Quando la coperta è … Cortina

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Il nuovo blitz anti-evasione (oltre cento finanzieri in borghese impiegati al setaccio della movida milanese, dopo il cuore dello shopping romano ed il salotto bianco di Cortina) rilancia l’interrogativo sulla opportunità di metodi di controllo più plateali e mediatici di quelli, sobri e riservati, tradizionalmente utilizzati da Guardia di Finanza ed Agenzia delle Entrate. Non giriamoci intorno: l’eccezionalità dei sistemi di ispezione è figlia della straordinarietà del fabbisogno di finanza pubblica e del dilagare del fenomeno dell’evasione. Se si dimentica questo aspetto, qualsiasi analisi è parziale, faziosa ed ingenerosa.
E’ innegabile che gli organi preposti alla lotta all’evasione hanno voluto (e non hanno fatto niente per nasconderlo) proprio quell’effetto spettacolare che fa tanto discutere. Ed è altrettanto innegabile che lo hanno fatto per accendere l’attenzione (e lo sdegno) dell’opinione pubblica su un tema troppo spesso marginalizzato: come e quanto pesano l’entità e la diffusione della disobbedienza fiscale sui conti pubblici, sulla qualità dei servizi, sui principi di equità e parità, sulla stessa convivenza civile. In un Paese, come il nostro, in cui nulla e nessuno viene percepito e considerato se non attraverso il clamore e l’enfasi mediatici, anche le politiche fiscali, per essere interiorizzate nel loro valore politico, economico, etico e sociale, non potevano sfuggire a questa regola . Detto questo, dobbiamo tutti sforzarci di capire che cosa possa e debba responsabilmente cogliersi, dietro il “manifesto” o lo spot del contrasto ai furbetti dello scontrino e del bollettino (F24). La prima “lezione” è che, in materia, “tutto il mondo è paese”: la mano corta (anzi, Cortina) nel battere incassi ed emettere parcelle non conosce grandi differenze territoriali. I controlli fiscali, per dirla in gergo cinematografico, non sono “benvenuti” né al sud né al nord. Valgono poco, cioè, le dissertazioni sociologiche o le strumentalizzazioni politiche e demagogiche sul sud più birichino e sul nord più rispettoso, sulla distribuzione del “nero” tra grandi e piccole imprese, e così via. Le analisi – finalmente più serie – che, nei salotti televisivi e sulla grande stampa, sono state sviluppate sugli esiti dei recenti blitz, hanno dimostrato, numeri e percentuali alla mano (offerti soprattutto dai vertici nazionali dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza), che se l’intensità dell’evasione è maggiore nelle aree meridionali, la massa di gettito effettivamente sottratta all’Erario è più elevata al Nord, anche in ragione (ovviamente) del più alto tasso di ricchezza movimentata. Nella Milano “da bere”, i negozianti hanno brindato con uno scontrino su tre. L’approccio più rigoroso, meno qualunquistico, che si sta riservando a questo aspetto cruciale della vita di un Paese, consentirà di fare giustizia di molti luoghi comuni: non a caso, recentemente, dalle pagine del più autorevole quotidiano economico, si è rilevato che il primato della Basilicata (27 per cento) e del Molise (25 per cento), nella classifica dello scostamento dagli studi di settore, non è sinonimo, tout court, di maggiore propensione all’evasione, ma piuttosto di una condizione di reale marginalità economica. In questa ottica, il fatto che le tecniche di investigazione si concentrino (come nelle visite di Cortina, Roma e Milano) su fatti specifici e direttamente riscontrati (l’emissione dello scontrino, il lavoro nero all’interno delle unità economiche, i mod. 740 dei possessori di auto di lusso, ecc.) deve essere salutato con favore rispetto a quei metodi forfetari (gli studi di settore, appunto, o gli accertamenti induttivi, in genere) che tendono a penalizzare i contribuenti delle realtà meno avvantaggiate, che trovano maggiori, oggettive difficoltà nel mettersi in riga con le medie di incassi pretese dal Fisco. Non solo: le stesse statistiche (che indicano stabilmente le popolazioni meridionali come più “sensibili” alla slealtà tributaria) andrebbero rivisitate alla luce delle “percentuali di copertura” delle verifiche fiscali. Se, nelle regioni più piccole e con più basso numero di partite Iva, è agevole controllare una maggiore quantità di imprese e professionisti, viene da sé che ne risulta, statisticamente, una più intensa tendenza all’evasione. Invero, non bisogna dimenticare che l’impegno che, negli ultimi tempi, si sta ponendo sul fronte della lotta al sommerso ed alle infedeltà fiscali e contributive, rappresenta qualcosa di molto ordinario e normale (come è giusto che sia) nelle società (come quella molisana)ove la minore densità di contribuenti Iva permette uno stabile e più capillare monitoraggio delle dinamiche reddituali. Gli organi locali di ispezione fiscale hanno rovistato a tappeto, da anni, intere categorie economiche ed affrontato con competenza complessi e nuovi fenomeni evasivi ed elusivi (si pensi alle rivendite di auto usate ed alle cosiddette frodi carosello), molto spesso facendo da avanguardie ed apripista rispetto alle autorità fiscali di altre regioni. Ciò significa che non hanno bisogno di particolari esempi e sollecitazioni per interpretare il loro ruolo meglio di quanto non abbiano già fatto. Significa, anche, che i contribuenti molisani sono abituati a confrontarsi con verifiche e controlli altamente specializzati, forse più di quanto non lo siano quelli di altri territori, spiazzati (ed irritati) dal blitz di turno. Come sempre, in medio stat virtus. Bisogna evitare le generalizzazioni e le campagne di demonizzazione o di delazione, perché non si cada nel pericoloso sillogismo: “ tutti colpevoli, tutti innocenti”, che ha segnato altre stagioni della guerra alla corruzione. Occorre continuare a garantire il diritto di difesa, perché, anche in ambito tributario, il cittadino è innocente fino a prova contraria. La giusta lotta all’evasione deve allora rientrare, quanto prima, in una dimensione di normalità, nel senso che deve far parte – ordinariamente – delle priorità di un Paese civile. E, soprattutto, deve avere un’ispirazione ed un’aspirazione: servire ad abbassare la pressione tributaria a carico di chi onora il suo patto di lealtà con il Fisco. Perché senza questo ulteriore passaggio – la riduzione della tassazione – all’eliminazione dei furbetti delle tasse si accompagnerà la progressiva estinzione dei soggetti economici e, quindi, fiscali.

avv. Franco Mancini
(pubblicato su il Quotidiano del Molise)