Pubblicità, carta e Web: non c’è più tempo per le valutazioni

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Le idee sono quasi tutte delineate, non c’è più nulla da inventare. Per gli editori è il momento di scegliere come muoversi per salvare un modello di business che comunque vada non manterrà gli stessi tratti

La carta stampata è morta, o quasi.
A dirlo sono in molti e i giornalisti che cavalcano l’onda, scrivendo per il Web e per la carta e pubblicando idee e opinioni su come possa essere il dopo, sono sempre di più. Luca de Biase, ad esempio, giornalista de Il Sole24Ore, ne parla quasi ogni giorno sul proprio spazio in Rete, e continua a farlo ormai da mesi, con idee e proposte che spesso giungono da oltre i confini italiani. La carta stampata – come il Web, d’altra parte – ha però un complice, ed entrambi non si sono ancora arresi per un motivo molto valido: la pubblicità. Sì, gli introiti pubblicitari sono ancora quelli che permettono oggi di continuare a stampare costose riviste settimanali e mensili, a venderle al pubblico ed a cercare di invertire il trend nel numero di copie vendute e soprattutto nell’interesse che gli inserzionisti provano verso i contenuti cartacei.
Vendere offline è più facile, fino ad oggi è stato un gioco per grandissime concessionarie, che si sono poi ricredute nel vedere che online il cliente cambia volto: vuole misurazioni concrete, dati concreti e soprattutto si aspetta che il suo investimento pubblicitario, lo porti ad un obiettivo quasi certo, ad un ROI fatto di numeri. Il 2008 e il 2009 hanno messo in bilico il modello di business pubblicitario, hanno mostrato agli editori quanto fosse debole e li hanno costretti a iniziare a pensare a cosa avrebbero fatto da grandi, dopo la carta stampata. Un 13% in meno per il settore delle pubblicazioni specializzate, derivante da un 16% in meno registrato invece nella raccolta pubblicitaria.

Un’arca chiamata Web: gli editori cercano la salvezza online
La carta stampata continua ad avere i suoi fan, gli stessi che con tutta probabilità non alimenteranno la crescita, seppur interessante, del mondo degli ebook e dei readers digitali. Ma non può permettersi di rimanere in piedi per una mera questione generazionale: i giovani di oggi, in quella fascia di età che va dai 15 ai 40 anni, accolgono con spontaneità l’idea di informarsi online, leggendo un po’ alla volta, e facendolo magari su più dispositivi. La colpa degli editori è di non averlo capito subito, e di essersi mossi in ritardo in moltissimi settori editoriali: per questo quando iPad è stato annunciato al mercato in molti hanno pensato che si trattasse di un secondo treno per la salvezza, e gruppi come RCS, Espresso o il noto NYT, hanno saputo cogliere da subito numeri confortevoli, non certo sufficienti a coprire le perdite della carta, ma sicuramente chiari per capire che la strada da intraprendere non la fa più l’editore ma grandi gruppi internazionali, come Apple appunto.
Eppure iPad è la fine di un viaggio che inizia online per il lettore, perchè per convincerlo ad un abbonamento mensile, anche su una tavola così ben progettata, ci vuole molto di più: gli editori sono andati online. Molti lo hanno fatto subito, cercando di dare un clone digitale alle loro riviste, acquisendo portali specializzati, e popolandoli di news gratuite, cercando di dare sempre un occhio di riguardo alla qualità. Google fa il resto. Porta online i contenuti, li diffonde, e con dispiacere di molti, toglie spesso un po’ di risalto a quegli editori che non vogliono essere posti al livello di altri (Google News ha subito più volte questo genere di attacco, con una argomentazione forse poco comprensibile).
La pubblicità online è fortemente diversa da quella su carta: gli editori hanno scoperto questo aspetto a poco per volta. Se l’online deve essere misurabile, è vero che i risultati per gli inserzionisti si ottengono spesso con progetti editoriali molto ben strutturati ed un connubio di creatività e contenuto che per molti editori non è stato da subito scontato. Ancora più difficile far rendere gli investimenti pubblicitari su dispositivi come iPad, che di fatto riescono a monetizzare molto bene, grazie alle decine di applicazioni, solamente quando il target individuato è corretto e il format scelto adatto a quello che un utente di iPad si aspetta da una applicazione.
Per molti editori non hanno funzionato neanche i contenuti a pagamento, e solo dopo alcuni mesi sembra sia tornato chiaro che non tutti possono permettersi di farlo – il Financial Times lo fa con ottimi risultati – e l’informazione online, che agli italiani piace come dicono i rapporti degli ultimi mesi, sono e devono rimanere online per una percentuale altissima di editori. Nel tessuto italiano c’è chi innova e ha saputo fare online un ottimo lavoro, come la Be-Ma, di proprietà di Gisella Bertini Malgarini, presidente Anes (Associazione nazionale editoria periodica specializzata) che ha voluto per la sua casa editrice una serie di portali con news gratuite, seo-oriented, e ha puntato sulla fidelizzazione dei suoi lettori online tramite newsletter, per poi traghettarli sui contenuti cartacei, a valore aggiunto.

Motori di ricerca, gli editori impareranno a conviverci
Se offline è difficile pubblicizzare le proprie pubblicazioni, online i contenuti gratuiti hanno come spinta naturale quella dei motori di ricerca, ma l’investimento si sposta solamente di livello: i contenuti che scalano le SERP dei motori sono quelli di qualità, prodotti da redazioni che hanno esperienza nel web e sanno come cambia l’approccio di lettura online. Oltre oceano, AOL, un colosso del web 1.0, ha rivoluzionato la sua struttura per iniziare a produrre migliaia di contenuti ogni giorno, assumendo giornalisti e divenendo in poco tempo uno dei primi nella raccolta pubblicitaria online per determinati settori. Poche settimane fa ha acquisito TechCrunch, un blog di tecnologia con quasi 10 milioni di contatti mensili da tutto il mondo.

Nessuno di questi gruppi vede i motori di ricerca come un ostacolo, sono consapevoli che molto del loro traffico giunge da li e stanno imparando a monetizzarlo. Certo, il confronto con il web italiano è distante, ma fornisce alcune indicazioni di spessore, su come ad esempio debba essere un portale, o come ci si debba porre nei confronti di utenti che ora, online, possono anche commentare i contenuti. Se è vero che questo genere di iniziative non hanno conosciuto la carta stampata e hanno quindi una “mentalità” diversa, è anche vero che chi ha la carta stampata può ancora sfruttarne il risalto per affiancarla a quello che fa online e costruire così un piano di passaggio più solido.
Il problema di fondo rimane il tempo, gli editori di oggi non hanno ulteriore tempo per le valutazioni e per l’ascolto di numeri in picchiata, devono scegliere una strategia e applicarla.

Fonte: LazioSide