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Non solo fondi: dal 6 Maggio Morningstar lancia la sezione di analisi dedicata alle azioni quotate su Borsa Italiana

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Investors come first: è la mission con cui, più di 25 anni fa, è nata Morningstar dall’idea di un analista italo-americano.
E l’obiettivo non è cambiato nel tempo: dotare gli investitori di strumenti e conoscenze per scegliere con consapevolezza i prodotti di investimento.
Dai fondi, strumenti del risparmio gestito, oggi tra i più trasparenti e conosciuti dagli investitori, alle azioni il passo non è stato breve, ma necessario.
Più ancora dei fondi, le azioni sono tra gli investimenti maggiormente diffusi e presenti nei portafogli degli investitori italiani, istituzionali e privati, che accedono al mercato azionario con diverse conoscenze, prospettive e finalità.

Il prossimo 6 maggio, nel corso di un convegno riservato agli investitori professionali e alla stampa, Morningstar presenterà l’approccio metodologico e informativo dedicato ai titoli quotati sul listino italiano, nell’ottica dell’investitore di lungo periodo. Passando dall’analisi fondamentale dei titoli, fino alle regole di trasparenza presenti sul mercato borsistico.

Agenda:
Data: 6 maggio 2010
Ore 11.00 – Welcome coffee e Registrazione partecipanti
Ore 11.30 – Inizio lavori
Ore 13.00 – Light lunch
Location:
Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, Piazza Affari Milano
Introduzione lavori:
Davide Pelusi, Amministratore Delegato Morningstar Italy
Intervengono:
Paul D. Kaplan, Ph.D., CFA Quantitative Research Director Morningstar Europe
Alessandra Franzosi, Institutional & Business Support Manager, Borsa Italiana
Corrado Cassarscalia, Head of Sales and Marketing Morningstar Italy
L’evento è rivolto esclusivamente a investitori professionali, analisti finanziari e portfolio manager.

Il metro dei valori di mercato nelle cessioni immobiliari “dubbie”

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Sostanziale coincidenza tra parte venditrice e parte acquirente: compravendita o assegnazione agevolata?
Ipotizziamo il seguente caso operativo.
La società Alfa Srl si è costituita nel 2002 con capitale sociale di 10mila euro, detenuto da tre soci al 33,3% l’uno. Nel 2003 ha acquistato un terreno edificabile e ha dato inizio alla costruzione di tre villette, che, nel 2006, ha ceduto ai tre soci.
Appare dunque piuttosto evidente, in casi come questo, la costituzione della società in funzione della realizzazione e rivendita ai soci degli immobili costruiti.
Laddove poi la “vendita” degli immobili ai soci avvenga per valori inferiori a quelli di mercato, tale circostanza, oltre a disvelare la vera ragione della originaria costituzione della società, comporterà anche, per la stessa società, la chiusura in perdita e la possibilità di vantare crediti Iva.

L’ufficio, vista anche la qualifica degli acquirenti, potrà allora contestare che, in realtà, si è trattato di un’assegnazione a soci e non di una vendita, laddove invece, in caso di vendita, gli immobili sarebbero dovuti essere ceduti al prezzo mediamente praticato per beni simili sul mercato, determinato ai sensi dell’articolo 9 del Tuir.
Per la determinazione di tale valore medio, l’ufficio potrà fare del resto riferimento al prezzo medio al metro quadro rilevato dall’Agenzia del Territorio, utilizzando i dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare.

E’ facile prevedere che a una tale ricostruzione il contribuente si possa opporre contestando l’assenza della prova della simulata assegnazione.
L’ufficio, però, in un caso come quello sopra evidenziato, non riterrebbe in realtà simulato (nel senso civilistico del termine) il contratto di compravendita, ma, semplicemente, ai fini fiscali, evidenzierebbe come la forma non corrisponde alla sostanza dell’operazione, finalizzata a un illecito risparmio fiscale, individuabile appunto nelle imposte non versate sul prezzo artatamente ridotto grazie alla sostanziale coincidenza tra parte venditrice e parte acquirente.
Del resto, in caso di simulazione sussiste una volontà diversa da quella manifestata, mentre nel caso di specie i contratti sarebbero realmente voluti dalle parti, ma finalizzati al proposito di aggirare una norma fiscale e ottenere un illecito risparmio di imposta.
Le due fattispecie dunque non sono assimilabili.
Le operazioni relative a tali comportamenti potrebbero quindi essere legittimamente riqualificate dall’Amministrazione Finanziaria.

