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Ue, l’inversione contabile va a caccia di frodi Iva

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Il meccanismo, che si discosta dalle ordinarie disposizioni, è stato introdotto modificando la direttiva Ue 2006/112
Il versamento dell’Iva dovuta da chi svolge operazioni che rientrano nella base imponibile dell’imposta, ovvero operazioni costituite da cessione di beni o prestazioni di servizi, è previsto dalla direttiva del Consiglio dell’Unione europea 2006/112/Ce. Un discorso a parte riguarda, invece, le operazioni transfrontaliere o altri settori, come quello edile o dello smaltimento dei rifiuti, ad alto rischio di frode. In questi peculiari casi la norma prevede che il versamento dell’Iva spetti al destinatario della cessione di beni o prestazione di servizi.
La necessità delle modifiche
Proprio in considerazione della rilevanza delle frodi in materia di Iva si è ritenuto opportuno autorizzare gli Stati membri ad applicare un meccanismo, seppur temporaneamente, che si discosti dalle ordinarie disposizioni Iva. Pertanto è previsto che l’obbligo di versare l’Iva spetti a chi sono trasferite le quote di emissione gas a effetto serra. Dette quote sono propriamente definite all’articolo 3 della direttiva 2008/87/CE. L’adozione di una siffatta misura, proprio in quanto specifica, non dovrebbe influire negativamente sui fondamentali principi del regime Iva. Per consentire agli Stati membri di applicare il meccanismo descritto si sono rese necessarie, quindi, specifiche modifiche alla direttiva Consiglio UE 2006/112/CE.
La direttiva 2010/23/UE
L’obiettivo della nuova direttiva è contrastare le frodi in materia di Iva con una misura temporanea in deroga alle norme vigenti nell’Unione. La nuova direttiva 2010/23/UE inserisce l’articolo 199 bis nella direttiva 2006/112/CE. Nel nuovo articolo si prevede che per un periodo che arriva fino al 30 giugno 2015 gli Stati membri possano stabilire che il soggetto tenuto al pagamento dell’Iva sia lo stesso soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate operazioni di trasferimento di quote di emissioni di gas serra e di trasferimento di altre unità. Gli Stati membri sono tenuti a informare la Commissione europea in merito al meccanismo attraverso una apposita dichiarazione che contenga, tra l’altro, i criteri di valutazione per il confronto sulle attività ritenute fraudolenti, la data di inizio e il periodo di validità della misura che attua il meccanismo. È prevista la presentazione anche di una relazione, entro il 30 giugno 2014, volta a fornire una dettagliata valutazione in merito all’efficacia e all’efficienza della misura. In particolare, ai fini della valutazione, si analizzano aspetti quali l’impatto sulle attività fraudolente inerenti le prestazioni di servizi previsti nella misura o il possibile trasferimento delle attività fraudolente di beni o servizi e infine il fattore costo per gli adeguamenti alla misura da parte dei soggetti passivi.
Andrea De Angelis
http://www.nuovofiscooggi.it/dal-mondo/articolo/unione-europea-inversione-contabile-combattere-le-frodi

Ici. Canoni e prezzo di riscatto: tutto entra nella base imponibile

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Il valore contrattuale del bene acquisito al termine del leasing è rappresentato dal totale dei corrispettivi
Ai fini della determinazione della base imponibile Ici, il valore del bene acquistato in leasing è da intendersi costituito non soltanto dal prezzo di riscatto ma anche dai canoni, nella parte in cui ne rappresentano un anticipato pagamento rateale. Così si è espressa la Cassazione, con la sentenza n. 7332 del 26 marzo.
La vicenda
Una Spa contestava dinanzi alla competente Ctp l’erronea determinazione dell’Ici fatta dal Comune, in relazione a un immobile industriale acquistato in leasing.
La Commissione respingeva il ricorso sulla base della considerazione che la base imponibile andava calcolata non soltanto sulla base del prezzo di riscatto, ma anche delle quote di prezzo contenute nei canoni della locazione finanziaria. Alle medesime conclusioni perveniva la Commissione tributaria regionale.
La sentenza della Corte
La Cassazione, che ha, come detto, rigettato il ricorso della società, ha così argomentato.
La fattispecie, dal punto di vista civilistico, era riconducibile all’ipotesi di leasing traslativo, che si distingue dal leasing di mero godimento principalmente per la circostanza che esso ha ad oggetto dei beni che alla scadenza del rapporto contrattuale conservano un residuo valore di utilizzo, superiore all’importo convenuto tra le parti ai fini dell’esercizio dell’opzione di acquisto; tale maggior valore è tenuto in considerazione e scontato tramite i canoni periodici, pattuiti tra le parti, che contengono anche una quota di prezzo.
Viceversa, il leasing di godimento riguarda abitualmente beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuo alla scadenza del rapporto contrattuale; pertanto, i canoni corrisposti si configurano alla stregua di corrispettivo per l’utilizzo dei beni stessi.
Inoltre, come già affermato dalla stessa Suprema corte (sentenza 25125/2006), l’opzione finale di acquisto non dà luogo alla conclusione di una fattispecie contrattuale distinta e autonoma, ma integra un accordo traslativo il cui fondamento causale è da ricercare nel contratto di leasing a monte.
Pertanto, il valore contrattuale del bene riscattato al termine dell’operazione è rappresentato dal totale dei corrispettivi, costituiti non soltanto dal prezzo di riscatto, ma anche da tutte le somme corrisposte in vigenza del rapporto di leasing a titolo di canone o di maxicanone, le quali rappresentano un anticipato pagamento rateale.
Marcello Maiorino

