Corte Conti: più tagli ai costi della politica, meno alle infrastrutture

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Il giorno 28 giugno 2011, le Sezioni riunite della Corte dei conti, presiedute dal Presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, hanno pronunciato la decisione nel giudizio sul Rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2010. Ha introdotto l’udienza il Presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino.

Gli interventi dei Presidenti Maurizio Meloni e Luigi Mazzillo in continuità con il 2° Rapporto di Coordinamento sulla Finanza Pubblica, presentato il mese scorso, hanno evidenziato come l’evoluzione dei conti pubblici appaia positiva nel confronto con altri paesi europei. L’Italia presenta, oggi, un disavanzo in quota di Pil inferiore alla media europea ed è l’unico, tra i grandi paesi, a registrare, un saldo primario vicino al pareggio. L’evoluzione è positiva anche se la si confronta con le stesse proiezioni dei documenti programmatici soprattutto se si tiene conto della grave crisi economica del biennio 2008-2009 e della modesta ripresa nel 2010.

Purtroppo la lenta ripresa del ritmo di crescita dell’economia italiana ha consentito di recuperare solo un quarto della perdita di prodotto subita nel biennio precedente, determinando un ampliamento del divario negativo rispetto alla media europea.
Con riguardo alle amministrazioni centrali e, specificamente, allo Stato, la stringenza dei tagli disposti con il DL 112/2008 ha determinato, nel 2010, risultati rilevanti di riduzione, in valore assoluto, sia della spesa totale, sia delle principali voci che la compongono, dalle spese di personale alla previdenza, dai consumi intermedi agli investimenti.

Nel 2010, l’indicatore più significativo della gestione del bilancio dello Stato, rappresentato dal saldo netto da finanziare di competenza, espone un miglioramento, rispetto al 2009, del 33,9 per cento (il valore negativo si riduce da 32,6 a 21,6 miliardi).
Anche il Patto di Stabilità Interno sembra aver corrisposto, a livello aggregato, agli obiettivi finanziari ad esso assegnati: le spese complessive delle amministrazioni locali si sono ridotte di quasi il 2 per cento, in ragione di una forte caduta delle spese per investimenti e in conto capitale, ma anche di un rallentamento della spesa corrente.

I positivi risultati in termini di riequilibrio dei conti sono stati, tuttavia, conseguiti al prezzo di un’evoluzione non bilanciata nella composizione della spesa, sia per lo Stato che per le amministrazioni locali. Nella spesa statale, i tagli hanno operato senza salvaguardare gli investimenti pubblici e la spesa in conto capitale, determinando un andamento contraddittorio con gli impegni programmatici per il rilancio e l’accelerazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture.
Una contraddizione che, peraltro, dura da un decennio. Da qui la necessità di interventi normativi mirati, in modo specifico, sia a favorire la ripresa della spesa in conto capitale, consentendo l’innalzamento del livello dei pagamenti, sia ad indirizzare le scelte gestionali degli enti, per recuperare risorse attraverso la riduzione delle spese di gestione. Si pensi, ad esempio ai provvedimenti concernenti il taglio dei costi per la rappresentanza e la politica come pure alle disposizioni sull’esercizio associato delle funzioni.

La riduzione dell’indebitamento realizzata lo scorso anno non comporta, tuttavia, il ritorno a una gestione ordinaria del bilancio pubblico: è ancora incompleto il riassorbimento degli effetti associabili dalla crisi.
Emerge con forza l’esigenza addizionale di assicurare, nella prospettiva di medio termine, la coerenza tra i programmi delineati nel DEF e gli impegni derivanti dalle nuove regole di governance europea.

L’azione di riequilibrio è resa più ardua dal fatto che non si potrà più, realisticamente, fare affidamento sulla riduzione delle spese per interessi – il “dividendo” che ha avvantaggiato la finanza pubblica in Europa nelle fasi successive all’introduzione dell’euro. Infine, sarebbe auspicabile che i tagli di spesa non penalizzassero più, almeno nella prospettiva di medio periodo, le spese in conto capitale e gli investimenti in infrastrutture, che nel 2012 toccherebbero il valore più basso degli ultimi decenni.