Proprio perché bisogna avere riguardo all’intrinseca natura dell’operazione, anche se non vi corrispondono il titolo e la forma apparente, vengono infatti in considerazione, ai fini impositivi, non solo gli effetti voluti dalle parti, ma anche quelli che, anche se non voluti, il negozio è oggettivamente (fiscalmente) idoneo a produrre, compresa la rideterminazione del corretto valore normale degli immobili svenduti “a saldo” ai soci, in maniera antieconomica rispetto al fine di lucro tipico di una società di capitali con personalità giuridica autonoma.
E nel far questo, come detto, l’ufficio potrà anche utilizzare i valori Omi, seppur nei limiti e con le modalità indicate anche dalla recente circolare n. 18/E del 14 aprile, la quale ha ricordato come lo scostamento dai valori Omi dovrà comunque essere supportato da altri elementi presuntivi idonei a integrare la prova della pretesa.

L’avvenuta approvazione della legge comunitaria 2008 non ha comportato, infatti, la totale scomparsa del concetto di valore normale, così come determinato sulla base dei dati Omi, comportandone semmai la “retrocessione giuridica” da presunzione legale relativa a presunzione semplice e, pertanto, l’eventuale scostamento tra valore normale e prezzo dichiarato, potrà costituire comunque un elemento utilizzabile in sede di accertamento di tipo analitico-induttivo, il quale, grazie ad altri elementi di supporto e integrazione, potrà poi assumere valore di presunzione semplice qualificata, ossia “grave, precisa e concordante”.
A quel punto spetterà al contribuente, per dimostrare l’illegittimità della ricostruzione dell’ufficio e delle prove utilizzate, in ottemperanza al suo specifico onere della prova, mettersi “nelle condizioni di attivarsi e di dimostrare o l’impossibilità di un loro utilizzo nella fattispecie concreta ovvero l’inaffidabilità del risultato ottenuto, eventualmente confermando al contempo con altre presunzioni la validità del proprio operato” (vedi Cassazione sentenza 2891/2002).

Del resto, per concludere, in un caso come quello sopra evidenziato, i valori Omi sarebbero solo il mezzo attraverso cui quantificare l’illecito risparmio, ma la ratio del recupero sarebbe in realtà, come detto, quella dell’abuso del diritto; abuso reso possibile dalla sostanziale (anche se non formale) coincidenza tra parte cedente e parte acquirente, ricercata proprio al fine della futura sottofatturazione nella compravendita degli immobili.
Onere dell’Amministrazione finanziaria sarà dunque, in questi casi, individuare quale sia la corretta operazione fisiologica che il contribuente avrebbe dovuto porre in essere (nella fattispecie in esame la vendita a valore normale) e quali sono gli effetti fiscali (di vantaggio) che il contribuente ha illegittimamente ottenuto grazie alla predisposizione di un’operazione non fisiologica, in quanto non sorretta da valide ragioni economiche (la sottofatturazione degli immobili, sostanzialmente “assegnati” ai soci a prezzi “di costo”, con perdita fiscale e crediti Iva per la società).

Dato peraltro che la contestazione dell’abuso del diritto rileva solo ai fini fiscali, la riqualificazione dell’operazione (attinente, a dire il vero, più i suoi effetti che la natura della stessa) interverrebbe solo sul lato probatorio, al fine cioè di evidenziare, sotto un profilo di verosimiglianza, dati certi presupposti indiziari, quale sarebbe dovuta essere (e non quale è stata: differenza con la simulazione) l’operazione (e i relativi effetti fiscali) consentita dall’Ordinamento (e, nel caso di specie, dalle leggi di mercato).
In sostanza, nel caso ipotizzato, la ricostruzione della natura abusiva dell’operazione (fuori dagli ordinari criteri di mercato, data la natura artefatta della forma societaria prescelta) rappresenterebbe proprio uno di quegli ulteriori elementi presuntivi a supporto della validità dei valori Omi, richiesta, come detto, anche dalla recente circolare n. 18/2010.
Giovambattista Palumbo

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/analisi-e-commenti/articolo/il-metro-dei-valori-di-mercato-nelle-cessioni-immobiliari-dubbie

Perchè i pigs non esistono

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di Francesco Daveri

Centodieci miliardi di finanziamenti per non fallire e 48 ore di sciopero proclamato dai dipendenti pubblici: la Grecia di oggi sembra non avere imparato la lezione. Tra gli altri paesi considerati a rischio di contagio soltanto il Portogallo è in una situazione di difficoltà paragonabile a quella dei greci. A guardarli con attenzione ad uno ad uno, ci si potrebbe accorgere che i Pigs non esistono davvero.

Mentre l’Eurogruppo approvava all’unanimità il piano da 110 miliardi di sostegno all’economia greca, il sindacato dei dipendenti pubblici greci, Adedy, raddoppiava a 48 le ore di sciopero già proclamate in precedenza e le anticipava a martedì 4 maggio. Uno sciopero contro le “crudeli e brutali misure senza precedenti” del governo Papandreou e contro il “saccheggio dei redditi e dei diritti dei lavoratori” dovuto al congelamento di pensioni e stipendi pubblici. E mercoledì 5 maggio si aggiunge lo sciopero del traffico aereo. Ma la drammatica crisi greca non è solo greca, come si è visto da ciò che è successo sui mercati finanziari di tutto il mondo negli ultimi mesi. La domanda, egoistica ma legittima, che115 milioni di cittadini europei (portoghesi, irlandesi, spagnoli e italiani) si stanno ponendo è sempre la stessa: dopo la Grecia toccherà un giorno anche a noi?

