avere affetti e amicizie. E quindi immaginiamo per un bambino quanto questi aspetti siano fondamentali e preziosi e altrettanto importanti nell'affiancamento delle cure e delle terapie". "Il terzo settore – ha concluso il ministro – è di tante persone che ogni giorno, attraverso una rete complessa e specializzata, molto ben formata, possono offrire ai bambini e ai ragazzi delle opportunità di affrontare, anche psicologicamente, i percorsi di cura e di terapia riabilitativa di cancri e tumori pediatrici. Sono convinta che insieme potremo fare qualcosa di più”. —[email protected] (Web Info)
Tumori, Mulè (Fi): “80% forme pediatriche guarisce ma famiglie vanno aiutate”
(Adnkronos) – "Oggi sappiamo che l'80% dei tumori pediatrici guarisce. Tuttavia, oggi non è una giornata in cui si festeggia qualcosa. La Giornata mondiale contro il cancro pediatrico chiama tutti a riflettere, a interrogarsi per fare il punto rispetto a dove siamo arrivati e dove è necessario andare. Parlo a una platea di genitori che rifiuta l'associazione tra una malattia così grave e impegnativa come l'oncologia e un bambino, non c'è nulla di più difficile da accettare". Così il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, in apertura dei lavori del convegno 'Rete nazionale tumori rari: criticità e prospettive per l'oncoematologia pediatrica', promosso e organizzato dalla Federazione italiana associazioni genitori e guariti oncoematologia pediatrica (Fiagop), in occasione della 23esima Giornata mondiale contro il cancro pediatrico, che si è tenuto questa mattina nella Sala della Regina della Camera dei deputati. "Eppure – ha proseguito – genitori e familiari dimostrano, anche grazie a strutture come Fiagop, di saper affrontare tutto questo, ma hanno bisogno di essere presi per mano e che la comunità civile del Paese sia accanto a loro. Per questo – ha ricordato – è nata la Rete nazionale dei tumori rari, fondamentale istituzione che ha bisogno di integrarsi con la Rete oncologica regionale". Sulle Regioni, Mulè ha rimarcato che "vanno sollecitate. Oggi avevamo invitato i rappresentanti delle Regioni proprio per stimolare questa interazione: su 20 inviti, 18 sono rimasti lettera morta e solo in 2 hanno risposto dicendo che non potevano essere presenti. La rete c'è, mancano i 'pesci', che sono proprio le Regioni: sono loro che devono attuare ciò che il ministro sta facendo a livello centrale". "C'e una necessità legata alla pediatria ospedaliera e alla pediatria del territorio – ha concluso Mulè – ed è solo con questa rete del territorio che si può integrare il sistema di cure, offrendo quanto è necessario dal punto di vista delle garanzie di qualità". —[email protected] (Web Info)











