Vino/ È vera la storia del vino annacquato?

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(da: Aislights).

Un comunicato della Coldiretti del 7 maggio, poi ripreso dal Sole 24 Ore, ha dato il via in pochi giorni a una polemica fondata su una notizia secondaria: la discussione, in sede di comitato speciale agricoltura della UE, sulla possibilità di aggiungere acqua ai vini che sono stati dealcolizzati, evidenziandolo in etichetta. Da qui, con un ardito salto interpretativo, la notizia in Italia si è trasformata nella visione di un futuro dove il vino potrà essere allungato con l’acqua. La questione del vino dealcolizzato è una infinitesima parte dei temi che compongono il nuovo corso della Politica Agricola Comune (la PAC) che dovrebbe avere inizio nel 2023. Da circa un anno si è iniziato a lavorare su alcune proposte di modifica del Regolamento n. 1308/2013, per l’inserimento delle categorie “vino dealcolizzato” (con titolo alcolometrico non superiore allo 0,5 per cento di volume di alcol) e “vino parzialmente dealcolizzato” (con titolo alcolometrico compreso tra lo 0,5 e il 9 per cento di volume di alcol).  L’idea è di armonizzare a livello europeo due tipologie di prodotto le cui definizioni e caratteristiche (e la loro stessa esistenza) sono oggi gestite dalle singole leggi nazionali.

 In Italia, ad esempio, il processo è consentito dal 2009 solo per i vini generici, nella misura massima del 20 per cento, a patto che il contenuto in alcol successivo all’intervento non sia inferiore ai 9 gradi. Le definizioni di “vino dealcolizzato” e “vino parzialmente dealcolizzato” non sono comunque ammesse. Tra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, i due organi legislativi dell’Europa, è in corso un laborioso negoziato che riflette le posizioni dominanti degli Stati cui i membri appartengono: il Parlamento vorrebbe regolare la dealcolizzazione solo per i vini da tavola, mentre il Consiglio vuole estendere la possibilità anche ai vini a denominazione. Possibilità che non significa in alcun modo obbligo: i regolamenti UE sono mediati dalle leggi nazionali, e dai disciplinari di produzione dei singoli consorzi.

La proposta di regolamentazione è caldeggiata dai paesi del Nord Europa, dove le bevande analcoliche sono molto diffuse, e ha trovato una solida sponda nei produttori più grandi, che vedono una occasione preziosa per vendere vino nei ricchi mercati a maggioranza musulmana, soprattutto Arabia Saudita e Indonesia. Le stesse modalità di dealcolizzazione sono tutt’ora oggetto di confronto: la pratica (si basa di norma sulla distillazione sottovuoto a bassa temperatura, oppure su filtrazioni a cartuccia o tramite membrana osmotica, mentre l’aggiunta di acqua (pietra dello scandalo del comunicato di Coldiretti) come coadiuvante del processo è considerata una soluzione aliena al mondo del vino e finora mai impiegata da nessuno stato membro della UE. Sulla regolamentazione dei vini dealcolizzati sarà necessario un lungo compromesso fra Parlamento, Consiglio dell’Unione Europea e Commissione Europea, di cui poco o nulla si saprà almeno fino all’inizio di giugno. (L’approfondimento su MilleVigne).