LA TRAGEDIA GRECA, UN ATTO UNICO?

I dati della tabella hanno l’obiettivo di fornire una base logica per ragionare sul rischio di contagio.

In Grecia il deficit pubblico 2009 è stato superiore al 13 per cento del Pil. Non solo: il deficit 2009 si è accumulato su un debito pubblico già molto elevato che ha dato luogo alla fine dell’anno a un rapporto debito pubblico – Pil superiore al 115 per cento. Non basta: il deficit pubblico non è compensato dal risparmio privato (il risparmio nazionale è solo il 7% del Pil) ed è dunque quasi interamente finanziato con capitali esteri, come indica il deficit delle partite correnti pari all’11 per cento del Pil (colonna 4).
Questi dati riassumono la macroeconomia di un paese che non ha fatto i compiti prima di entrare nell’Unione monetaria e che è riuscito ad entrarvi, consentendo così al suo settore privato di rinviare al futuro i sacrifici, anche grazie alla manna temporanea dei finanziamenti pubblici per le Olimpiadi di Atene e della situazione di abbondanza di liquidità (e quindi di bassi tassi di interesse) sui mercati finanziari. Il disastro è stato agevolato dalla limitata possibilità della Commissione Europea di monitorare lo stato delle finanze pubbliche dei paesi membri e dall’imperfetta configurazione istituzionale del trattato di Maastricht che, per non chiudere troppo le porte dell’Unione, non ha vincolato in modo stringente le precondizioni di accesso relative all’andamento dei deficit e dei debiti pubblici. Come ciliegina sulla torta si è aggiunta l’irresponsabilità del governo di centrodestra che, nell’infelice tentativo di rimanere in carica, ha innescato un ciclo elettorale più effervescente del solito, raddoppiando in un solo anno il deficit pubblico tra il 2008 e il 2009. Ora la Grecia paga un conto salatissimo per tutte queste noncuranze, sue e non sue.
La disoccupazione registrata è per ora “solo” del 10 per cento circa, dunque in linea con la media della zona euro. Ma in Grecia il sommerso è una frazione molto elevata del Pil: può quindi essere che una parte non indifferente di disoccupati si sia già nascosta alle statistiche ufficiali durante la crisi 2008-09. E la quota di dipendenti pubblici sul totale dell’occupazione è del 25 per cento, di gran lunga la più alta tra i paesi inclusi nella tabella. Vuol dire che le misure di Papandreou colpiranno una frazione elevata degli occupati e che uno sciopero a oltranza dei pubblici dipendenti potrà dar luogo a conflitti sociali più gravi che in altri paesi. Infine, ma certo non meno importante, l’export greco è solo il 7 per cento del Pil e proviene soprattutto dal settore agro-alimentare. E purtroppo feta, olive, turismo e trasporti navali non bastano a sostenere un’economia che vuole consumare in modo globale.

GLI ALTRI PAESI NON SONO COME LA GRECIA

La buona notizia della tabella è che gli altri paesi sono tutti “diversi” dalla Grecia. L’Italia ha un alto debito pubblico (come i greci) ma un deficit pubblico che è diventato relativamente basso rispetto alla media euro. Ha un’ottima capacità di penetrare nei mercati esteri, con l’export di prodotti della meccanica, del tessile, abbigliamento, cuoio e calzature (erano in tutto 140 miliardi di euro nel 2008). La Spagna ha invece un alto deficit pubblico e di parte corrente, oltre a un alto tasso di disoccupazione, ma presenta un basso livello del debito pubblico pari al 50 per cento del Pil. E compensa una certa debolezza nelle esportazioni manifatturiere diverse dalla produzione di mezzi di trasporto con un settore turistico capace di generare 72 miliardi di euro nel 2008 (contro i 55 del nostro Bel Paese). Un discorso simile può essere fatto per l’Irlanda che esportava nel 2008 il 50 per cento del suo Pil, con un quarto di export dai prodotti high-tech, un quarto da prodotti chimici e un quinto da prodotti farmaceutici, grazie alla localizzazione a Dublino e dintorni dei quartieri generali delle multinazionali americane. La crisi ha duramente impoverito gli irlandesi, ma ha anche raffreddato un mercato immobiliare che era troppo cresciuto negli anni precedenti. L’Irlanda rimane la più ovvia testa di ponte per le multinazionali americane che vogliano vendere in Europa senza pagare i dazi della Commissione Europea. Con questi fondamentali, se gli speculatori vorranno attaccare Italia, Spagna e Irlanda si bruceranno le dita. Ma tutti e tre i paesi hanno di fronte l’esigenza ineludibile di ritornare a crescere.
Il paese relativamente più a rischio nella tabella è il Portogallo, il prossimo nella lista per i mercati finanziari. Il Portogallo presenta un elevato deficit pubblico e un elevato disavanzo nei conti con l’estero. Il suo stock di debito pubblico è solo il 75 per cento del Pil, ma si fa presto ad arrivare anche al 100 per cento in caso di crisi di confidenza: se i tassi sul debito salgono a livelli greci e la crescita si azzera, il deficit si trasforma in accumulazione di debito molto più rapidamente. Ha inoltre una propensione risparmiare più simile a quella dei greci che di italiani, irlandesi e spagnoli. Ma il Portogallo ha due vantaggi rispetto alla Grecia. Il primo è che esporta più manufatti (il 20 per cento contro appena il 7 per cento) e ha una struttura economica meno fortemente squilibrata verso l’export di prodotti agro-alimentari. La prima voce delle esportazioni portoghesi viene dai 4.4 miliardi di euro di export del settore automotive e della produzione degli altri mezzi di trasporto, come anche dall’export di macchinari, prodotti tessili e chimici. Il secondo possibile vantaggio è che il presidente della Commissione Europea è portoghese.

