I comuni non devono fare i condoni, devastanti le conseguenze per i cittadini

0
339

L’articolo 13 della Legge n. 289 del 27 dicembre 2002, ha previsto in maniera inequivocabile che a far data dall’entrata in vigore di tale norma, i comuni e gli altri enti locali non possano effettuare condoni. Nonostante ciò e nonostante la declaratoria di illegittimità da parte di numerose sentenze della Corte di Cassazione non da ultima l’importante sentenza n. 12679 del 30.05.2012, alcuni comuni tra cui quello di Lecce si ostinano a perseverare nella proposizione di condoni frutto di una cultura politica da prima repubblica, con l’intento di recuperare quanto più possibile, ma con la concreta possibilità, per non dire certezza, di conseguenze devastanti per i cittadini – contribuenti e per le casse comunali. Intanto perché è lecito chiedersi quanti contribuenti ne farebbero uso, poiché correrebbero il rischio di aderire ad un condono giuridicamente illegittimo, con il conseguente aggravio di spese successive (sanzioni e interessi). Ed inoltre, l’ente locale andrebbe a sballare completamente i loro bilanci prevedendo la riscossione di somme mai certe e sicuramente improbabili.
Venendo ai casi più recenti, il parere rilasciato al comune di Lecce da parte del Ministero delle Finanze, peraltro, palesemente erroneo, in quanto parere, non può rappresentare una parola definitiva sulla bontà della scelta politica e quindi amministrativa effettuata.
Dispiace solo, sottolinea Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, che l’arroganza degli amministratori leccesi sia tale da sentirsi così forti sino a trincerarsi dietro la debolissima valenza ai fini giustiziali di un semplice parere avente carattere amministrativo ed interno.
Per esplicare ulteriormente le ragioni che ci spingono a criticare ampiamente le procedure di tal tipo, segnaliamo di seguito l’inedito articolo a firma degli avvocati Villani Francesca Giorgia Romana Sannicandro che chiarisce in maniera puntuale perché i comuni non possono fare i condoni fiscali.

