Fisco, dalla pressione all’oppressione fiscale il passo può essere breve

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Secondo un’analisi compiuta dalla Confesercenti l’Italia non è solo il paese con una pressione fiscale fra le più alte (43,5% nel 2009; al terzo posto, dietro Danimarca e Svezia, fra i 33 paesi dell’area Ocse), ma è anche la patria degli adempimenti fiscali, che sembrano non finire mai.
Indicazioni in tal senso emergono dalla recente indagine della Banca Mondiale che, stilando la graduatoria sulla complessità degli adempimenti fiscali in 183 paesi, colloca l’Italia al 123° posto, stimando che ogni azienda vi dedichi l’equivalente di 285 ore di lavoro: il doppio di Francia e Olanda, il 50% in più di Spagna e Germania; 60 ore in più della media europea.
1. Una conferma del peso della nostra burocrazia fiscale scaturisce da una ricognizione sulle scadenze fiscali che attendono al varco i contribuenti italiani nel corso del 2011.
Il risultato che se ne trae offre un panorama affollato ed ansiogeno, in cui, prima ancora di dichiarare e pagare, è già arduo orientarsi fra gli innumerevoli adempimenti di competenza. La semplice elencazione delle scadenze (solo quelle di natura fiscale, si sottolinea), ha richiesto ben 16 pagine che vengono fornite in allegato. Questa è la prova che c’è urgente bisogno di un’azione di riduzione degli adempimenti fiscali.
2. Scorrendo le diverse scadenze, è possibile scoprire che:
a) sono ben 694 nell’arco dell’anno e interessano 103 giorni;
b) ogni mese se ne contano mediamente quasi 60 (57,8), con una frequenza pari a 2,75 per ciascuno dei 252 giorni lavorativi del 2011;
c) il mese più convulso è luglio (con 74 scadenze) mentre quello più tranquillo è maggio (con “appena” 49);
d) il giorno in cui si addensa il maggior numero di scadenze (una sorta di apice della complessità fiscale) è il 16 luglio: se ne contano ben 45;
e) molti degli appuntamenti con il fisco sono frutto di una ripetitività che non sempre appare giustificata dalla volontà di agevolare il contribuente (rateizzando i pagamenti) o l’Erario (accelerando i tempi di riscossione).
Così, ad esempio, adempimenti come il versamento dell’imposta sugli intrattenimenti o della recente imposta sostitutiva sui premi di produttività potevano (e potrebbero) essere concentrati in un numero ridotto di scadenze.
Allo stesso modo, incombenze come quelle legate alla scheda carburanti (rilevazione chilometri) o alla recente comunicazione dei dati degli operatori di paesi black list potrebbero agevolmente (e senza pregiudizi per l’attività di controllo) prevedere una frequenza più scaglionata.
3. Gli oneri amministrativi che fanno da corollario al pagamento delle imposte rappresentano un significativo onere aggiuntivo per gli operatori economici e soprattutto per le PMI.
Semplificare vuol dire allora anche ridurre i costi di gestione finora fin troppo pesanti. Non va sottovalutato quanto finora fatto in particolare dalla Funzione Pubblica che ha portato ad accordi positivi con il mondo delle PMI ma occorre proseguire con determinazione. Non va dimenticato quanto emerge da una recente analisi condotta da Agenzia delle entrate e Dipartimento per la funzione pubblica, secondo cui la burocrazia fiscale costa alle piccole e medie imprese italiane 2,7 miliardi l’anno (fra i 1.900 e i 2.300 euro, in media).
Un risultato impressionante, anche se tiene conto solo di un limitato numero di adempimenti: quelli di natura informativa relativi alla comunicazione di dati IVA, alla richiesta di rimborsi e alla dichiarazione dei sostituti d’imposta (modello 770) e IVA. La rilevanza del fenomeno, d’altra parte, è testimoniata dall’attenzione prestata dalla Commissione Europea, che ha avviato un “Programma d’azione per la riduzione degli oneri amministrativi “in misura pari al 25%, nonché dal varo, nel nostro paese, della specifica norma intesa a garantire l’effettivo conseguimento di tale obiettivo (il c.d. “taglia oneri amministrativi”, art. 25 del D.L. 112/2008).
Si tratta di un obiettivo non da poco che, se attuato, consentirebbe di conseguire contemporaneamente due risultati. Da un lato, si libererebbero ingenti risorse da destinare all’attività produttiva: per le sole PMI si tratterebbe di almeno 650 milioni l’anno (ossia oltre 500 € per operatore economico). Dall’altro ne guadagnerebbe l’efficienza della pubblica amministrazione, con una riduzione dei costi di gestione del sistema tributario.