COSA ACCADRÀ

Dopo il salvataggio della Grecia, la situazione rimane molto instabile e non si può escludere il rischio del contagio. Anche perché chi opera sui mercati finanziari non ragiona solo a partire da elaborazioni e analisi statistiche fondate su dati come quelli discussi qui, ma considera anche il comportamento del “gregge”. Le azioni degli altri e le opinioni individuali e di gruppo su ciò che si ritiene faranno gli altri operatori influenzano certamente le valutazioni degli investitori.
Eppure, l’analisi di qualche dato riassuntivo suggerisce che la Grecia faccia storia a sé. Tutti i paesi che i mercati finanziari tengono sotto osservazione presentano debolezze dal punto di vista di uno o più indicatori, ma solo la Grecia ha una simultanea debolezza in ognuno degli indicatori (con un punto di domanda solo per il Portogallo). Come ha implicitamente suggerito la signora Merkel, la Grecia è un paese piccolo che può essere salvato con un dispendio non infinito di risorse finanziarie oppure lasciato uscire dalla porta di servizio dell’Unione con un opportuno marchingegno legale nel caso il governo greco non abbia successo nel suo programma di aggiustamento fiscale.

Fonte: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001687.html

Antieconomicità ingiustificata? Va bene l’analitico-induttivo

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Un comportamento fuori dai canoni tradizionali dell’attività d’impresa è sintomatico di evasione
Legittimo l’accertamento induttivo nei confronti di un’azienda che, pur vantando dei crediti nei confronti di clienti, non ha iscritto i relativi interessi in bilancio. Non solo. È il contribuente a dover provare il perché di un comportamento “antieconomico”. Tale comportamento, se non adeguatamente giustificato, costituisce elemento legittimante il ricorso all’accertamento analitico-induttivo.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 9469 del 21 aprile, in accoglimento del ricorso prodotto dall’Amministrazione finanziaria.
La Suprema corte ha precisato a chi spetta l’onere della prova anche con la concomitante sentenza n. 9476/2010 con la quale affronta, invece, la spinosa questione dell’onere probatorio in tema di fatture ritenute false.

Il fatto
A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, che aveva evidenziato l’omessa contabilizzazione di interessi su crediti vantati verso clienti da parte di una società per azioni, l’ufficio fiscale aveva proceduto alla notifica del relativo avviso di accertamento per conseguente maggior reddito Irpeg e Ilor. La contribuente si rivolgeva alla Ctp, che rigettava il ricorso.
L’appello proposto dalla Spa trovava credito dinanzi la Commissione regionale, secondo cui l’ente impositore non avrebbe fornito la prova dell’effettiva percezione degli interessi sui quali si fondava l’accertamento.

La sentenza del riesame viene contestata con ricorso per cassazione, con cui l’Amministrazione finanziaria deduce violazione di legge sia in tema di accertamento (articolo 39, Dpr 600/1973), sia in tema di onere della prova (articolo 2697, codice civile), avendo ritenuto la Ctr che non spettava al contribuente provare la mancata percezione degli interessi attivi su crediti vantati nei confronti di clienti. L’ente impositore contesta, inoltre, l’assunto del giudice di merito relativo alla circostanza che la prova del contribuente dei cespiti non reclamati deve irradiarsi anche “all’inerenza e all’imputabilità ad attività produttive di ricavi”.

