Fisco/Il rischio di abuso dell’abuso del diritto

0
410

Il tema del cosiddetto “abuso del diritto” sta in cima all’agenda della fase 2 del Governo Monti ed è di quotidiana attualità nei mass media nazionali, essendo considerata tra le questioni più incisive nella lotta alla elusione fiscale. L’argomento è stato recentemente trattato dall’avv. tributarista campobassano Franco Mancini, sul numero 2/11 del quadrimestrale “Rivista Giuridica del Molise e del Sannio”, che è diretta dal Prof. Pietro Perlingieri dell’Università degli Studi del Sannio e che ha per capi redattori per l’Università degli Studi del Molise, il Prof. Giovanni Di Giandomenico ed il Dott. Pelino Santoro. Ne pubblichiamo un ampio stralcio.
La crisi fiscale dello Stato, la sempre maggiore sofisticazione nelle tecniche di evasione e di elusione delle imposte, specie con riferimento alle operazioni internazionali ed all’IVA comunitaria, la complessità delle ristrutturazioni infragruppo, le profonde trasformazioni dell’ambiente economico sovranazionale, le «maglie larghe» di numerose normative del settore, hanno sensibilmente modificato l’agenda degli organi investigativi e dettato l’esigenza di arricchire gli scambi di informazione e di cooperazione tra le autorità tributarie degli Stati membri dell’UE e di elaborare nuovi strumenti di contrasto all’elusione fiscale.L’epifania della nozione di «abuso del diritto» viene concordemente identificata nella sentenza emessa dalla Corte di Giustizia CE, del 21 febbraio 2006, nella causa C-255/02, Halifax, con la quale sono stati qualificati abusivi i comportamenti del contribuente volti ad ottenere vantaggi fiscali che integrino uno «sviamento» dalle finalità perseguite dalla legge. Alla autorevole dottrina che ha individuato nell’abuso del diritto un vero contro-principio, connaturato alle libertà fondamentali e, quindi, immanente allo stesso diritto primario, che bilancia l’autonomia negoziale ed organizzativa degli operatori economici e che è volto a difendere il rispetto delle regole di correttezza all’interno del mercato, si è contrapposto altro qualificato filone argomentativo, che ha eccepito che l’affermazione della matrice costituzionale dell’abuso del diritto finisce per provare troppo, perché allora, di questo passo, tutto diventa giustificabile in virtù di tali principi. Invero, alla progressiva penetrazione di un indirizzo giurisprudenziale fortemente favorevole all’impiego pressoché «indiscriminato» e generale del principio di derivazione comunitaria, tentano di fare da contrappeso le preoccupazioni di larga parte degli studiosi, che avvertono l’insidia di un acritico e troppo «comodo» ricorso, da parte degli Uffici Finanziari, allo scudo dell’abuso del diritto per superare le incognite dei criteri di accertamento più tradizionali e complessi. La prima, agevole considerazione è che l’abuso del diritto non può confondersi con il risparmio d’imposta inteso come scelta dell’itinerario più indolore che il legislatore consenta di esplorare per attenuare il carico fiscale.Il contribuente può adottare le soluzioni organizzative, gestionali, finanziarie, che, nell’esercizio della libertà economica, tutelata dalla Costituzione e dal Trattato Europeo, permettano di raggiungere il legittimo obiettivo dell’opzione fiscalmente meno onerosa.Il punto è un altro: secondo l’arresto della Corte di Giustizia ed il prevalente orientamento della Corte di legittimità, tali libertà fondamentali trovano un limite intrinseco in un «principio immanente ad un sistema che ruota intorno alla tutela del mercato e della concorrenza», e cioè nell’abuso del diritto inteso come costruzione di puro artificio, volta a conseguire un indebito beneficio tributario.Su questo paradigma, l’istituto de quo non si può ricondurre alla simulazione, dal momento che, in quella assoluta, gli effetti non si producono, mentre, in quella relativa, gli effetti sono quelli dell’atto mascherato.Ed in realtà, nel caso della simulazione, il negozio dissimulato prevale agli effetti tributari, oltre che a quelli civilistici, a nulla valendo la presenza o meno di valide ragioni economiche o di scopi puramente fiscali.Né l’abuso può coincidere con l’interposizione fittizia, poiché «la nozione di abuso del diritto prescinde da qualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta di un’operazione, nel senso di una prefigurazione di comportamenti diretti a trarre in errore o a rendere difficile all’Ufficio di cogliere la vera natura dell’operazione. Né comporta l’accertamento della simulazione degli atti posti in essere in violazione del divieto di abuso». Invero, la simulazione, in ogni sua forma, può essere fatta valere dal Fisco tanto quanto, ai sensi dell’art. 1417 c.c., da qualunque «terzo» estraneo alla pattuizione contrattuale, e perfino direttamente dinanzi al giudice tributario, senza necessità di previo ed autonomo accertamento davanti al giudice civile, e l’Amministrazione Finanziaria può dimostrare, anche in via presuntiva, l’esistenza di un’interposizione fittizia di persona, senza scomodare il principio dell’abuso del diritto.Quest’ultimo, al contrario, postula che le operazioni siano reali (e non simulate), giacché le parti avranno realmente voluto gli effetti degli atti giuridici messi in essere. Le pronunce seguite alla sentenza Halifax hanno consolidato nella giurisprudenza comunitaria la valorizzazione del dato di «sistema», nel senso che l’elaborazione del comportamento abusivo si sostiene sulla contrarietà al sistema del beneficio fiscale ritratto.Autorevole dottrina ne ha concluso che l’artificiosità censurata dalla Corte si individui nell’impiego di «sovrastrutture», cui il contribuente non avrebbe plausibilmente fatto ricorso, se non animato dalla finalità di trarre un vantaggio fiscale.In una qualche misura, appare evocato il principio di proporzionalità, inquadrabile come esigenza di un ragionevole bilanciamento tra l’interesse protetto dall’ordinamento e le misure apprestate dal medesimo per garantirne il rispetto e reprimerne le violazioni. Ma, ancor più recentemente, la Corte comunitaria ha mostrato di volere riportare la nozione di abuso del diritto nella sua configurazione più specifica, pretendendo che l’operazione sia annoverabile tra quelle a carattere puramente artificioso.Qualificata dottrina ne ha ricavato la conclusione che la Corte abbia enunciato alcune chiavi interpretative importanti:
– l’abuso del diritto deve essere maneggiato con massima cautela, specie quando si tratti di ristrutturazioni societarie di grandi gruppi di imprese e non di semplici operazioni finanziarie;
– l’esercizio della libertà economica non può essere limitata per ragioni fiscali;
– il sindacato dell’Amministrazione Finanziaria non può spingersi ad imporre una modalità di ristrutturazione diversa, tra le tante giuridicamente possibili, solo perché più proficua dal punto di vista del carico fiscale;
– occorre distinguere tra le operazioni artificiose, inusuali od inadeguate, e quelle allestite per una effettiva e concreta riorganizzazione aziendale.
