Varie ed eventuali/ Il Pnrr in Italia, la dura realtà

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di Pietro Colagiovanni

Non riesco a pronunciarlo per intero, visto la mia avversione per l’ultimo termine. Il piano nazionale di ricostruzione e beeep è però assurto, oltre che a terreno di scontro tra l’attuale governo e la commissione europea, a possibile panacea di qualsiasi male italico e fonte di un nuovo miracolo economico. Ma è davvero così? Forse si, forse no ma quello che non va è, al solito, l’entusiasmo acritico dei suoi sostenitori e la carenza di analisi. In teoria il pnrr non è male, per due ordini di motivi. Il primo è che una parte dei fondi non deve essere restituito, il secondo è che per la prima volta l’Unione Europea si indebita in prima persona per acquisire le risorse necessarie a finanziare il piano, facendo un salto di qualità importante verso un unione di stati anziché un’accozzaglia burocratica poco funzionale come al momento l’istituzione europea è. Detto questo, a mio avviso, il problema sta nel come uno strumento in teoria utile viene poi utilizzato. E nel caso dell’Italia emergono tutte le fragilità di una costruzione statale debole, dispersiva, incline allo spreco e molto permeabile alla corruzione e a comportamenti opportunistici. La prima cosa che salta agli occhi è che il Pnrr non ha un visione d’insieme ma è un lungo elenco di opere, a volte utili a volte no, frammiste a iniziative (come il finanziamento di un torneo di briscola per anziani) che di infrastrutturale non hanno niente e diventano solo un solenne spreco di risorse. Ma questo non è un vizio del solo Pnrr. Tutti si riempiono la bocca di progettualità, di costruire futuri ma nella sostanza l’Italia, come Stato, come soggetto pubblico non ha alcuna capacità di traino, di innovazione ma anzi è in ritardo su qualsiasi tematica riguardi lo sviluppo di una comunità nel terzo millennio. Non è uno Stato digitale, non è uno Stato che sostiene  processi innovativi (vedi l’assurda ostilità allo smart working perchè bisogna sostenere i venditori di tramezzini), non è uno Stato efficiente, non è uno Stato che aiuta chi ha meriti o ambizioni innovative. E quindi che Pnrr poteva mai uscire fuori? Un elenco di soldi da spendere, in molti casi giustificati, in altri semplici sprechi di risorse per accontentare micro corpi elettorali o clientelari. Il secondo punto di criticità del Pnrr, se possibile, è ancora peggio del primo. Riguarda l’assoluta incapacità dello Stato italiano, in tutte le sue articolazioni operative e decentrate, di realizzare progetti e opere nei tempi previsti. Lo Stato italiano, dopo decenni di clientelismo e di immissione di persone per sola affiliazione, non ha le risorse tecniche, le progettualità per conseguire le ambizioni che un piano straordinario dovrebbe raggiungere. Non solo. Con l’allucinante politica di austerità seguita negli ultimi decenni le poche risorse tecniche disponibili (vedi gli uffici tecnici comunali) non stati ricostituiti nel momento in cui il personale esistente andava in pensione. Non solo. Le politiche retributive statali, quelle del posto fisso, dello stipendio sicuro nel nuovo mondo non sono più attrattive specie per le persone più professionali e preparate. Perchè in cambio di uno stipendio mediocre, nessun premio e nessuna prospettiva di carriera un giovane brillante e capace dovrebbe puntare sulla nostra Pubblica Amministrazione? Ed infatti non ci punta e in molti casi i concorsi pubblici non sono più quelli dipinti da Checco Zalone ma  vanno pure deserti. Insomma, anche nel caso del Pnrr la questione è sempre la solita: lo Stato italiano è debole, malato di corruzione e fortemente inefficiente, tutte cose che con un Piano straordinario di ricostruzione fanno proprio a cazzotti.