In particolare, l’articolo 39, comma 2, lettera d), del Dpr 600/1973 legittima l’accertamento induttivo quando la contabilità risulta inattendibile per effetto di irregolarità gravi, numerose e ripetute, così individuate:
– omissioni e false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del comma 1, dello stesso articolo
– irregolarità formali risultanti dal verbale di ispezione.
La formulazione della lettera d) prevede, quindi, sia un requisito di natura sostanziale (omissioni, false o inesatte indicazioni riscontrate nella contabilità), sia un requisito di natura formale (irregolarità formali).

La Cassazione, con sentenza 8273/2003, ha poi distinto tra le irregolarità della contabilità meno gravi contemplate dal comma 1 dell’articolo 39 (a fronte delle quali l’Amministrazione può procedere a rettifica analitica, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente, ovvero dimostrando, anche per presunzioni, purché munite dei requisiti di cui all’articolo 2729 del codice civile) e l’inesattezza o incompletezza delle scritture (che autorizzano l’Amministrazione a prescindere da esse e a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva).

La decisione della Cassazione
Con la sentenza 9469/2010, il Collegio di legittimità ritiene condivisibili le censure dell’Amministrazione inerenti la natura antieconomica dell’omessa percezione degli interessi con i correlati riflessi sull’onere della prova.
Infatti, la percezione di interessi attivi a seguito di crediti vantati verso clienti è presunta in quanto, in caso contrario, verrebbe integrato un comportamento del contribuente manifestamente e inspie-gabilmente antieconomico, con la conseguenza che l’onere probatorio contrario, relativo alla non percezione di tali somme, incombe sul contribuente stesso.
In particolare, la Suprema corte rileva che, nonostante l’attendibilità formale della contabilità, si è in presenza di un comportamento manifestamente antieconomico della società e, quindi, correttamente l’ufficio poteva operare la rettifica della dichiarazione.

Tale principio è sedimentato da reiterati interventi uniformi di legittimità (tra le altre, sentenze nn. 11645/2001, 7487/2002, 18857/2007, 24532/2007), ove viene affermato che l’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, “consente l’accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza”.
Analogamente, in tema di imposta sul valore aggiunto, la Suprema corte ha stabilito (sentenza 14428/2005) che, qualora il contribuente tenga un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, è legittimo l’accertamento dell’imponibile Iva ai sensi dell’articolo 55 del Dpr 633/1972 e che il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatica di possibili violazioni di disposizioni tributarie.

Nelle numerose pronunce sull’argomento, la Cassazione ha privilegiato le ragioni dell’ente impositore, sancendo, in definitiva, il principio secondo il quale, in tema di imposte sui redditi, laddove si ravvisi un comportamento non in linea con i canoni dell’economicità, grava sul contribuente l’onere di illustrare e comprovare le ragioni sottese a tale comportamento (cfr Cassazione, sentenze nn. 13478/2001, 15268/2000, 7803/2000). Questo perché, la regola alla quale si ispira chiunque svolga un’attività economica è quella di ridurre i costi. Pertanto, in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso e in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che l’incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi invece una diversa realtà (cfr sentenze nn. 1821/2001, 7680/2002, 10802/2002, 5870/2003, 20748/2006, 1712/2007).
In tali casi, è quindi consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cassazione, sentenza n. 6337/2002).

In ultima analisi, le molteplici pronunce richiamate, ancorché con sfumature diverse e con riferimenti a situazioni specifiche dotate, inevitabilmente, di elementi di peculiarità, riconoscono la possibilità di considerare il comportamento antieconomico (e non altrimenti giustificato) del contribuente come presunzione di un comportamento “evasivo”.
Con la sentenza in esame viene, dunque, confermato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui il comportamento antieconomico dell’imprenditore viene a integrare, se non adeguatamente giustificato dal contribuente, gli elementi indiziari legislativamente richiesti al fine della legittimità dell’accertamento induttivo.

Crediti commerciali non azionati
Quanto alla rilevata natura antieconomica derivante dalla mancata contabilizzazione e, quindi, percezione, degli interessi su crediti vantati dalla società verso propri clienti, la Corte argomenta che:
a) il credito sorto sulla base di un rapporto commerciale viene qualificato come capitali dati a mutuo
b) il mutuo è, per sua natura, produttivo di frutti (interessi)
c) gli interessi devono trovare posto nel conto economico.
Poiché, nel caso in questione, di tali interessi non v’è traccia nel bilancio, la conclusione non può che essere nel senso dell’evasione tributaria.

