Economia/ Un italiano su 10 ha acquistato criptovalute

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FOTO DI REPERTORIO

La moneta digitale presto scaccerà quella cartacea. La pandemia sta accelerando i pagamenti online, il processo sembra inarrestabile. Vale anche per chi questo denaro sarà chiamato a conservarlo per noi. Sarà una banca? Tra le criptovalute la più famosa è il Bitcoin (Btc), il cui Protocollo fu creato nel 2009 da un anonimo sviluppatore informatico (o da un collettivo di hacker) con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto.  Dietro Bitcoin non c’è una banca a «garantire» il valore: ce ne saranno al massimo 21 milioni, ma ne circolano, ad oggi, circa 18,69 milioni; ce li si scambia in modalità peer-to-peer, oppure si possono «estrarre» (mining in inglese) con potenti computer dedicati, partecipando a un processo di calcolo che porta alla formazione di una stringa alfanumerica chiamata hash.  Il sistema di crittografia valida e rende sicure tutte le transazioni, in cambio di uno sconto sulle commissioni e una piccola parte dei Bitcoin appena creati.

Un Bitcoin valeva quasi nulla (0,01 euro) nel lontano 2009, ora si è assestato intorno ai 30mila euro, ma c’è chi dice che possa arrivare a 100mila. Bisogna maneggiarlo con cura perché è soggetto a grande volatilità. Almeno 1 italiano su 10 avrebbe già acquistato criptovalute, uno su sei sogna di farlo, tanto che la Consob ha lanciato l’allarme, per inseguire facili guadagni le famiglie investono sempre di più su trading online e cripto attività», a fronte di una «colossale ignoranza finanziaria», come conferma Luca Lixi, co-fondatore di Aegis SCF e Ceo di Lixi Invest. Oltre ai Bitcoin ci sono circa 3mila criptovalute: le più famose sono Ether, Litecoin, Shiba Inu e Dogecoin.

Il mining è una pratica costosa, servono importanti investimenti in software Asic (processori specifici ottimizzati per il mining) per acquistare il wallet e le chiavi crittografiche, è «energivora», ed è vietata in alcuni Paesi come la Russia o la Cina. Farlo da soli è poco vantaggioso: ci sono infatti vere e proprie mining farm (come a Singapore) organizzate per contenere i costi o pool di miners che condividono la potenza di calcolo dei pc per massimizzare l’obiettivo. 

Alcuni Paesi come il Salvador hanno iniziato un processo di «criptoizzazione»: comprano criptoasset invece delle valute locali. In Canada c’è un Etf che compra Bitcoin per conto degli investitori. Altri Paesi come il Giappone – dove il contante pesa per il 70% delle transazioni – pensano a un criptoyen entro l’anno. In gergo si chiamano Cbdc, Central bank digital currency. 

Persino l’Unione europea ci sta ragionando su. Mentre gli stipendi dei sindaci di New York o Miami sono già pagati in criptovalute in Italia non tutti hanno lo Spid, molte amministrazioni non accettano pagamenti digitali, ancora oggi i tabaccai pagano ai Monopoli le sigarette in contanti mentre ci sono pagamenti peer-to-peer attraverso criptovalute e gift card. Il mondo vola in aereo e qui siamo ancora con l’asinello.

(Per estratto da Dagospia)