L’opzione-sostitutiva al posto del reintegro chiude il rapporto di lavoro

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La rinuncia alla reintegrazione sul posto di lavoro (conseguente a licenziamento illegittimo) in favore del pagamento dell’indennità sostitutiva di 15 mensilità determina l’immediata risoluzione del rapporto di lavoro; pertanto l’eventuale ritardo del datore di lavoro nel pagamento dell’indennità non comporta la permanenza in vita del rapporto di lavoro e la decorrenza dell’obbligazione retributiva. Con questa sentenza le Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza 18353, depositata il 3 settembre 14) mettono la parola fine ad uno dei dibattiti giurisprudenziali più accesi degli ultimi anni. Questo dibattito è stato sopito solo in parte dalla riforma Fornero (legge 92/12), la quale ha chiarito che la richiesta di pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra determina l’immeditata risoluzione del rapporto di lavoro.
L’affermazione del principio dovrebbe evitare che i licenziamenti intimati dopo l’entrata in vigore della riforma (quindi dopo il 18 luglio del 2012) siano investiti dal contrasto interpretativo, ma non ha risolto il problema per tutte quelle cause – molto numerose – regolate dalla vecchia disciplina.
La vicenda, come accennato, ruota intorno al meccanismo, previsto dall’articolo 18 (vecchio e nuovo) dello Statuto, che consente al lavoratore che ha ottenuto una sentenza di reintegrazione sul posto di lavoro, di optare per una soluzione diversa dal rientro in servizio: il pagamento di una somma (che si aggiunge al risarcimento del danno) di importo pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto.
Il problema sul quale si è creato il lungo e, fino ad oggi, irrisolto contrasto giurisprudenziale riguarda l’esatta individuazione del momento in cui la scelta del lavoratore determina la risoluzione del rapporto.Per dare risposta a questo problema si sono formati, nel tempo, due orientamenti, che hanno visto l’adesione trasversale di diverse corti di merito e di diverse sezioni della Cassazione. Secondo una prima interpretazione, avallata da una pronuncia della Corte costituzionale (sentenza 4 marzo 1992, n. 81), la norma contenuta nell’articolo 18, nella versione modificata nel 1990, configura una «obbligazione con facoltà alternativa del creditore», in virtù della quale il rapporto di lavoro non cessa con la semplice manfestazione della volontà di percepire l’indennità sostitutiva ma, piuttosto, si estingue solo al momento in cui l’indennità viene effettivamente pagata. L’effetto di questa lettura è che, fino al pagamento delle 15 mensilità, il datore di lavoro deve continuare a pagare le retribuzioni al lavoratore, che resta a tutti gli effetti un suo dipendente.
Alfredo Magnifico