I Comuni non devono fare i condoni fiscali

A) Normativa
Ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 289 del 27 dicembre 2002, è previsto che “con riferimento ai tributi propri, le regioni, le province e i comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonché l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, non inferiore a sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell’atto, i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti.”
Accade che erroneamente molti comuni hanno ritenuto di applicare la suddetta norma “sine die” deliberando dei condoni fiscali per le materie di loro competenza per i periodi d’imposta successivi al 2002.
La norma è molto chiara nel ritenere applicabili tali condoni relativamente ad obblighi tributari “precedentemente non adempiuti”; questo significa che tali condoni non sono da ritenersi attuabili a partire dal 2002 in poi, data in cui entra in vigore la Legge de quo.
B) Giurisprudenza
Anche la Cassazione, con una serie di sentenze (n. 12679, n. 12675, n. 12677, n. 12678, n. 12679, n. 12688 tutte del 2012), ha dichiarato l’illegittimità di tali condoni in violazione dell’art. 13 cit., in particolar modo relativamente al termine in esso contenuto che non può riferirsi ad annualità successive al 2002.
In particolare, la sentenza n. 12679 del 20.07.2012 (Presidente Dott. Marco Pivetti, Cons. Dott. Michele D’Alonzo udienza del 30.05.2012) – relativa alla legittimità di una delibera consiliare in tema di imposta sulla pubblicità con la quale era stato approvato il – ha chiarito che “la possibilità per il contribuente di conseguire la sospensione del giudizio in corso è ancorata, dall’art. 13 della L. 289/2002, alla concomitante presenza di due specifici presupposti: a) che si tratti di obblighi tributari precedenti l’entrata in vigore della legge in questione; b) che alla data di entrata in vigore della predetta legge, la procedura di accertamento o i procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale fossero già stati instaurati. (…) Se ne deve necessariamente inferire l’illegittimità del condono poiché adottato in violazione dell’art. 13 della l. 289/2002, che delimitava temporalmente – mediante il visto riferimento agli obblighi non adempiuti dal contribuente prima dell’entrata in vigore di detta legge – il potere dei Comuni di stabilire condoni sui tributi propri, potere non esercitabile, dunque, sine die dall’amministrazione comunale.”
Con riferimento ai principi costituzionali di cui agli artt. 3 (uguaglianza di trattamento dei debitori tributari diversi da quelli locali), 23 (riserva di legge in materia di prestazioni obbligatorie) e 119 co.2 (coordinamento della finanza pubblica locale con quella nazionale), gli Ermellini specificano che “l’esercizio di un potere in materia tributaria, da parte dell’ente locale, una volta che sia spirato il termine, previsto dalla legge statale autorizzativa, entro il quale tale potestà poteva essere esercitata, comporta la carenza del potere medesimo e la conseguente disapplicazione, da parte del giudice ordinario, dell’atto assunto in violazione della norma attributiva della potestà esercitata nonostante il decorso del termine suindicato. Nel caso concreto, poiché l’art. 13 della l. 289/2002 concedeva all’amministrazione comunale la potestà di adottare il solo, specifico, condono ivi previsto, temporalmente delimitato attraverso i riferimenti suesposti, l’adozione di un ulteriore condono a distanza di ben sette anni dalla normativa primaria succitata, determina l’illegittimità del condono medesimo per carenza di potere, che va dichiarata da questa Corte, anche ai sensi dell’art. 363 c.p.c..”
In tutte le pronunce citate è stato riaffermato che l’art. 13 cit. attribuiva agli enti locali una “potestà oggettivamente limitata” all’attuazione dello specifico condono ivi previsto, rendendo quindi illegittimi i condoni “a catena” dei comuni.
In realtà, già prima di queste pronunce di legittimità, la Corte dei Conti – Sezione Regionale di controllo per la Puglia – con la deliberazione n. 4/PAR72010 del 13 gennaio 2010 rispondendo ad un preciso parere del Sindaco del Comune di San Donaci (Brindisi) – ha precisato che il condono dell’art. 13 della legge n. 289/2002 è applicabile soltanto con riferimento ai periodi d’imposta antecedenti al 01.01.2003, non potendosi introdurre una fattispecie di condono per un arco temporale indefinito, come confermato dalle pronunce della Cassazione.
Lo stesso principio è stato ribadito dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti della Regione Siciliana con le deliberazioni n. 6/2007 del 13.12.2006 e n. 28/2008 del 04.06.2008 nelle quali è ribadito che la norma di cui all’art. 13 cit. dev’essere oggetto di “stretta interpretazione, considerato che l’istituzione di meccanismi di definizione agevolata relativamente ad obblighi tributari rimasti totalmente o parzialmente inadempiuti da parte dei contribuenti ha indubbiamente natura di evento eccezionale nell’ambito dell’ordinamento giuridico. Ad avviso della sezione, la definizione agevolata dei tributi propri delle Regioni e degli Enti locali può avvenire soltanto con riferimento a periodi d’imposta antecedenti all’1.1.2003, data di entrata in vigore della L. n. 289/2002, non potendosi introdurre una fattispecie di condono per un arco temporale indefinito.” ( SS.RR. Sicilia n. 6/2007).
C) L’interpretazione del Ministero delle Finanze.
A seguito del parere richiesto dal Comune di Lecce, il Ministero delle Finanze – nel riportarsi ad una precedente nota – n. 2195/2004 – , ha reso un parere – n. 23873 del 20.10.2012 – con il quale, pur richiamando le sentenze citate, ha ritenuto di consentire il condono basandosi su due pronunce della Corte di Cassazione (n. 13463 e 13464 del 09.05.2012, depositate il 27.07.2012) che non hanno affrontato il problema come prospettato dalla norma, ma hanno analizzato la fattispecie sulla base di mere irregolarità procedurali.
Infatti nella nota del Ministero leggiamo che “sul punto non si è formato un orientamento giurisprudenziale consolidato e, pertanto, (il Ministero) non ritiene opportuno mutare il precedente parere espresso in varie note, tra le quali la n. 2195/2004. (…) Occorre, infine, sottolineare che l’avviso espresso da questa direzione non può essere considerato come preclusivo di eventuali contestazioni o impugnative di un regolamento in materia di condono, la cui emanazione è comunque rimessa al prudente apprezzamento di codesto ente.”
Appare evidente come, nella nota del Ministero, vi sia una presa di coscienza sia della giurisprudenza prevalente in materia richiamata nella nota de quo (Corte di Cassazione e Corte dei Conti), sia del fatto la propria interpretazione non precluderebbe comunque l’eventualità di una impugnativa dei relativi regolamenti.
Importante notare che il Ministero nel richiamare le due sentenze della Cassazione n. 13463 e 13464 del 09.05.2012, depositate il 27.07.2012, le connota di una veste nuova rispetto alle precedenti sentenze (di cui alla lett. B) come se le stesse sconfesserebbero la tesi ormai prevalente e dominante in materia. È invece importante scoprire che le due sentenze – in base alle quali secondo il Ministero sarebbero attuabili i condoni comunali con riferimento all’art. 13 – non prendono assolutamente posizione sull’argomento.

