I governatori regionali di centro destra scrivono al Governo: più competenza alle regioni

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Riportiamo la missiva “Proposte al Governo per la Fase 2: più competenze alle Regioni”. È stata inviata dai presidenti delle Regioni, guidate dal centrodestra, al presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, al ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia e, per conoscenza, al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e al presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico.

La Fase 1 dell’emergenza Covid-19 ha visto un accentramento dei poteri normativi in capo
al Governo, secondo lo schema decreto-legge + DPCM attuativi che ha posto problemi di
compatibilità con la Costituzione, sia con riferimento al coinvolgimento parlamentare, sia
con riferimento al rispetto delle competenze regionali.


Tale accentramento è stato comunque responsabilmente accettato dalle Regioni a causa
dell’assoluta emergenza e del principio di leale collaborazione tra livelli di governo, ma il
protrarsi, anche nell’attuale fase di superamento della stretta emergenza, di risposte
eccezionali, date rigidamente con atti del Presidente del Consiglio dei Ministri sprovvisti di forza di legge, potrebbe portare alla luce criticità anche notevoli circa la tenuta di un
impianto giuridico basato su atti amministrativi che, in quanto tali, sono sì
successivamente sindacabili innanzi al giudice amministrativo e, per ciò che concerne le
Regioni, anche presso la Corte Costituzionale, ma che sfuggono al controllo preventivo da
parte del potere pubblico e costituzionale.


Ad ogni modo adesso inizia la Fase 2. È una fase nuova, che si giustifica per una progressiva
diminuzione dell’emergenza.
Per questo motivo, è essenziale che si ritorni progressivamente ad un più pieno rispetto
dell’assetto costituzionale e del riparto di competenze tra lo Stato e le Regioni, sempre in
applicazione dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione.

È necessario giungere progressivamente ad una “normalizzazione dell’emergenza”, che
consenta un ritorno agli equilibri democratici previsti dalla Costituzione. E che porti, da un lato, a svolgere quanto prima le elezioni nelle Regioni a fine consiliatura e, dall’altro, a riconsegnare alle Regioni le competenze provvisoriamente avocate al livello centrale.


Ogni territorio, infatti, ha le proprie specificità, sia da un punto di vista strutturale, sia da
un punto di vista epidemiologico. Essendoci dunque situazioni di oggettiva disomogeneità
di condizioni sul territorio nazionale, è necessario che si possano dare regolamentazioni
differenziate. Si deve perciò passare dalla logica dell’uniformità alla logica dell’uguaglianza.

Diversamente, trattando in modo uniforme situazioni diverse, si giungerebbe al paradosso
di aumentare le disuguaglianze, con una lesione della logica dei livelli essenziali da
garantire su tutto il territorio (art. 117, c. 2, lett. m, Cost.), del principio di valorizzazione
delle autonomie (art. 5 Cost.) e, soprattutto, del principio di uguaglianza sostanziale tra i
cittadini italiani (art. 3, c. 2, Cost.).


Come ha recentemente detto il Presidente della Corte costituzionale non si può affermare
che esista un diritto speciale per i tempi eccezionali, quali quelli che stiamo vivendo.
È dunque necessario mettere a punto un sistema di collaborazione tra governo centrale e
governi regionali maggiormente in linea con le prerogative costituzionali.
Un ordinato sistema di regolazione dell’emergenza Covid-19 dovrebbe portare il livello di
governo centrale ad adottare la cornice di riferimento, prevalentemente con atti normativi
primari, sottoposti al controllo parlamentare.

Tali atti potranno essere integrati da atti amministrativi (Dpcm) nello stretto limite di
quanto previsto dalle competenze statali, o richiesto dal principio di sussidiarietà.

Le prescrizioni concrete poste dal Governo centrale dovranno comunque lasciare uno
spazio di regolazione alle Regioni, per adattare le previsioni alle specifiche condizioni dei
territori.


In entrambi i casi, lo spazio per la regolazione regionale dovrà essere sottoposto ad un
rigoroso controllo da parte del Governo centrale, utilizzando parametri scientifici oggettivi
riferiti ad ogni sistema sanitario regionale, come ad esempio la saturazione dei posti letto
[in terapia intensiva / semi-intensiva] o l’indice R0, con scansioni temporali settimanali.
Ciò premesso in generale, con riferimento in particolare al mondo produttivo (ma senza,
per questo, ridimensionare in alcun modo gli enormi problemi presenti in altri settori quali,
ad esempio, la scuola dell’infanzia e dell’istruzione) si osserva che con il protrarsi delle
chiusure delle attività produttive e di quelle del terziario, come il commercio, il turismo, i
servizi, i trasporti e le professioni, e con la prospettiva che questa situazione si prolunghi
nel tempo, il quadro economico è destinato a peggiorare drasticamente e i consumi
rischiano un crollo generalizzato.


