Perché Confindustria, Confcommercio, Cna, Confesercenti e gli altri si devono preoccupare per Sergio Marchionne.

0
564

La decisione di Fiat di uscire dalla Confindustria, benché temperata da un immancabile “temporaneamente” potrebbe comportare conseguenze sistemiche nell’intero mondo politico ed economico italiano. Solo Sergio Marchionne, affrancato dal peso della tradizione di una famiglia importante come quella Agnelli, poteva decidere un gesto così dirompente. Il problema è che le conseguenze sono potenzialmente devastanti. Primo punto: le grandi associazioni datoriali, e Confindustria prima tra queste, si reggono sulle quote associative. Fiat da sempre è una dei primi contributori del bilancio di Viale dell’Astronomia. Il pagamento di questa quota era il trade off con l’ingresso in un sistema di forte influenza politica che funzionava in due modi. La prima è che le aziende associate potevano contare sullo strumento della contrattazione collettiva, nei rapporti con i lavoratori, e nell’influenza dell’associazione presso il Governo di turno per provvedimenti non penalizzanti per la loro vita imprenditoriale. La seconda riguardava chi, attraverso l’associazione, poteva tentare la carta della politica. Un sistema di cooptazione delle classi dirigenti che funzionava come un metronomo, e che utilizzava Confindustria, come Confcommercio, come Cna o altre sigle datoriali per inserire personale, anche a livello locale, nella classe politica italiana. Si trattava di un mondo collaudato, che funzionava così dal dopoguerra e forse anche da prima. Marchionne verso queste cose, evidentemente, non ha alcun interesse. Anzi. Uscendo da Confindustria otterrà da subito un forte risparmio di cassa se non ha garantito all’associazione il versamento delle proprie quote associative. Non solo. I contratti collettivi Fiat se li fa da soli, perché in un mondo senza lavoro ha una posizione dominante tale che non c’è contrattazione collettiva che tenga. Essendo impresa internazionale poi può decidere senza problemi di spostare le produzioni dove i lavoratori sono meno ostili o meno disposti a venire incontro ai desiderata dell’azienda. Lo stesso vale per i provvedimenti del Governo. Se il Governo italiano crea problemi a Fiat, Fiat semplicemente lascia l’Italia e lascia per strada migliaia di lavoratori. Il punto è che Marchionne ha capito che chi offre lavoro, in un ambiente dove l’impiego di manodopera è sempre meno richiesto, vince. Un dato riportato nel corso della trasmissione Report per capire meglio il discorso. Negli anni 60 erano occupati 20,2 milioni di italiani su 47 milioni di residenti. Nel 1999 dopo che il Pil italiano era cresciuto a prezzi costanti del 360% gli italiani erano 52 milioni ma gli occupati erano solo 20,4 milioni. E dal 1999 questa dinamica, con la globalizzazione e l’adozione di tecnologie sempre meno labour intensive, è andata ulteriormente accelerando. Ergo Marchionne ha deciso che Confindustria non gli serviva praticamente più a nulla, tanto più che a differenza della famiglia Agnelli non ha alcuna sensibilità politica o di ruolo dirigente in Italia. Il problema oggi è solo uno. Marchionne, si dirà, e la Fiat se lo possono permettere. Gli altri invece no. Azzardo allora una previsione. Gli altri, anche la piccola o media impresa, non è che non se lo possa permettere, semplicemente non ha ancora compreso quanto è accaduto nei giorni scorsi. E quando lo capirà per Confndustria, Confcommercio, Cna, Confesercenti e quant’altro non è possibile non prevedere tempi abbastanza bui.

di Pietro Colagiovanni