Reti d’impresa: una linea d’azione di politica industriale vincente anche per il Lazio

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Negli ultimi anni la domanda, l’ambiente competitivo, la tecnologia sono diventate sempre più complesse; è facile
capire allora perché le imprese, nella loro ricerca di competitività, abbiano cominciato a dar vita a forme organizzative
“a rete” di varia impostazione e intensità. Si sta consolidando – in base ai risultati che stanno emergendo dalle sperimentazioni
di questa modalità operativa – l’idea che la rete, in condizioni di elevata complessità, possa essere un
motore dell’innovazione, perché la rende possibile e conveniente, grazie a legami in grado di integrare intelligenze,
conoscenze e capacità di partner diversi.
Sul piano operativo, tuttavia, si riscontra che si tratta di un percorso di non facile realizzazione,caratterizzato da alterne
vicende, ma che in generale tende a mettere in moto processi di sperimentazione ed espansione di organizzazioni
complesse in diversi settori dell’economia tra i quali quello industriale che risulta sicuramente tra i più impegnativi.
Ciò perché in tale ambito le competenze, i capitali, le disponibilità ad assumere rischi tendono oggi a scarseggiare,
specie se si tiene conto del mutato, quanto complesso e difficile, contesto competitivo internazionale.
In questo senso le reti offrono una cornice organizzativa ed operativa che consente al sistema produttivo italiano di
rispondere alla sfida di agguerriti competitor low cost,capaci di sviluppare competenze originali, di accrescere qualità
e conoscenze innovative e di compensare i rischi assunti grazie a possibili economie e ad una maggiore redditività
conseguibile.
In buona sostanza le reti consentono di dare una risposta efficace, in termini di competitività, a due obiettivi che oggi
risultano prioritari e fondamentali per le imprese:
· la produzione di idee originali in termini di nuove tecnologie ma anche di fattori innovativi che permettano
di aggiornare e migliorare le tecnologie già esistenti;
· la loro diffusione attraverso le reti stesse in modo che, mettendo in comune nuove idee e tecnologie con
tutti i potenziali utilizzatori, ne venga amplificato e moltiplicato il valore.
Per il perseguimento congiunto di tali obiettivi, tuttavia, il ricorso a reti spontanee che sfruttano a costo zero il collante
territoriale, non è più sufficiente. Per meglio chiarire questo assunto va detto che il modello distrettuale ha ancora
una sua utilità, ma se ne intravedono i limiti perché sempre più si avverte la necessità di una proiezione delle
imprese in una nuova dimensione ultraterritoriale. In altri termini, una dinamica competitiva (i classici rendimenti
crescenti di scala di cui tratta abbondantemente la letteratura economica in materia) spesso esige di allargare
l’orizzonte in integrazioni con operatori di altri ambiti territoriali a differenti livelli.
Detto questo, ci sembra che si possa desumere dall’analisi effettuata,che il nuovo orientamento di politica industriale
– condiviso da Confindustria – riconosca:
· i distretti come uno dei fattori attraverso i quali indirizzare le politiche di sviluppo a livello territoriale
per creare un contesto favorevole all’attività d’impresa (efficienza energetica, infrastrutture, logistica,
formazione, ecc.)
· le “reti d’impresa” quali forme di libera aggregazione tra soggetti privati sulle quali veicolare gli interventi
diretti alle imprese (incentivi, agevolazioni, semplificazioni etc.).
Anno, 2010- Mese, Giugno
Con questa impostazione possono conciliarsi l’autonomia, che rappresenta un valore fondamentale per
l’imprenditore, e l’aggregazione in “rete” che consente di far convivere la necessità ormai inderogabile di fare squadra
usufruendo di tutti i vantaggi enunciati, senza necessariamente ricorrere ad altre tipologie di raggruppamenti più
onerosi e vincolanti. Con il modello a “rete” , infatti, possono instaurarsi collaborazioni stabili ma, al contempo, flessibili
pur nel totale rispetto di autonomia, storia e visione strategica della singola impresa.