A tal proposito, la Cassazione ricorda che la fruttuosità delle somme concesse a mutuo è presunta sia nella norma civilistica sia nel Tuir, tant’è che, in ambito fiscale, la disposizione contenuta nell’articolo 43 del Dpr 597/1973, concernente la determinazione del reddito di capitale ai fini Irpef, nel testo riferibile alla fattispecie ratione temporis, prevede, per presunzione, la produzione di interessi legali da capitali dati a mutuo. Tale presunzione può essere esclusa soltanto laddove sia acquisita la prova dell’esonero dall’obbligo del pagamento da parte del mutuatario.
In questa occasione la Corte ha ritenuto che l’articolo 43 si applichi anche alle società commerciali, giacché l’articolo 5 del previgente Dpr 598/1973, relativo alla determinazione del reddito complessivo Irpeg, estende ai contribuenti soggetti a tale imposta la normativa stabilita in materia di Irpef, salvo esplicite e diverse regolamentazioni (cfr Cassazione, sentenze nn. 10526/1994 e 9498/2008).

Peraltro, proprio con particolare riferimento a crediti fra società dello stesso gruppo, la Corte di legittimità ha affermato il principio secondo cui gli interessi attivi e passivi costituiscono, rispettivamente, entrate o uscite di ciascun contribuente e debbono essere specificamente conteggiati, in virtù dei principi di trasparenza contenuti nell’articolo 2423 del codice civile (Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio). Non assuma alcun rilievo – a tal fine – il fatto che i rapporti di credito e debito, fonte degli interessi in questione, intercorrano fra società del medesimo gruppo, di guisa che agli effetti del gruppo si determini una mera partita di giro (Cassazione, sentenza n. 21157/2008).

È poi irrilevante, per l’effetto, la possibile asserzione secondo cui l’omessa contabilizzazione di interessi attivi e passivi non determinerebbe sottrazione di “materiale imponibile”, quando la Corte ha invece più volte affermato che i principi attinenti alla regolare registrazione di entrate e uscite debbono essere rigorosamente rispettati e il Fisco è legittimato a disconoscere ogni irregolarità, depennando una spesa conteggiata in annualità diversa rispetto a quella di pertinenza, ancorché la spesa possa essere correttamente dedotta in altra annualità, inserendo fra le poste attive interessi maturati a vantaggio del contribuente sebbene tali interessi possano costituire una passività nel bilancio di altra società collegata, tenuta a versarli (Cassazione, sentenza. n. 21158/2008).

Infine, secondo le stesse trame interpretative, proprio sulla base del principio antieconomico, l’eventuale non pagamento di interessi deve essere dimostrato dal contribuente e non provato dal Fisco.
Se è vero, infatti, che in tema di accertamento delle imposte sui redditi spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della (maggiore) pretesa tributaria, fornendo quindi prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, è altrettanto vero, però, che il contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano.
Salvatore Servidio

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/antieconomicita-ingiustificata-va-bene-l-analitico-induttivo

Disegno di legge comunitaria 2009

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La Camera dei Deputati ha approvato mercoledì 21 aprile 2010 il disegno di legge sulle Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009.

Il provvedimento ritorna all’esame dell’altro ramo del Parlamento.

Il progetto di legge interviene in diversi settori, ora delegando il Governo all’adeguamento dell’ordinamento nazionale mediante l’adozione di decreti legislativi, ora modificando direttamente la legislazione vigente per assicurarne la conformità all’ordinamento comunitario.

Queste, in linea di massima, le disposizioni contenute nei tre Capi nei quali è strutturato il provvedimento.

Il Capo I illustra le procedure per l’adempimento degli obblighi comunitari mediante il conferimento di deleghe al Governo per il recepimento delle direttive riportate negli allegati A e B entro il termine previsto da ciascuna direttiva, per l’adozione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da provvedimenti comunitari, e per l’adozione di testi unici o codici di settore finalizzati al coordinamento delle disposizioni attuative delle direttive comunitarie, adottate sulla base delle deleghe contenute nel provvedimento, con le norme vigenti nelle stesse materie.

Il Capo II riguarda le disposizioni particolari di adempimento per il recepimento di direttive e specifici principi e criteri di delega legislativa. Si tratta dell’attuazione della direttiva 2008/46/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici), dell’abrogazione della norma (art. 14, comma 8, della legge 82/2006) che impone ai laboratori di analisi di effettuare la ricerca sistematica dei denaturanti previsti dalla stessa legge.

Altre norme riguardano, fra l’altro: – la protezione delle acque dall’inquinamento derivante dalla produzione di deiezioni e lettiere avicole; – gli obblighi di comunicazione in materia di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato negli anni 2007-2008; – le disposizioni riguardanti gli allergeni alimentari; – la delega al Governo per il riordino delle norme in materia di latte alimentare parzialmente o totalmente disidratato; il rafforzamento della tutela delle produzioni vinicole di pregio che si fregiano di una DOC o IGP; la facoltà di vendere e somministrare bevande alcoliche in occasione di fiere, sagre, mercati o altre riunioni straordinarie o di manifestazioni promozionali di prodotti tipici locali ecc. Tra le modifiche apportate dalla Camera dei Deputati, c’è la soppressione all’art. 25 della previsione che il trattamento economico omnicomprensivo degli amministratori di società quotate non possa superare il trattamento annuo lordo dei membri del Parlamento e quelle (art. 43) riguardanti la tutela della fauna selvatica e la disciplina dei calendari venatori su cui è stato raggiunto un accordo che limita a dieci giorni dopo il 31 gennaio l’allungamento del calendario per la caccia.

