Farmaci, Femca Cisl: rischi per l’industria farmaceutica in Italia

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Riceviamo e pubblichiamo

Ci sono molte riflessioni sulla proposta che prevede l’obbligo per il medico “ salvo che non sussistano ragioni terapeutiche contrarie” di inserire “in ogni prescrizione medica anche le seguenti parole: o farmaco equivalente se di minor prezzo” ovvero di specificare “l’inesistenza del farmaco equivalente”.

Questa risulta essere chiaramente volta ad incentivare e privilegiare i farmaci generici/equivalenti e il loro mercato penalizzando i prodotti con marchio.

Ciò mette a rischio la permanenza in Italia di imprese farmaceutiche ad alta vocazione manifatturiera.

L’industria farmaceutica è un’industria manifatturiera, con fabbriche di alto livello tecnologico, che può contribuire alla crescita con la sua capacità di fare export (60% della produzione); con la sua buona occupazione qualificata (i laureati e i diplomati sono il 90% del totale); con gli investimenti in ricerca, innovazione e produzione sul territorio; con un indotto di eccellenza, leader a livello mondiale.

Un settore che genera in termini di investimenti, stipendi e imposte delle imprese significativi risultati per il Paese.

L’ industria farmaceutica in Italia ha 160 stabilimenti produttivi e ne fa il secondo produttore in Europa.

Mettere in difficoltà questo settore significa rischiare migliaia di posti di lavoro, proprio quando, mai come in questo momento, potrebbe rappresentare parte della soluzione ai problemi del Paese.

Questa norma rischia di svuotare il tessuto industriale italiano a vantaggio delle produzioni di Paesi emergenti (dato che la produzione di generici in Italia è di ridotte dimensioni) con standard di qualità non sempre in linea con quelli occidentali, e con il lavoro in quei Paesi, spesso non tutelato.

La misura ipotizzata ci pare del tutto ininfluente in termini di risparmio di spesa pubblica e per i consumatori.

Colpendo indiscriminatamente il marchio si può ipotizzare un calo di investimenti sul farmaco da parte delle imprese e il frutto della ricerca, ma costituisce anche per i pazienti un elemento di riconoscimento del prodotto, di fiducia verso l’azienda e, non ultimo, una garanzia di qualità.

Le disposizioni ipotizzate rischiano di togliere risorse a quelle aziende che continuano a fare ricerca finalizzata sia allo sviluppo di nuovi farmaci, sia all’incremento delle conoscenze dei prodotti anche quando il brevetto sia scaduto.

Inoltre e non da ultimo limita fortemente la libertà di scelta terapeutica del Medico, il cui giudizio è irrinunciabile per garantire la terapia più adeguata per un determinato Paziente.

La FEMCA pertanto chiede ai Ministeri competenti un incontro al fine di valutare costi e benefici di tale norma.