Corte Ue, per la deduzione fiscale l’orario non può discriminare

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È la conclusione a cui sono pervenuti gli eurogiudici con la sentenza pronunciata nel procedimento C-440/2008
La controversia, approdata dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, riguarda un contribuente residente in Germania che gestisce un’impresa nel settore della serricoltura e ha costituto nei Paesi Bassi una struttura stabile in cui sono coltivate piante.
Analisi della normativa nazionale
La legge olandese in materia di imposta sul reddito assoggetta a imposta le persone fisiche che pur non risiedendo nei Paesi Bassi, vi percepiscono redditi. La base imponibile per calcolare l’imposta è costituita dall’utile ottenuto dal contribuente in qualità di imprenditore, ridotto della deduzione in favore dei lavoratori autonomi. La deduzione è soggetta al rispetto di un criterio “orario”. Tale criterio corrisponde alla realizzazione durante l’anno civile di un quantitativo di ore di lavoro (pari ad almeno 1.225 annue) in favore di una o più imprese dalle quali l’imprenditore realizza un utile. A tale proposito, con particolare riferimento al caso di specie, per valutare se un contribuente non residente soddisfi tale criterio, sono prese in considerazione esclusivamente le ore dedicate ad attività di una parte di impresa gestita in una struttura stabile nei Paesi Bassi. Tuttavia, per evitare gli effetti discriminatori di tale previsione, il contribuente non residente assoggettato al sistema impositivo di un altro Paese membro in cui risiede può optare per il regime applicabile ai contribuenti residenti (cd. opzione di equiparazione). La disposizione che disciplina tale ipotesi non richiede che il reddito prodotto dal contribuente non residente sia interamente o quasi interamente realizzato nei Paesi Bassi.
Le origini della controversia
Con riferimento al caso di specie l’Amministrazione fiscale olandese ha ritenuto che il contribuente non abbia soddisfatto il richiamato criterio orario, posto che egli ha effettuato per la sua impresa un monte orario superiore alle 1.225 ore richieste dalla norma, mentre nei Paesi Bassi ha realizzato per detta struttura meno di 1.225 ore di lavoro.
La riportata normativa interna sembra pertanto presentare profili discriminatori. La magistratura olandese posta dinanzi al problema, ha sollevato questione la pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia, rilevando che il limite posto a carico del contribuente non residente in ordine al diritto di deduzione previsto in favore dei lavoratori autonomi, possa dar luogo a un contrasto tra la normativa di diritto olandese e l’articolo 43 del Trattato CE (ora 49).
Detta disposizione comunitaria prevede che “…le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese…alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini…”.
La Corte di Cassazione olandese pertanto ha sottoposto alla Corte di Giustizia CE la seguente questione pregiudiziale: “se l’articolo 43 CE debba essere interpretato nel senso che non osta all’applicazione di una disposizione del diritto tributario di uno stato membro ai profitti realizzati da un cittadino di un altro Stato membro (soggetto passivo straniero) in una parte della sua impresa situata nel primo stato membro, qualora siffatta disposizione, interpretata in un determinato modo, operi una distinzione incompatibile con l’articolo 43 CE tra i soggetti passivi nazionali e quelli stranieri, ma abbia conferito al soggetto passivo straniero la possibilità di scegliere di essere trattato come un soggetto passivo nazionale, possibilità di cui questi non si è avvalso per motivi personali”.
La posizione della Corte di giustizia
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul presunto contrasto tra la normativa olandese e quella comunitaria, a prescindere dalla circostanza che i potenziali effetti discriminatori si possano evitare mediante l’esercizio della cd. opzione di equiparazione.
Pertanto, rileva la Corte, l’enunciato criterio orario, nella previsione di un trattamento differenziato tra cittadini residenti e non residenti rischia di operare principalmente a detrimento di cittadini di altri Stati membri, poiché i non residenti in gran parte dei casi non sono nemmeno cittadini nazionali. Vero è che, con riferimento alle controversie sorte in relazione alla tassazione dei redditi delle persone fisiche, la Corte di Giustizia ha ammesso che la situazione dei residenti e quella dei non residenti in un determinato Stato membro non sono in via generale analoghe, dato che presentano differenze oggettive per la fonte dei redditi e la capacità contributiva personale.
Tuttavia, in presenza di una disciplina che stabilisca la concessione di un vantaggio fiscale esclusivamente a favore di residenti, rifiutandola ai non residenti, tale disparità di trattamento può integrare una vera e propria discriminazione in contrasto con la disciplina contenuta nel Trattato Ue, laddove non sussista un’obiettiva diversità di situazione tale da giustificare la disparità di trattamento tra le categorie di contribuenti.
Come rilevato dal giudice del rinvio, la deduzione prevista a favore di lavoratori autonomi non è collegata alla capacità personale dei contribuenti, quanto alla natura dell’attività svolta. Infatti, tale deduzione viene concessa a quei contribuenti imprenditori la cui attività imprenditoriale costituisce attività principale, elemento dimostrabile facendo ricorso al criterio orario.
Pertanto, ai fini della concessione di detta deduzione, non è rilevante la circostanza che tali contribuenti abbiano effettuato ore di lavoro nei Paesi Bassi o in altri Stati membri. Da ciò consegue che i contribuenti residenti e non, si trovano, ai fini della deduzione a favore dei lavoratori autonomi, in una situazione comparabile.
Le conclusioni
Ciò posto, una normativa nazionale che al fine di concedere un beneficio fiscale utilizzi un criterio orario che impedisca ai contribuenti non residenti di calcolare le ore di lavoro effettuate in un altro Stato membro rischia di penalizzare tali ultimi contribuenti, ponendosi in contrasto con l’articolo 49 del Trattato Ue.
Per quanto attiene l’opzione di equiparazione, la stessa consente a un contribuente di scegliere tra un regime fiscale discriminatorio e un altro che non lo è. Tuttavia la possibilità di esercitare l’opzione non esclude la sussistenza di effetti discriminatori con riferimento al primo regime.
In altre occasioni del resto, la Corte ha precisato che un regime nazionale restrittivo della libertà di stabilimento risulta incompatibile con il diritto comunitario, anche nel caso in cui la sua applicazione sia facoltativa.
Pertanto è in contrasto con l’articolo 49 del Trattato Ue una normativa nazionale (come nel caso di specie) che, con riferimento alla concessione di un beneficio fiscale (quale la deduzione a favore di lavoratori autonomi), abbia effetti discriminatori nei confronti dei contribuenti non residenti, anche nel caso in cui i contribuenti possano optare per il regime applicabile ai residenti.

Marcello Maiorino
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/corte-ue-le-ore-lavoro-non-contano-ai-fini-della-deduzione-fiscale