Nomisma, mercato immobiliare: calano i prezzi ma le compravendite non ripartono

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Nelle 13 grandi città i valori immobiliari calano solo lievemente (-0,7% abitazioni, -0,9% uffici e -0,7% negozi nel I semestre 2011) e non ripartono le compravendite (-3,7% abitazioni, -4,4% uffici e -8,9% negozi nel I trimestre 2011), ma a preoccupare il settore è l’eccesso di offerta e la scarsa liquidità dei mercati. Lo rileva la società di studi economici Nomisma nel suo rapporto sul mercato immobiliare 2011.

Nel primo semestre dell’anno in corso, la curva dei prezzi degli immobili mantiene un’inclinazione negativa. La strutturale rigidità dei prezzi degli immobili in Italia nella fase recessiva, che può essere interpretata come una inefficienza del nostro mercato nell’adattare i valori alla flessione e alla ricomposizione della domanda, è espressa dalle ultime variazioni semestrali dell’ordine del -0,6% per le abitazioni usate (-0,7% per le abitazioni nel complesso), del -0,9% per gli uffici e del -0,7% per i negozi.

Risale al secondo semestre del 2008 l’inversione di tendenza dei prezzi medi delle abitazioni nei 13 maggiori mercati italiani e, a distanza di 3 anni, il deprezzamento è stato del 7,3% in termini nominali e del 14% in termini reali.
Nei segmenti degli immobili per l’impresa, uffici e negozi, l’inizio della fase di flessione dei prezzi è collocabile nel primo semestre del 2009 e, ad oggi, è stato accumulato un decremento rispettivamente del 6,5% e del 5,3% sui valori nominali (12% e 10% sui valori reali). Nei segmenti direzionale e commerciale la contrazione dei valori immobiliari, che generalmente è risultata più marcata nelle prime location, è stata la conseguenza di una mancata attivazione della domanda attesa e di un contestuale processo di razionalizzazione da parte delle aziende, che non pare destinato ad esaurirsi nel breve termine.

In questo quadro di difficoltà di incontro tra un’offerta ingente e attendista e una domanda debole, lo sconto medio praticato sul prezzo richiesto ha subito modeste oscillazioni, posizionandosi in tutti i segmenti leggermente al di sotto dello sconto massimo registrato all’interno dell’attuale ciclo riflessivo, riconducibile al secondo semestre del 2009. Per le abitazioni usate lo sconto è mediamente del 12%, per quelle nuove del 7%, per gli uffici del 13,3% ed, infine, per i negozi del 12,4%. La fragilità dell’attuale quadro continua ad essere confermata dall’ulteriore allungamento dei tempi di vendita e di locazione, nonché da segnali di relativo peggioramento nel grado di liquidità degli immobili, sia residenziali che d’impresa. Per le abitazioni nel complesso il tempo medio di vendita si attesta a 6,4 mesi, per gli uffici a 8,5 mesi ed, infine, per i negozi 7,6 mesi.

Se i valori di mercato descrivono a tinte un po’ sfumate l’attuale ciclo recessivo del mercato immobiliare italiano, l’indicatore delle quantità scambiate è più eloquente. L’inclinazione della curva che esprime la linea di tendenza delle quantità transitate sul mercato è negativa e più accentuata per uffici e negozi, rispetto alle abitazioni.

Le compravendite di abitazioni si ridimensionano a partire dal 2007 e, in quattro anni, calano di oltre 250 mila unità (il 26,4% delle transazioni registrate nel 2008). Dopo che nel 2010 si era registrata una certa stabilità delle quantità transitate sul mercato, ci si attendeva il protrarsi di tale tendenza anche nel 2011. Ma già nel primo trimestre si è rilevato un nuovo calo in tutti i segmenti: complessivamente le compravendite sono state poco meno di 300.000, il 3,6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2010 (-3,7% per il residenziale, -4,4% per il terziario, -8,9% per il commerciale e -2,1% per il produttivo). Per quanto riguarda il residenziale, la flessione registrata nel primo trimestre del 2011 dovrebbe essersi addirittura acuita nel secondo. La prospettiva di un nuovo minimo dei volumi di compravendita appare oggi pressoché certa, anche se una valutazione dell’entità del calo rispetto alle 611.878 transazioni del 2010 potrà essere fatta solo una volta che la situazione sui mercati finanziari si sarà stabilizzata. Per l’anno in corso lo scenario base prevede un numero di scambi pari a 590.600 unità, mentre nello scenario pessimistico si arriva addirittura a quota 575 mila transazioni (con un calo nel secondo trimestre dell’anno del 6/7%).