È, poi, importante sottolineare come sul fronte delle reti Confindustria,da diversi anni, è impegnata a promuovere in
concreto il concetto di rete nell’ottica di avorire la partecipazione delle imprese ai Progetti di Innovazione Industriale
nell’ambito del programma “Industria 2015”, ideato e realizzato dal Ministero per lo Sviluppo Economico.
Ai primi tre bandi di questa iniziativa (energia, mobilità, Made in Italy) hanno partecipato quasi 4000 imprese organizzate
su progetti di filiera in collaborazione con Centri di ricerca pubblici e privati.
Confindustria non si è però limitata a questi primi e pur lusinghieri risultati. Era necessario, infatti, immaginare
l’introduzione di una nuova tipologia contrattuale che definisse specificatamente i contorni di questa forma di aggregazione
fra imprese enfatizzandone strumenti ed obiettivi. La novità di quadro – il “contratto di rete” voluto fortemente
da Confindustria – è oggi previsto nell’ambito della Legge n. 99/ 2009. Un contratto che presenta quali punti
di forza:
· estrema flessibilità e semplicità;
· nessuna “sovrastruttura” burocratica, ma elementi essenziali di governance a forte vocazione industriale;
· spinta all’aggregazione per conseguire un obiettivo condiviso e dichiarato sulla base di un progetto industriale
e di mercato.
La definizione del contratto su queste basi implica che non serva quindi il filtro della politica (come spesso avviene
negli enti-distretto) aspetto, quest’ultimo, di non poco conto sul quale Confindustria ha insistito fin dall’inizio. In
altri termini si ribadiscono in tal modo posizioni e convinzioni ferme di Confindustria che, in estrema sintesi, si possono
così riassumere: le imprese devono esercitare il proprio ruolo nell’ambito della competizione economica, mentre
il mondo pubblico è chiamato esclusivamente a realizzare le condizioni favorevoli per accrescere la competitività
del sistema delle imprese senza interferire nella loro governance.
Le imprese dunque hanno bisogno di strumenti che agevolino il loro modo di operare e non di nuovi- inutili- livelli
istituzionali, di nuovi interlocutori e di ulteriori procedure burocratiche. Si tratta di aspetti non negoziabili dai quali
discende l’esigenza che Confindustria vigili in modo particolarmente attento per evitare qualsiasi tentativo di ingerenza
della politica all’interno delle costituende reti in modo che esse siano e rimangano contratti tra privati per realizzare
progetti industriali. In termini operativi il contributo che Confindustria sta dando alla promozione delle reti di
impresa si articola in una serie di iniziative. Innanzitutto con la costituzione di “RetImpresa” – Agenzia Confederale
per le Reti d’Impresa (con compiti di assistenza, sensibilizzazione e promozione) – cui hanno già aderito 2 organizzazioni
imprenditoriali e numerose altre hanno manifestato l’interesse di farne parte.
In questa fase, accanto al forte impegno di Confindustria, serve però anche quello del Governo e delle Regioni per
promuovere l’aggregazione tra imprese attraverso il contratto di rete.
In particolare è determinante il ruolo delle Regioni che, a titolo di ipotesi, potrebbero :
· prevedere misure di incentivazione nel presupposto che i “contratti di rete” possano consentire
l’accesso ai bandi regionali (ad esempio nel campo della ricerca e innovazione, come ha già fatto il
MIUR, o dell’internazionalizzazione);
· prevedere specifici aiuti contributivi per gli studi di “prefattibilità” e progettazione dei contratti di rete
nonché per i costi di natura amministrativa;
· studiare la possibilità di applicare misure di “semplificazione amministrativa” per le imprese (specie se
allargate all’intera filiera istituzionale nazionale-regionale-sub-regionale) per i casi di procedure inerenti
progetti comuni e coordinati attraverso i contratti di rete;
· sviluppare un processo di collaborazione e confronto tra Regioni per individuare e mettere a fattor comune
le migliori pratiche realizzate in questo campo dalle diverse amministrazioni.