Le sentenze della Corte di Cassazione n. 13463 e 13464 del 2012

La sentenza n. 13463 del 03.05.2012, depositata il 27.07.2012, (Presidente Dott. M. Pivetti e Cons. Dott. M. D’Alonzo – udienza del 03.05.2012) si riferisce ad un altro condono che riguarda i manifesti politici ( art. 1 comma 480 della L. 30.12.2004 n. 311 – legge finanziaria 2005); peraltro, la Corte conclude : “nel caso di specie, il mero deposito della quietanza di pagamento, in assenza di qualsiasi ulteriore elemento di riscontro dell’esito positivo dell’attività di controllo svolta dall’ente impositore, non fornisce ex se la dimostrazione del fatto determinante la cessazione della materia del contendere e cioè dell’intervenuta definizione del rapporto tributario, con la conseguenza che il motivo di ricorso dev’essere dichiarato infondato”.
In sostanza, si comprende come la questione trattata, oltre che riguardare appunto un condono diverso da quello di cui all’art. 13 cit., è relativa a questioni procedurali (carenza di interesse) e pertanto non può fare da spartiacque nel caso de quo.
La sentenza n. 13464 del 09.05.2012, depositata il 27.07.2012, (Presidente Dott. M. D’Alonzo udienza del 09.05.2012), parimenti non prende nessuna posizione rispetto al condono ex art. 13 cit, pur citandolo nella sentenza.
Il caso analizzato nella sentenza riguarda l’imposta di pubblicità per l’anno 1998 relativamente agli impianti utilizzati da una contribuente nel territorio municipale romano. Anche in questo caso, la querelle è relativa ad un vizio procedurale, in quanto come si evince dalla sentenza “la parte che ha presentato l’istanza di definizione, al termine della durata della sospensione e nella ipotesi in cui si sia perfezionata la definizione agevolata, è tenuta a presentare l’atto di rinuncia alla prosecuzione del giudizio debitamente sottoscritto dalla controparte per accettazione con compensazione delle spese di giudizio. La documentazione, da ultimo, versata in atti dalle società non rispetta le modalità di presentazione di nuovi documenti dinanzi a questa Corte. (…) Del deposito di nuovi documenti, però, deve essere dato avviso all’altra parte mediante notifica del relativo elenco al fine di garantire il contraddittorio (…) invece nella fattispecie non v’è stata notifica dell’elenco né presenza del difensore del Comune in udienza; dunque la produzione della contribuente è inutilizzabile.”
In sostanza, la mancanza di conoscibilità dei documenti prodotti ha determinato la totale assenza relativa all’interpretazione della Corte sul problema che si analizza nel presente documento.
Ma vi è di più!
Come si può facilmente evincere, vi è una sostanziale corrispondenza dei soggetti facenti parte la Corte di Cassazione delle sentenze citate dal Ministero (ed utilizzate per legittimare i condoni comunali, senza solide basi giurisprudenziali e normative) e di quelle della giurisprudenza prevalente che effettivamente pronunciandosi sulla validità del termine stabilito dalla norma di cui all’art. 13, ne hanno previsto l’inapplicabilità per le annualità successive al 2002.
Infatti, la sentenza n. 13463 vede come presidente il Dott. Pivetti e tra i Consiglieri il Dott. D’Alonzo (udienza del 03.05.2012); la sentenza n. 13464 vede come Presidente il Dott. D’Alonzo con udienza successiva alla precedente pronuncia, del 09.05.2012; allo stesso tempo, nella importantissima sentenza n. 12679 (con udienza del 30.05.2012) vi sono come Presidente il Dott. Pivetti e tra i Consiglieri il Dott. D’Alonzo!!!
Questo sta a significare che nelle sentenze citate dal Ministero – quelle in base alle quali dovrebbero ritenersi legittimi i condoni comunali – (n. 13463 e 13464 in cui l’argomento non è proprio trattato – ), l’art. 13 non era stato minimamente preso in considerazione , tanto vero che i due Presidenti Dott. Pivetti e Dott. D’Alonzo lo hanno, per la prima volta, affrontato e deciso correttamente con la sentenza n. 12679/2012.
Questo dimostra anche l’errore grossolano contenuto nel parere rilasciato dal Ministero, su richiesta del Comune di Lecce, con la nota n. 23873 del 20.10.2012.
Infatti, il Ministero conclude il suo parere cosciente che la sua tesi non risulta in alcun modo sostenibile, oltre che sostenuta da nessuna pronuncia, facendo presente che “i regolamenti dei comuni possono essere contestati ed impugnati, ed (il Ministero) invita il Comune di Lecce ad un prudente apprezzamento di questo ente.”
D) La recente sentenza n. 15251 del 12.07.2012 della Corte di Cassazione.
Alcuni, in materia di condono, citano la sentenza n. 15251 del 12.07.2012, che non procede a nessuna determinazione sull’argomento, in quanto l’oggetto di questa pronuncia riguarda la carenza di interesse del contribuente a proporre ricorso per Cassazione ex art. 100 c.p.c..
Anche qui, la Corte non procede ad alcuna disamina circa il condono di cui all’art. 13 della L. n. 289/2002, lasciando intatto lo spirito guida perseguito dalle sentenze di cui alla lettera B).