La criticità del contesto accentuerà la pressione ribassista sui prezzi, la cui capacità di tenuta non potrà non avere conseguenze sulle dinamiche generali del settore in termini di livelli di attività. Se l’aggancio della ripresa globale e il ritorno ad una situazione di “normalità allocativa” da parte delle banche rappresentavano, fino a qualche mese fa, gli elementi che, in prospettiva, potevano favorire una graduale riduzione della distanza tra domanda e offerta, il quadro appare oggi meno favorevole.

Per il mercato al dettaglio, a preoccupare sono il perdurare dei segnali di difficoltà di accesso al credito e le prime avvisaglie sul deterioramento della condizione finanziaria delle famiglie italiane.
Se sul fronte del mercato degli investimenti la percezione di rischiosità del contesto non giustifica professioni di ottimismo, anche su quello al dettaglio la situazione continua a permanere preoccupante. A pesare negativamente sulle prospettive immediate è, in questo caso, la distanza venutasi a creare tra le capacità di spesa della domanda potenziale e gli attuali valori di mercato, oltreché il venir meno del clima di fiducia, quasi irrazionale, che aveva accompagnato una fase espansiva inusitatamente prolungata.

Nonostante il crollo di oltre il 30% dei livelli di attività rispetto ai picchi del comparto residenziale, i prezzi continuano ad evidenziare, a tutt’oggi, un’eccellente capacità di tenuta, come si può apprezzare anche dall’ultima rilevazione congiunturale. In un contesto che, in poco tempo, ha visto sviluppare una diffusa e massiccia dipendenza da credito per garantire l’accesso al settore, il mantenimento dei livelli di prezzo raggiunti, a fronte di un deterioramento delle capacità reddituali attuali e prospettiche, nonché di un significativo irrigidimento dei criteri che disciplinano l’allocazione da parte delle banche, rappresenta di fatto una barriera all’entrata quasi insormontabile.

L’insolita e, per certi versi, forzosa distanza che separa le famiglie italiane e l’acquisto della casa è emersa in maniera inequivocabile dalle risultanze di un’indagine Nomisma del maggio scorso, da cui emerge una propensione all’investimento nei prossimi mesi attestata su livelli minimi e una dipendenza da mutuo, decisamente marcata, dell’esigua quota che si è detta interessata all’acquisto.
Per il mercato d’impresa emerge l’incapacità di attrarre investitori stranieri.
Gli investitori stranieri, specie in una fase come l’attuale, tendono a privilegiare i mercati più solidi dal punto di vista delle prospettive economiche complessive, confermando la propria diffidenza nei confronti dei contesti meno liquidi. Le incertezze legate alla sostenibilità del debito, acuite dalle recenti incursioni speculative, unitamente all’incapacità di realizzare riforme strutturali coerenti con la gravità del quadro, pongono l’Italia in una posizione di oggettivo svantaggio nell’ambito della destinazione target della maggior parte degli investitori cross-border.

Se, dopo la pesante contrazione che ha caratterizzato il biennio i livelli di attività in Europa sono aumentati per il sesto quadrimestre consecutivo, non può non sfuggire il fatto che il nostro Paese continui ad avere un ruolo marginale a vantaggio, non solo dei mercati tradizionalmente di maggiore appeal, quali Regno Unito, Olanda e Francia, ma di realtà più solide dal punto di vista dei fondamentali economici (Germania e Svezia) e, in prospettiva, dei Paesi dell’Europa orientale se non addirittura della Spagna.

Il mercato italiano rimane, dunque, prevalentemente appannaggio degli investitori domestici, scontando le conseguenze dell’innalzamento del livello di rischiosità percepita. Al proposito si pensi che, con l’impennata recente di natura speculativa dei rendimenti dei titoli di Stato, il differenziale tra i BTP decennali e i rendimenti primari di uffici a Milano è approdato addirittura in territorio negativo, analogamente a quanto potrebbe accadere entro fine anno nel West End di Londra, ovvero il principale mercato europeo. La fragilità del quadro sembra giustificare la ritrosia degli investitori stranieri nei confronti dell’Italia

Revisione al ribasso delle previsioni…
Nella definizione degli scenari futuri, sia sul versante corporate che su quello retail, l’offerta giocherà un ruolo tutt’altro che marginale. Al di là dell’inevitabile adeguamento delle aspettative di ricavo alle mutate condizioni di mercato, sarà soprattutto l’elemento quantitativo ad avere un effetto decisivo nell’orientamento delle dinamiche di breve-medio periodo. L’ingente mole delle iniziative in fase di sviluppo o anche solo programmate, da una parte, e le garanzie immobiliari di crediti in default che le banche stanno faticosamente cercando di gestire, dall’altra, rischiano, infatti, di concorrere ad alimentare un mercato incapace di garantire un adeguato assorbimento.
Alla luce della situazione delineata, la prospettiva di stagnazione che emerge dalle risultanze dei modelli econometrici (oltreché dall’analisi delle dinamiche delle crisi precedenti) rappresenta, ad oggi, la massima professione di ottimismo possibile.