Eternit, la sentenza di primo grado dopo due anni e 66 udienze

0
297

Il processo che si è concluso ieri a Torino con la condanna dei due imputati a 16 anni è uno dei più grandi procedimenti nel campo dei reati ambientali che si sia mai celebrato in Italia e nel mondo.

Due anni e 66 udienze. Tanto è durato il processo al magnate svizzero Stephan Schmidheiny e al barone belga Louis de Cartier, i due ex dirigenti della Eternit condannati dal Tribunale di Torino a 16 anni per disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche negli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria) e Cavagnolo (Torino) della multinazionale dell’amianto.
Nel capoluogo piemontese tv e giornalisti da tutto il mondo. Il processo che si è concluso nel capoluogo piemontese è uno dei più grandi procedimenti nel campo dei reati ambientali che si sia mai celebrato in Italia e nel mondo. Da record anche l’arco di tempo coperto dai fatti contestati ai due imputati, avvenuti nel periodo compreso tra il 1952 e il 2008. Sono alcune migliaia i morti e i malati individuati tra i lavoratori degli stabilimenti Eternit e gli abitanti delle aree circostanti dall’inchiesta condotta dal procuratore Raffaele Guariniello, che ha definito il processo ”un punto di riferimento mondiale”, come ha confermato la presenza al Palazzo di Giustizia di Torino di televisioni e giornalisti provenienti da tutto il mondo. La macchina organizzativa in vista della sentenza di primo grado è partita settimane fa: 1.200 i posti assicurati in Tribunale, tra i 250 posti nell’aula e i 950 in altre due aule video collegate con traduzione simultanea in francese e in inglese, la sistemazione nel vicino auditorium della Provincia di Torino di circa 300 studenti in arrivo da Casale Monferrato e Bologna, e la possibilità di ascoltare la sentenza in diretta streaming, collegandosi al sito dell’amministrazione provinciale.
Per i pm la gestione della sicurezza frutto di un’unica regia. Nei due anni del processo il pubblico ministero, Raffaele Guariniello, affiancato dai pm Gianfranco Colace e Sara Panelli, ha dimostrato attraverso testimonianze, documenti e consulenze che la politica sulla sicurezza e sulla salute della Eternit era il frutto di un’unica regia. “Gli imputati non si sono limitati ad accettare il rischio che il disastro si verificasse e continuasse a verificarsi, ma lo hanno accettato e lo accettano ancora oggi”, aveva detto Guariniello nella sua arringa finale, conclusa con la richiesta di una condanna a 20 anni di reclusione per entrambi gli imputati per quella che aveva definito “una tragedia immane” che ”ha colpito popolazioni di lavoratori e di cittadini e continua a fare morti” e “si è consumata in Italia e in altre parti del mondo con una regia, senza che mai nessun tribunale abbia chiamato i veri responsabili a risponderne”.

La difesa aveva chiesto l’assoluzione piena. I legali dei due imputati avevano chiesto per entrambi l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Secondo la difesa, infatti, De Cartier dal 1971 aveva ricoperto solo ”un ruolo minoritario senza compiti operativi”, mentre Schmidheiny avrebbe provveduto a fare diversi investimenti per la sicurezza dei lavoratori, in base alle conoscenze dell’epoca sull’amianto. L’avvocato Astolfo Di Amato, uno dei legali di Schmidheiny, aveva messo in dubbio la validità stessa di un processo celebrato a più di trent’anni di distanza dai fatti contestati, che avrebbe leso il principio di difesa perché il tempo trascorso “rende quasi impossibile a chi è accusato di difendersi al meglio: i documenti non si trovano, molti testimoni non ci sono più e quelli che ci sono non sono attendibili perché i fatti sono troppo lontani da ricordare”.