Aumentano i licenziamenti disciplinari, effetto del Jobs Act

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L’Osservatorio sul precariato dell’INPS ha rilevato che nei primi mesi del 2016 i licenziamenti disciplinari sono aumentati del 28% questo aumento è una conseguenza del Jobs Act.

Nel decreto sono contenute delle modifiche sulle modalità di licenziamento, a partire dall’esclusione della reintegrazione dei lavoratori nei licenziamenti economici e dalla limitazione in caso di quelli nulli e discriminatori, fino alla previsione di termini per l’impugnazione del licenziamento e all’indennizzo economico certo in relazione anche all’anzianità di servizio.

I licenziamenti complessivi relativi ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono stati 562mila e risultano in aumento rispetto al 2015 quando furono 540mila e in leggero calo rispetto al 2014 quando furono 570mila questi dati dimostrano che obiettivo centrale del Jobs Act non è stato l’aumento dell’occupazione ma la crescita dei licenziamenti.

Le nuove norme hanno avuto effetto nelle aziende di medie e grandi dimensioni, magari in crisi, nelle quali ci sono meno scrupoli e meno mediazioni prima di decidere per il licenziamento. Crescono i licenziamenti individuali per ragioni disciplinari e si riducono a zero le possibilità di reintegrazione per i neo assunti in caso di ingiusto licenziamento. In un anno i licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo sono cresciuti da 37.232 unità del 2015 a a 48.322 unità nel 2016 facendo registrare un aumento del 33%.

Per tutti coloro che sono stati assunti con il contratto a tutele crescenti, previsto dal Jobs Act a partire da marzo del 2016, sono state cambiate le sanzioni,in caso di eventuale licenziamento con motivazione ingiusta, con la sostanziale cancellazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, si ha l’impossibilità alla reintegra sul posto di lavoro. La conclusione è che, , “senza lo spauracchio della reintegra le aziende medie e grandi si arrischiano in licenziamenti che prima del Jobs Act avrebbero evitato”.

Alfredo Magnifico

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