Il Capo III: prevede tre deleghe volte all’attuazione di alcune decisioni quadro adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, riguardanti la lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti; la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali; la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati ed alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti.

Fonte: http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/legge_comunitaria_2009/

Nuovi appuntamenti con la legalità fiscale

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Due incontri formativi per l’ufficio di Palermo 2 nell’ambito del progetto “Fisco & scuola”
Anche per quest’ anno l’Ufficio di Palermo 2 dell’Agenzia delle Entrate ha in programma una serie di incontri e visite con le scuole del territorio da realizzare nell’ambito del progetto di educazione alla cultura della legalità “Fisco e scuola”.

Le scuole coinvolte sono l’I.T.C. Francesco Ferrrara di Palermo, che da anni partecipa al progetto, e l’ I.T.C. “Don Calogero di Vincenti” di Bisacquino (PA) con cui recentemente l’ufficio ha siglato un protocollo d’intesa.

I funzionari dell’Ufficio domani incontreranno gli studenti della scuola palermitana, l’11 gli studenti di Bisacquino. Le iniziative, due visite guidate, si svolgeranno nei locali dell’ufficio. I funzionari che intratterranno gli studenti hanno organizzato un percorso guidato, effettuato anche grazie al materiale didattico contenuto nel kit multimediale dell’Agenzia, nel corso del quale sarà affrontato il tema della legalità e della solidarietà fiscale, dai principi su cui si fonda il prelievo delle imposte all’importanza della contribuzione tributaria ai fini del funzionamento dello Stato .
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/dalle-regioni/sicilia/articolo/nuovi-appuntamenti-con-la-legalita-fiscale

Il fisco mette le ruote, anno 2010: 14 regioni coinvolte per 23 tappe

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La prima sosta in Sicilia, l’ultima nel Lazio. Il giro inizierà il 5 maggio e si concluderà il 12 novembre
Riprende dalla Sicilia, ultima tappa del 2009, il percorso itinerante del camper dell’Agenzia delle Entrate, che porta assistenza fiscale e servizi ai cittadini residenti nelle località della penisola privi di uffici stabili dell’Amministrazione finanziaria.
Sarà Piazza Armerina il comune che terrà a battesimo, per l’anno 2010, “Il fisco mette le ruote”, l’iniziativa che, ormai da tre anni, fa arrivare i funzionari delle Entrate, con la loro postazione mobile, anche nei paesi più piccoli dello Stivale. Il progetto, sperimentato con successo inizialmente dalla direzione regionale Piemonte, è stato esteso dal 2008 anche alle altre regioni attraverso una regia centrale. L’obiettivo è quello di agevolare l’utenza nell’assolvimento degli adempimenti tributari, attraverso una più capillare presenza sul territorio.

Grazie a questo progetto, realizzato in collaborazione con i Comuni, i contribuenti che abitano in luoghi normalmente non serviti dagli uffici del fisco, possono evitare spostamenti e spese avendo a disposizione, dietro l’angolo, un vero e proprio front-office delle Entrate, con tanto di dipendenti forniti di postazioni e collegamenti telematici che nulla hanno da invidiare a quelli delle strutture stabili. I servizi erogati sulle quattro ruote, infatti, sono praticamente gli stessi:

* informazioni sulla compilazione del modello 730
* assistenza nella compilazione e trasmissione del modello Unico
* chiarimenti in materia di comunicazioni di irregolarità e di iscrizioni a ruolo
* registrazione dei contratti di locazione
* rilascio di codici fiscali e partite Iva
* richiesta di duplicato della tessera sanitaria
* abilitazione ai servizi telematici (codice Pin)
* informazioni su successioni e donazioni.

Quest’anno le regioni coinvolte dal tour saranno 14, le tappe programmate 23. Il camper sosterà nei comuni per tre giorni, dal mercoledì al venerdì.
Sulla locandina allegata il percorso nel dettaglio.