Traendo spunto dalla giurisprudenza comunitaria, nonché da proprie sentenze più risalenti, la Corte di Cassazione Civile, a Sezioni Unite, con la sentenza 26 giugno 2009, n. 15029, ha voluto ribadire che l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a dedurre (prima in sede di accertamento e poi in sede contenziosa) la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la loro nullità per frode alla legge, inclusa quella tributaria.Ha altresì aggiunto che il percorso evolutivo della giurisprudenza di legittimità è pervenuto alla conclusione che il divieto dell’abuso del diritto si connota come un principio generale anti-elusivo, in forza del quale il contribuente non può ottenere vantaggi fiscali mediante un uso distorto di strumenti giuridici, sebbene non contrastanti con alcuna disposizione.Qualora le condotte non siano sorrette da valide ragioni, economicamente apprezzabili, bensì soltanto da un’aspettativa di benefici tributari, il divieto dell’abuso incontra la sua fonte di legittimazione negli stessi principi costituzionali, della capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non collide con il principio della riserva di legge.Con la sentenza 21 gennaio 2011, n. 1372 (Pres. Altieri, Rel. Didomenico), la Cassazione è tornata a suggerire la prudenza nella disamina di ristrutturazioni societarie (nella specie, si verteva su una fusione preceduta da acquisto delle partecipazioni mediante indebitamento), nella considerazione che il loro carattere abusivo debba essere escluso quando siano compresenti ragioni extra-fiscali non marginali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione, ma possono ben assolvere a strategie di carattere organizzativo e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa.Ancora più eloquente, in proposito, si rivela la sentenza 18 febbraio 2011, n. 3947, con la quale la Corte Suprema ha ribadito la necessità che l’Amministrazione Finanziaria offra una compiuta allegazione delle specifiche ragioni per le quali un percorso negoziale risulti non in linea con logiche di razionalità ed efficienza economiche. In particolare, si è sottolineato che il Fisco non può esimersi dal dimostrare lo sviamento e la distorsione che abbiano determinato un abuso del diritto previsto da una determinata disposizione fiscale. Il tema sul quale la comunità scientifica manifesta, giustamente, il massimo allerta, è quello della ripartizione dell’onere della prova: annotano insigni studiosi che si dovrebbe perlomeno chiarire la natura solo procedimentale delle disposizioni anti-elusive, in questa maniera consentendo al contribuente di esigere che sia l’Amministrazione Finanziaria a motivare le ragioni della disapplicazione di un comportamento del contribuente.Il rispetto dei diritti del contribuente attraverso congrue guarentigie procedimentali viene richiamato anche da altri studi, ove il contraddittorio con gli Uffici viene valorizzato come strumento di contrasto agli «eccessi» dell’abuso del diritto.In linea generale, predomina in dottrina un atteggiamento di grande prudenza in ordine alle possibili deviazioni , dal modello comunitario delle costruzioni artificiose, a comode e strumentali esemplificazioni che sfocino in una indiscriminata aggressività dell’attività di controllo e verifica.Pur non essendo seriamente contestabile il diritto del Fisco di procedere alla corretta qualificazione dei contratti ed il suo corrispondente dovere a non farsi ingannare dai contribuente, restano di grande attualità i timori che Amministrazione Finanziaria e commissioni di merito suppliscano a carenze organizzative o a vuoti legislativi con un «abuso dell’abuso».La via legislativa rimane sempre quella maestra, per cercare di contrastare fenomeni abusivi che, seppur dilaganti, non sono ovviamente sovrapponibili alla pura e semplice pianificazione fiscale, la cui liceità riposa sugli stessi principi costituzionali della libertà economica. Nel sottile gioco del bilanciamento e della conciliazione dei vari interessi in gioco, sarà allora indispensabile, partendo dalle più recenti statuizioni della Corte di Cassazione, che sia l’Amministrazione Finanziaria a spiegare perché mai la forma giuridica impiegata meriti un giudizio di anomalia, artificiosità o inadeguatezza rispetto all’operazione economica intrapresa e che, solo allora, il contribuente abbia l’onere di provare l’esistenza di un contenuto economico dell’operazione diverso dal mero risparmio fiscale.
avv. Franco Mancini