Le obbligazioni Parmalat prive di rating possiedono natura speculativa

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Le obbligazioni sottoscritte prive di “rating” si devono considerare come titolo speculativo, in quanto non adatte al profilo di rischio dell’investitore. Lo ha deciso il Tribunale di Bari, con la sentenza n. 2927 del 2010, con la quale viene condannato un istituto di credito al risarcimento dei danni subiti dal cliente, quantificati nell’intero ammontare del capitale investito, oltre agli interessi legali calcolati dal giorno dell’investimento.
La fattispecie
Tizio, privo di una particolare esperienza e cultura finanziaria, nell’aprile del 2002, acquistava obbligazioni “Parmalat Finance Corporation BV” per il controvalore di euro 51.600. Al momento della sottoscrizione, l’istituto di credito dichiarò al cliente che le obbligazioni Parmalat offrivano rendimenti superiori ai BOT, che l’azienda emittente era sicura, sebbene si trattasse di un investimento vincolante per la durata di sette anni, che tali obbligazioni, a differenza delle azioni, non erano rischiose e che la riscossione del capitale era garantita.
Ritenendo tali dichiarazioni non rispondenti al vero ed in considerazione del fatto che le obbligazioni sottoscritte erano prive di rating, l’investitore agiva in giudizio contro la Banca chiedendo la restituzione integrale del capitale investito; l’operazione di acquisto dei titoli risultava essere, secondo il ricorrente, commessa in violazione degli artt. 21, d.lgs. 58 del 1998 e 28, 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, perché inadempiente agli obblighi di informazione, buona fede contrattuale e precontrattuale e diligenza.
L’investimento speculativo quale fonte di responsabilità contrattuale e precontrattuale
L’art. 21, primo comma, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 dispone che nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento; d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi; e) svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.
Dal combinato disposto degli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 si evince che prima di procedere alla stipulazione di un contratto di gestione e consulenza in materia di investimenti, e dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati debbano, fra l’altro, chiedere all’investitore notizie in merito alla propria esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, gli obiettivi di investimento, e la sua propensione al rischio. Gli intermediari autorizzati, continua la normativa, “non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”.
Infine, l’ultimo comma dell’art. 29 afferma che “Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.
Secondo l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità (SS.UU. 26724/2007) e richiamato dal Tribunale di Bari nella pronuncia in commento, “in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, da luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione, destinato a regolare i successivi rapporti fra le parti (c.d. contratto quadro)”.
Può dare luogo a responsabilità contrattuale, continua la Suprema Corte, “ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro; in ogni caso deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418 c.c., la nullità del c.d. contratto quadro o dei singoli atti posti in essere in base ad esso”.
Tornando al caso di specie, secondo il Tribunale, sussiste inadempimento colpevole dell’istituto bancario, in relazione al dovere di informazione attiva, contemplato dall’art. 21, lett. b), d.lgs. 58/1998, nonché all’obbligo di astensione dall’esecuzione di operazione non adeguata, previsto dall’art. 29 del Regolamento Consob.
(Altalex, 7 maggio 2010. Nota di Simone Marani)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=50108