Pertanto ci attendiamo che il Governo recepisca da subito le istanze delle diverse
categorie produttive, in quanto prolungare il lockdown significa continuare a non produrre,
perdere clienti e relazioni internazionali e non fatturare, con l’effetto che molte imprese
finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese.
A questo punto è fondamentale realizzare un percorso rapido e chiaro, con decisioni
condivise basate su una interlocuzione costante tra Pubblica Amministrazione,
associazioni di categoria e sindacati che indichi le tappe per arrivare alla piena operatività.
È chiaro che la salute è il primo e imprescindibile obiettivo, ma non può essere l’unico. Del
resto il bene della vita ‘salute’ è caratterizzato da una molteplicità di profili: innanzitutto,
fisico e psicologico ed è evidente che quest’ultimo è gravemente compromesso dalla
perdita del lavoro e dai debiti.


Le Regioni condividono le fondate preoccupazioni delle categorie più volte espresse e
quindi, pur essendo pienamente consapevoli che il virus non conosce confini geografici,
sottolineano l’importanza di produrre il massimo sforzo per contemperare la doverosa
tutela della salute con la salvaguardia del tessuto economico, non solo per limitare allo
strettissimo indispensabile la compressione delle più importanti libertà fondamentali dei
cittadini ma anche per evitare che la gravissima crisi economica in atto diventi irreversibile,
con le catastrofiche conseguenze sociali correlate.


Per fare ciò pare assolutamente necessario che l’attuale struttura del DPCM 26 aprile
2020, imperniato su regole previste rigidamente in funzione della sola tipologia di attività
economica svolta e con la possibilità di adottare, nelle singole regioni, solamente misure
più restrittive, venga riformata in quanto non dotata della necessaria flessibilità capace di
riconoscere alle Regioni, laddove la situazione epidemiologica risulti migliorata e i modelli
previsionali di contagio in sostenuta decrescita, la possibilità di applicare nei loro territori
regole meno stringenti di quelle previste a livello nazionale, con una compressione delle libertà costituzionali strettamente proporzionata all’esigenza di tutela della salute
collettiva.


Si ritiene che un tanto sia conseguibile col riconoscimento alle singole Regioni della facoltà
di calibrare le aperture delle varie attività produttive.
È fondamentale, per quanto riguarda le attività produttive, industriali e commerciali,
mutare radicalmente la prospettiva, superando la logica della disciplina in base
all’enumerazione delle attività consentite in base, ad esempio, ai codici ATECO, per
giungere alla possibilità di definire le aperture in base alla capacità effettiva di rispettare
e far rispettare le misure di sanità pubblica atte a evitare il diffondersi del virus, da definire
in modo chiaro sulla base dell’interlocuzione tra Pubblica Amministrazione, associazioni di
categoria e sindacati e comunque non meno restrittive di quelle contenute nel DPCM 26
aprile 2020.


In estrema sintesi, dunque, le Regioni propongono, in presenza di una data situazione
epidemiologica riscontrabile oggettivamente e certificata dall’Autorità sanitaria delle
singole Regioni e sottoposta ad uno scrupoloso controllo del Governo, di garantire la
possibilità di poter riaprire la propria attività a tutti coloro che rispettino le misure già
previste dal DPCM del 26 aprile 2020 e dai protocolli di sicurezza aziendali.


Con spirito di collaborazione,

Regione Abruzzo – Presidente Marco Marsilio
Regione Basilicata – Presidente Vito Bardi
Regione Calabria – Presidente Jole Santelli
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Presidente Massimiliano Fedriga
Regione Liguria – Presidente Giovanni Toti
Regione Lombardia – Presidente Attilio Fontana
Regione Molise – Presidente Donato Toma
Regione Piemonte – Presidente Alberto Cirio
Regione Autonoma della Sardegna – Presidente Christian Solinas
Regione Siciliana – Presidente Nello Musumeci
Regione Umbria – Presidente Donatella Tesei
Regione Veneto – Presidente Luca Zaia
Provincia Autonoma di Trento – Presidente Maurizio Fugatti