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/attualita/articolo/il-fisco-mette-le-ruote-anno-2010-14-regioni-coinvolte-23-tappe

La Relazione sul Lavoro nero e il sommerso 2009

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Nel corso dell’audizione alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, il 29 aprile scorso, il Ministro del lavoro Sacconi ha illustrato l’indagine conoscitiva sui fenomeni distorsivi del mercato del lavoro, in particolare sul lavoro nero, il caporalato e lo sfruttamento della manodopera straniera. Da queste basi il Ministro ha tracciato la strategia di prevenzione e contrasto al fenomeno, a partire dal potenziamento della qualità delle ispezioni. L’Indagine offre dati significativi e utili all’individuazione dei metodi di lotta alle irregolarità nel mondo del lavoro e propone un’analisi a livello territoriale (Mezzogiorno, Centro, Nord) e un’analisi a livello settoriale (Agricoltura, Servizi, Edile, Industriale). I dati rilevano caratteristiche molto variabili sul territorio nazionale ma alcuni soggetti emergono per la costanza con cui sono coinvolti nelle irregolarità: donne e immigrati. I soggetti maggiormente esposti al lavoro irregolare sono infatti immigrati e il lavoro femminile è quello che presenta specificità e motivazioni tipiche: per quanto riguarda il sommerso, il 47,4% dell’occupazione irregolare totale riguarda le donne. Tra i dati rilevati attraverso le ispezioni realizzate nel 2009 (che hanno registrato un minor numero complessivo di ispezioni rispetto al passato) si registrano un numero molto alto di infrazioni, con un incremento del 61% di maxisanzioni sul lavoro in nero e 273% in più di violazioni in ambito di appalti. dunque meno ispezioni ma più mirate, tant’è che la selettività degli interventi ha portato a risultati inattesi.

MEF: fabbisogno statale del mese di aprile 2010

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Il fabbisogno del settore statale del mese di aprile 2010 è risultato pari, in via provvisoria, a circa 14.800 milioni, migliore – perché inferiore di circa 3.600 milioni – rispetto a quello registrato nel mese di aprile del 2009, pari a 18.379 milioni.

Nei primi quattro mesi del 2010 si è registrato complessivamente un fabbisogno di circa 41.900 milioni, inferiore di circa 6.600 milioni a quello dell’analogo periodo 2009, pari a 48.528 milioni.

Commento

Il miglioramento del fabbisogno del mese di aprile 2010, rispetto allo stesso mese del 2009, è imputabile essenzialmente al venir meno di alcuni pagamenti che avevano caratterizzato il mese di aprile dello scorso anno:

* interessi alla Cassa Depositi e Prestiti sulle disponibilità giacenti sul conto della tesoreria statale, già erogati nello scorso mese di marzo;
* acquisto da parte degli enti previdenziali degli immobili oggetto delle operazioni di cartolarizzazione SCIP;
* rimborsi fiscali ultradecennali.

Sempre dal lato dei pagamenti le minori erogazioni sono state parzialmente compensate da una maggiore dinamica dei prelievi delle Amministrazioni locali dai conti della tesoreria statale.

Dal lato degli incassi, si conferma l’andamento positivo del gettito tributario e contributivo, mentre si è registrato un saldo negativo dei flussi finanziari netti con l’Unione Europea.
Fonte: http://www.mef.gov.it/ufficio-stampa/comunicati/?idc=24326

Moratoria sui debiti delle PMI. I dati aggiornati al 31 marzo

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MORATORIA SUI DEBITI DELLE PMI. I DATI AGGIORNATI al 31 marzo e la lista dei mutui agevolati ammissibili per la sospensione

Vengono resi oggi disponibili i risultati al 31 marzo 2010 sull’applicazione dell’Avviso comune sulla sospensione dei debiti delle Piccole e Medie Imprese. L’Avviso è stato sottoscritto dal Ministro dell’economia e delle finanze, l’Associazione Bancaria Italiana e i rappresentanti delle imprese di tutti i settori economici.

Le domande di sospensione pervenute al 31 marzo sono state circa 170 mila per un debito residuo pari a più di 50 miliardi di euro. Si tratta di circa il 15% del complessivo stock di debiti delle PMI verso il sistema bancario.

Tenendo conto dei tempi di istruttoria (circa 30 giorni), sono già state accolte fino a marzo quasi 130 mila domande per circa 9,5 miliardi di euro di mutui e leasing sospesi.

Si ricorda che vi sono ancora quasi due mesi per chiedere la sospensione in base a quanto previsto dall'”Avviso comune”. La data ultima per presentare la domanda è infatti fissata al 30 giugno 2010.

Viene allegata infine la documentazione pervenuta nel mese di aprile al Dipartimento del Tesoro da parte degli enti eroganti con la lista delle agevolazioni pubbliche a cui far riferimento. Le precedenti liste sono state allegate ai comunicati stampa del 2 e del 29 marzo 2010. Nel complesso, hanno deliberato l’adesione all’Avviso comune un ampio numero di Camere di Commercio e le seguenti Regioni: Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Veneto, Valle d’Aosta, Abruzzo, Sardegna e l’Istituto di Credito Sportivo.

Eventuali altre delibere dovranno essere inviate al Dipartimento del Tesoro non oltre il 17 maggio.
Fonte: http://www.mef.gov.it/ufficio-stampa/comunicati/?idc=24328