E) Conclusioni
In conclusione, alla luce della importante sentenza n. 12679 del 30.05.2012 pronunciata dalla Corte di Cassazione, dei principi contenuti nelle citate delibere della Corte dei Conti – precedenti rispetto alle sentenze di legittimità – , alla corretta interpretazione della norma di cui all’art. 13 della L. n. 289/2002 contenuta nelle argomentazioni giuridicamente svolte dai Presidenti e dai Consiglieri della Corte di Cassazione, è importante che i Comuni non facciano alcun tipo di condono comunale ai sensi dell’art. 13 citato, in quanto le conseguenze si rivelerebbero disastrose.
Infatti, stante la giurisprudenza di legittimità che sottolinea l’illegittimità di questi condoni per il limite temporale contenuto nella norma attuatrice, pochi contribuenti ne farebbero uso, correndo il rischio di aderire ad un condono giuridicamente illegittimo con il conseguente aggravio di spese successive (sanzioni e interessi).
Inoltre, i Comuni andrebbero a sballare completamente i loro bilanci prevedendo la riscossione di somme mai certe e sicuramente improbabili.
Infine, e di non minor importanza, i giudici tributari non possono sospendere i giudizi in corso e devono assolutamente attenersi all’interpretazione di diritto vigente della Corte di Cassazione, come individuata dalla sentenza n. 12679 citata, facendo così venir meno la definizione agevolata delle liti pendenti.

Avv. Maurizio Villani
Avv. Francesca Giorgia Romana Sannicandro