Licenziamento per superamento del comporto: impugnazione e decadenza

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L’impugnazione del licenziamento per il superamento del periodo di comporto non è soggetto al termine di decadenza di sessanta giorni, di cui alla disciplina generale dei licenziamenti individuali dettata dalla legge n. 604 del 1966, ma al termine di prescrizione lungo dieci anni.
Così ha statuito la Corte di Cassazione nella sentenza 28 gennaio 2010, n. 1861.
Il caso ha riguardato una dipendente della società Poste Italiane s.p.a. che avendo impugnato il licenziamento per il superamento del periodo di comporto di assenza per malattia, si è vista respingere la domanda in primo e in secondo grado di giudizio, per il fatto che, tra l’altro, non aveva dimostrato che l’impugnazione fosse stata tempestiva.
La suprema Corte, interessata della questione, ha fatto rilevare che, il recesso del datore di lavoro per superamento del periodo di comporto da parte del lavoratore costituisce un’ipotesi particolare di cessazione del rapporto di lavoro, che fin dalla normativa originaria del codice civile è stata regolamentata dall’art. 2110 c.c., dunque separatamente rispetto la generale disciplina sull’estinzione del rapporto di lavoro di cui agli artt. 2118 e 2125 c.c. e a quella delle leggi n. 604/1966 e n. 300/1970.
In altre parole, la previsione di cui all’art. 2110, 2° c.c., come ammesso in altre pronunce[1], rappresenta una deroga alle disposizioni previste dalla legge n. 604/1966, n. 108/1990 e dall’art. 18 della legge n. 300/1970, per quanto riguarda la normativa di natura sostanziale per le ragioni ed i motivi del licenziamento.
Tuttavia, fino alla sentenza in commento, questo carattere di specialità non si riteneva adottabile agli aspetti formali e procedurali che riguardavano il licenziamento, per il quale continuavano ad applicarsi le regole stabilite dalla legge n. 604 del 1966, anche in tema di impugnazione dello stesso, la quale doveva essere prodotta, a pena di decadenza, entro 60 gg.
La Corte, al riguardo, ha fatto però rilevare che vi sono altri casi di recesso da parte del datore in cui il termine di decadenza poco prima citato non si applica, in quanto sono disciplinati da norme speciali, tra cui, i licenziamenti previsti dalla legge n. 7/1963, art. 1 (sul divieto di licenziamento delle lavorataci per causa di matrimonio), dalla legge n. 1204/1971, art. 2 (sulla tutela delle lavorataci madri) per i quali, salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e l’azione per farla dichiarare non è soggetta a prescrizione.
Continuando su questo iter logico-giuridico, la Corte, dunque, per coerenza sistematica, ha ritenuto di estendere il medesimo principio anche al recesso per superamento del periodo di comporto, costituendo anch’esso una forma speciale di cessazione del rapporto di lavoro, come tale non rientrante nella disciplina di cui alla legge n. 604/1966.
La sentenza in esame è sicuramente innovativa, che appare convincente nella motivazione proposta; si tratta ora di constatare se vi saranno in futuro altre pronunce omogenee che permetteranno il consolidarsi di questo indirizzo.
(Altalex, 1° marzo 2010. Nota di Gesuele Bellini)

Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=49328