Licenziamento legittimo se il lavoratore fa sesso sul lavoro

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Con la sentenza n. 23378 del 3 novembre 2014 la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per motivi disciplinari operato da un’azienda nei confronti di un lavoratore che era stato sorpreso a fare sesso durante l’orario di lavoro.  Il lavoratore ha lasciato la postazione per far sesso con una donna in un locale di servizio. La sentenza argomenta che il dipendente abbandonando il luogo di lavoro non ha rispettato i suoi obblighi contrattuali, compiendo tra l’altro un atto contrario ai doveri del servizio e con pericolo per la sicurezza, queste le motivazioni della Cassazione. Il lavoratore ha provato a difendersi dichiarando che si trattava di un allontanamento temporaneo.E’ stato licenziato per giusta causa, a seguito dell’iter previsto dallo Statuto dei lavoratori, il quale prevede una lettera di contestazione disciplinare.
Nella lettera che ha preceduto il licenziamento gli è stato contestato di non presenziare nella sua postazione lavorativa durante l’orario di lavoro, e senza avere una preventiva autorizzazione come previsto dal regolamento aziendale.Il lavoratore è stato infatti sorpreso da un utente nel locale in uso alla ditta di pulizie ubicato al piano banchina in atto sessuale con una donna. Il licenziamento confermato dalla Corte d’Appello. Il lavoratore, poi licenziato dall’azienda (quindi con irrogazione della massima sanzione prevista da parte del datore di lavoro) ha impugnato il licenziamento e citato in giudizio l’azienda. L’impugnativa proposta avverso il licenziamento veniva respinta dal Tribunale di Napoli e la Corte d’Appello di Napoli respingeva l’appello proposto dal lavoratore per “realizzata violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, unitamente ad un comportamento manifestamente contrario agli interessi dell’impresa”. E rendeva irrilevante il rispetto (o meno) della garanzia di affissione del codice disciplinare in azienda prevista dall’art. 7 primo comma della L. 300 del 1970.
La Corte d’Appello di Napoli ha ribadito che trattasi di “un allontanamento dalla postazione di lavoro per compiere un atto contrario ai doveri del servizio e con pericolo per la sicurezza”. E riteneva fondata la massima sanzione (il licenziamento per giusta causa), considerato anche che le mansioni cui il lavoratore era addetto, per le quali esso aveva particolare responsabilità per la gestione della sicurezza dell’impianto, quindi la condotta è connotata da particolare gravità.
Si è giunti alla Cassazione, innanzi alla quale l’Avvocato del lavoratore ha cercato di dimostrare che si trattava di un allontanamento temporaneo e che la contestazione disciplinare doveva portare ad una sanzione meno severa ossia la multa fino a 4 ore di retribuzione, essendo il lavoratore colpevole del non presenziare temporaneamente nel posto di lavoro e senza il necessario permesso. Quindi il lavoratore lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Legge n. 300 del 1970, chiedendo una sanzione pari ad una multa invece del licenziamento.
Le motivazioni della Cassazione: “Il ricorrente (sarebbe il lavoratore e il suo Avvocato), nel ricondurre l’addebito alla fattispecie dell’interruzione temporanea del servizio, trascura elementi che invece sono stati analizzati dalla Corte di merito e che essa ha considerato decisivi, quali la causale (voluttuaria e contraria ai doveri d’ufficio) dell’abbandono del servizio e la natura dei compiti (di vigilanza) assegnati. Tale sottovalutazione appare in contrasto non solo con il contenuto letterale della contestazione…, ma anche e soprattutto con i principi espressi da questa Corte in tema di individuazione della giusta causa di recesso e del giudizio di proporzionalità fra fatto addebitato e licenziamento, in ragione dei quali tale valutazione va fatta considerando l’addebito nel complesso dei suoi elementi oggettivi e soggettivi”.
La Corte di Cassazione, tra le varie motivazioni, ha ritenuto il licenziamento da parte dell’azienda proporzionale alla mancanza del lavoratore: “Nel caso in esame, le circostanze di fatto valorizzate dalla parte ricorrente (la temporaneità dell’allontanamento, l’ubicazione del magazzino, il livello di inquadramento, l’assenza di danni, l’assenza di precedenti disciplinari) sono circostanze che, pur prese in esame dalla Corte, non sono state ritenute significative, considerata la posizione del lavoratore, con il conseguente dovere di attenzione sotto il profilo della tutela della sicurezza degli utenti – la potenzialità lesiva dell’omissione, il fatto che l’attività cui si stava dedicando è stata effettivamente rilevata da un/utente sicché il magazzino era comunque raggiungibile”.
La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso del lavoratore e lo ha anche condannato alle spese processuali.
Alfredo Magnifico

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