Il Made in Italy cresce con il lavoro degli stranieri

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I primi dati emersi nella Conferenza economica promossa dalla Cia-Agricoltori Italiani,  a Bologna , non solo smentiscono chiaramente chi non vede di buon occhio lo “straniero” che arriva in Italia ma dovrà ricredersi di fronte a questi numeri: le imprese agricole e alimentari attive nel nostro Paese fatte sorgere da stranieri creano ricchezza, versando nelle casse dello Stato oneri fiscali (6 miliardi) e previdenziali (5 miliardi) per un totale che supera gli 11 miliardi di euro.

Il loro apporto, in termini di specializzazione e innovazione, li rende ormai indispensabili, all’interno del tessuto imprenditoriale, per garantire la tenuta e la crescita produttiva del Made Italy agroalimentare tradizionale e di qualità in tutto il mondo. Oggi un’azienda agricola italiana su tre conta almeno un lavoratore nato altrove, in molti casi 25 mila unità è anche l’amministratore dell’impresaIn un contesto caratterizzato da un fermo nel ricambio generazionale nei campi, sotto il 7%, con i titolari d’azienda italiani con un età media superiore ai 60 anni, c’è il rischio concreto di un dimezzamento degli addetti nel settore, entro i prossimi 10 anni. Un pericolo che può essere scongiurato anche con l’ingresso di stranieri in agricoltura. Un’evoluzione, già in atto, testimoniata dai dati sugli occupati nel settore che parlano di 320 mila stranieri impegnati di cui 128 mila extracomunitari, tra stabili e stagionali. Tantissimi gli esempi di una integrazione che porta buoni frutti, basta pensare agli indiani Sikh abili nella cura degli allevamenti e che ora acquisiscono anche la maestria casearia. Il loro contributo è significativo anche nella produzione di Grana e Parmigiano Reggiano.I rumeni invece sono abili nelle tecniche di potatura di viti e ulivi, oltre che nella pastorizia; mentre i macedoni nei processi di vinificazione e nella manutenzione di piante e cantine. Gli inglesi e gli olandesi si concentrano nell’ambito delle produzioni innovative, tra questi molti si dedicano alla gestione di agriturismi e maneggi. Iniziano a registrarsi, nel segmento del turismo rurale, anche statunitensi e svizzeri.Questo scenario si colloca all’interno di un’Europa che registra analoghe dinamiche.   Rapide evoluzioni socio-economiche che vanno governate al meglio..“E’ necessario -ha spiegato il numero uno della Cia- creare un nuovo modello di sviluppo per l’Europa dei Popoli basato su cinque pilastri”. Partendo dalla scelta di:

  • Alimentare un’economia competitiva e sostenibile;
  • Combattere la povertà attraverso investimenti nelle aree rurali, lì dove l’inclusione degli immigrati oltre che possibile è utile e necessaria;
  • Finanziare la ricerca e l’innovazione;
  • Valorizzare le esperienze vincenti in agricoltura;
  • Lavorare per una Ue meno burocratica, più solidale e coerente nei comportamenti dei vari Stati membri.

Il settore primario, pur tra molte difficoltà strutturali, fattura dai campi 57,6 miliardi di euro nel nostro Paese dando lavoro a circa 1,2 milioni di addetti. In Europa sono attive 14 milioni di aziende agricole che impegnano più di 30 milioni di lavoratori. L’agricoltura, in questo senso, è un asset irrinunciabile guardando al futuro del tessuto sociale ed economico dell’Italia e dell’Unione europea.  

Alfredo Magnifico

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