Confcommercio: servizi e commercio tra recessione e ripresa

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Negli ultimi decenni il macrosettore dei servizi ha assunto un ruolo centrale nella nostra economia: a questa crescita hanno contribuito essenzialmente i servizi privati non finanziari (servizi di mercato). La riallocazione mondiale delle attività manifatturiere verso i Paesi emergenti si associa a una profonda tendenza a enfatizzare il ruolo delle abilità e delle competenze incorporate nei beni oggetto degli scambi: l’oggetto degli scambi è sempre più riconoscibile non nei prodotti materiali quanto nel contributo del capitale umano fissato all’interno dei beni. In Italia, prodotto lordo, reddito e consumi non crescono significativamente da troppo tempo.

E’ quanto si legge in un documento dell’Ufficio Studi Confcommercio che analizza il ruolo e l’evoluzione negli ultimi anni delle imprese dei servizi di mercato e del commercio. Se l’ammontare complessivo di risorse destinabili ai consumi non cresce – prosegue l’analisi dell’Ufficio Studi – e se questo ammontare viene ulteriormente compresso dalla quota crescente di spese obbligate cui i cittadini devono fare fronte (es. bollette, affitti, utenze, ecc.), si comprende come le difficoltà incontrate dal commercio, sia all’ingrosso che al dettaglio, siano di particolare gravità. Infatti, proprio queste spese, sostanzialmente al di fuori dalla potestà di scelta dei consumatori, sono cresciute in quota sui consumi totali dal 18,9% del 1970 al 29,5% del 2010. Uno degli effetti più visibili – l’altro è la riduzione dei margini delle imprese – di tali difficoltà, si riscontra dai dati di nati-mortalità delle imprese.

Nel biennio 2009-2010, anche per il prolungarsi degli effetti della recessione, le statistiche delle Camere di Commercio hanno registrato ben 129.664 cessazioni di attività al dettaglio che, a fronte delle oltre 98 mila nuove iscrizioni, hanno determinato un consistente saldo negativo, pari a -30.912 unità. E’ in questo macro-contesto che va valutato il ruolo dell’attività di intermediazione commerciale e del commercio al dettaglio, con particolare riguardo agli impegni messi in campo dalla vasta imprenditoria dell’impresa diffusa e della micro e piccola impresa. Impegno volto a rigenerarsi in un commercio innovativo, che crei valore per il cittadino-consumatore, capace di intercettare nuovi, mutevoli e complessi stili di consumo e di acquisto.

E nel commercio, che è sostanzialmente uno dei pochi settori liberalizzati, la concorrenza non fa sconti: contribuisce all’espulsione dei soggetti marginali e residuali e premia gli imprenditori che generano ricchezza, cioè gli innovatori e i creativi. In ogni caso, il ruolo dei servizi e del commercio, pure in un contesto di stagnazione dei consumi, appare ancora vitale. Durante e dopo la recessione del 2008-2009, i cui effetti in qualche misura si protraggono ancora oggi, il commercio al dettaglio ha perso valore aggiunto per occupato nella misura dell’1,5%, in linea con l’economia nel complesso.

La riduzione di occupazione nel settore (-2,3%), tuttavia, è stata inferiore sia a quella patita da altri settori (l’industria ha registrato un -10,5%), sia alla media dell’economia (-3,9%). Nelle imprese individuali, fatto 100 il totale imprese con titolare immigrato, oltre 43 appartengono al commercio. In ogni caso, la concorrenza e il pluralismo distributivo hanno anche effetti benefici sulla dimensione media d’impresa e sulla produttività, effetti che si vedono con lentezza a causa della difficoltà del sistema-Paese di crescere. La crescita della superficie media di vendita, relativa solo ai piccoli negozi, è stata a livello nazionale di oltre il 4%. E’ stata del 5,4% nel Mezzogiorno, che come superficie media dei piccoli negozi (54,8 metri quadrati, come il Nord-Est) è ai vertici, anche a causa della minore presenza di grande distribuzione moderna, fenomeno in parte causato da ragioni morfologiche del territorio nonché dalla minore presenza di grandi bacini d’attrazione con popolazione concentrata.

La produttività del commercio al dettaglio deve crescere di più e più rapidamente. In nessun caso, i valori del pluralismo distributivo devono essere invocati per rallentare oppure ostacolare l’innovazione, la creatività, la riorganizzazione, la produttività del settore dell’intermediazione commerciale. Tre sono i pilastri su cui fondare la generazione di nuova produttività: 1) la liberalizzazione dei settori ancora protetti che assorbono risorse dal reddito disponibile dei cittadini, proponendo a prezzi troppo elevati soprattutto i consumi obbligati, e che implicano costi di produzione in eccesso per le imprese, in particolare le micro e piccole imprese e l’impresa diffusa; 2) il ritorno alla crescita dei consumi i quali, indirizzandosi per l’80% a produzione nazionale, sono lo stimolo che da troppo tempo manca per fare crescere il Pil; 3) lo sviluppo delle reti d’impresa e le politiche di incentivazione non discrezionale all’aggregazione tra imprese, non tanto in termini giuridici quanto, soprattutto, in termini organizzativi.