Il nuovo Presidente del consiglio, l’uomo della salvezza dell’Italia, il cavaliere bianco anti-spread è il professore Mario Monti. Si tratta, secondo il consenso unanime di tutti, di un tecnico prestato alla politica, di un accademico ed economista che in un periodo di grave crisi deve trarre il proprio paese fuori dalle spire di una pericolosissima crisi di fiducia e di credibilità sui mercati. Nella pratica le cose non stanno proprio così. Mario Monti è sicuramente un accademico (anche se non ha lanciato idee particolarmente innovative nei suoi trascorsi di studioso) ma è anche un uomo dei salotti buoni della finanza italiana. Consulente per Goldman Sachs è stato consigliere di amministrazione di Fiat, Generali e Comit, insomma un uomo gradito alla grande finanza italiana. Bocconiano di ferro (di cui è stato Rettore e Presidente) è un personaggio tipico della finanza laica italiana e mondiale: riservato, discreto, capace tecnicamente, perfetto per essere arruolato nelle file del grande capitale italiano, europeo e forse mondiale. Si tratta di quella casta di sacerdoti del grande giro della globalizzazione finanziaria che celebrano i loro riti ovunque, grazie al pensiero dominante che vuole la finanza e l’economia sempre più globalizzata, sempre più ricca, sempre più decisiva nei destini di popoli e nazioni. Una casta di sacerdoti che ha reso l’intera attività economica mondiale simile ad una grande sala giochi, dove non interessa produrre qualcosa o offrire servizi ma solo vincere indovinando una scommessa. E lo spread tra Bot e Bund tedesco è solo l’ennesima manifestazione delle scommesse sempre più ardite, sempre più ricche e sempre più lucrose per chi tiene il banco (ossia la casta dei sacerdoti stessa) . Insomma, Monti non è un rivoluzionario o un pensatore eterodosso. E’un uomo del sistema e solo l’insipienza e l’incapacità della classe politica italiana ha fatto sì che per risolvere i problemi di casa nostra si dovesse chiamare un’esorcista della finanza mondiale che, con il suo tocco magico, dovrà riportare l’Italia nel novero dei paesi politicamente e finanziariamente corretti (ossia di quelli proni ai voleri della casta sacerdotale). Ce la siamo voluti noi, c’è poco da dire. Che poi Monti abbia un track record misto nelle sue attività politico-istituzionali lo dicono i fatti, anche se oggi, per far scendere lo spread tutti osannano il professore varesino quasi fosse un novello Messia sceso sul suolo italico. Uno dei punti più controversi, che noi possiamo documentare con dovizia di particolari, riguarda il suo primo mandato di Commissario europeo, al mercato interno e alla fiscalità, sotto l’egida del lussemburghese Jacques Santer. Un’avventura finita male perché tutta la commissione, sotto l’onda di uno scandalo relativamente alle pratiche di gestione interne, si dovette dimettere nel 1999. La vulgata ufficiale è che le dimissioni furono l’unico modo per convincere il commissario francese Edith Cresson (coinvolta in uno scandalo relativo alla nomina negli organismi comunitari del suo dentista) a lasciare il proprio posto. Ma le cose non stanno proprio così. I Parlamento europeo infatti affidò ad un comitato di saggi una completa disamina del problema relativo alle “accuse di frode, cattiva gestione e nepotismo nella Commissione Europea”.- E i cinque saggi (Andrè Middelhoek presidente, Inga Brit Ahlenius, Juan Antonio Carrillo-Salcedo, Pierre Lelong e Walter Van Gerven componenti) fecero il loro lavoro guardando all’intera attività della Commissione, non solo al caso di Edith Cresson. Preliminarmente, “il Comitato ritiene che i Commissari abbiano una responsabilità collettiva nell’adottare una ferma posizione sui problemi delle risorse umane portati all’attenzione da singoli commissari al fine di evitare che venga indebolita l’integrità del servizio pubblico reso dalle istituzioni comunitarie”. E quindi, dopo una lunga disamina dei casi di presunta irregolarità registrati nell’attività della commissione e dei suoi uffici (il documento è di oltre 140 pagine) il Comitato giunge alle seguenti conclusioni relativamente alla Commissione Europea come organo collegiale: “Attraverso una serie di audizioni e durante l’esame della documentazione il Comitato ha osservato che i commissari talvolta hanno sostenuto come essi fossero all’oscuro di cosa stesse succedendo all’interno delle strutture e dei servizi loro affidati. E quindi fondate segnalazioni relative a frodi e corruzione nella Commissione non sono state notate dalla Commissione stessa. Queste affermazioni, se sincere, chiaramente assolvono i commissari da personali e dirette responsabilità per casi individuali di frode e corruzione ma nel contempo rappresentano una seria ammissione di carenza (“failure” nel testo in inglese) sotto un altro punto di vista … Questa perdita di controllo implica evidentemente una pesante responsabilità sia per i commissari singolarmente presi e sia per l’intera commissione”. Insomma, si tratta di un giudizio pesante per l’organismo di cui Mario Monti era parte integrante e qualificante e per Mario Monti stesso. Un giudizio che, anche in momento di euforia come quello che stiamo vivendo per la nomina del professore bocconiano, deve comunque essere conosciuto e reso noto all’opinione pubblica.
di Pietro Colagiovanni