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/ici-canoni-e-prezzo-di-riscatto-tutto-entra-nella-base-imponibile

Giudice delle tasse e contabile. Non si può, la prima carica decade

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La norma dispone l’incompatibilità con l’esercizio della funzione di qualsiasi forma di consulenza tributaria
Non può essere giudice tributario chi esercita, in qualsiasi forma, la consulenza fiscale ovvero l’assistenza o la rappresentanza dei contribuenti nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria. Il Consiglio di Stato, con la decisione n. 1740 del 24 marzo, ha ribadito il principio precisando che anche la tenuta e la custodia di scritture contabili, nonché la predisposizione della dichiarazione dei redditi è un’attività incompatibile con le funzioni svolte dai componenti delle commissioni tributarie.

Le fasi del processo
La questione concerne la decadenza da componente di commissione tributaria per incompatibilità, disposta nei confronti di un giudice tributario con delibera del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera i), del Dlgs 545/1992 nella versione in vigore dal 1° gennaio 1998. Nel caso in esame, l’interessato riteneva di non versare in una situazione di incompatibilità, nonostante risultasse depositario di scritture contabili per un lungo arco temporale, senza soluzione di continuità (circostanza accertata dal dipartimento delle Entrate dell’ex ministero delle Finanze).
Le determinazioni del Consiglio di presidenza sono state, dunque, opposte dal professionista innanzi al Tar della Lombardia, ritenendo che nel provvedimento decadenziale ricorreva sia la violazione di legge sia l’eccesso di potere, per mancanza dei presupposti della decadenza.

Il giudice amministrativo ha accolto il ricorso con le seguenti considerazioni:
ai fini della decadenza dalla funzione di giudice tributario per incompatibilità occorre verificare che le attività svolte siano “qualitativamente” idonee a compromettere la posizione del giudice in termini di terzietà
la decadenza deve essere preceduta da una preliminare diffida formale con assegnazione all’interessato di un termine entro il quale fare cessare la situazione di incompatibilità, mentre nella specie nessun atto preventivo risulta notificato al ricorrente.

La sentenza di primo grado arriva in appello con ricorso congiunto del ministero dell’Economia e delle Finanze e del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, con il quale deducono innanzitutto, in via generale, relativamente ai punti salienti dell’attività professionale di consulente tributario, che la redazione delle dichiarazioni dei redditi e la tenuta delle scritture contabili, ancorché limitata, non può essere considerata attività meramente esecutiva ma deve ritenersi principale della professione esercitata. Aggiungono, inoltre, che tenere le scritture contabili non significa compiere una “mera conservazione materiale” delle stesse, ma comporta l’effettuazione costante e continua di tutti gli adempimenti connessi alle medesime, tenuto conto, in particolare, della complessa materia fiscale. In tale contesto, quindi, anche lo svolgimento di qualsiasi forma di attività di consulenza, ancorché in misura minima, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, assume rilevanza determinante ai fini della dichiarazione di incompatibilità, così come confermato dall’ulteriore riformulazione dell’articolo 8, comma 1, lettera i), del Dlgs. 545/1992 a opera della legge 342/2000.

La sentenza
Il Consiglio di Stato ritiene fondato il ricorso in appello, osservando che lo svolgimento per lungo tempo dell’attività di depositario delle scritture contabili e di compilazione delle dichiarazioni dei redditi per conto dei propri clienti connota un’attività tipica svolta professionalmente (articolo 53, comma 1, Dpr 917/1986 e articolo 5, comma 1, Dpr 633/1972). Il collegio pone quindi un punto fermo nella vicenda, escludendo che il professionista in questione possa avere svolto prestazioni occasionali (articolo 5, comma 2, Dpr 633/1972).
Chiarito questo primo aspetto, il Consiglio di Stato passa ad analizzare il fronte normativo, richiamando la disciplina contenuta nell’articolo 8, comma 1, lettera i), del Dlgs 545/1992 nel testo in vigore dal 1° gennaio 1998. Tale norma prevede che non possono essere componenti delle Commissioni tributarie, finché permangano in attività di servizio o nell’esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali “coloro che esercitano in qualsiasi forma la consulenza tributaria ovvero l’assistenza o la rappresentanza dei contribuenti nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario”.

Va sottolineato che sia il testo originario dell’articolo 8 sia quello novellato dalla legge 449/1997 sono stati uniformemente interpretati da consolidata giurisprudenza amministrativa (cfr Consiglio di Stato, sentenze nn. 6519/2009, 2425/2009, 1478/2009, 3951/2006 e 2712/2001), la quale ha formulato sulla tematica i seguenti principi di diritto, che vengono confermati dalla sentenza 1740/2010:
attesa l’estrema latitudine della norma, qualsiasi forma di consulenza tributaria è incompatibile con la carica di giudice tributario, senza che sia necessario verificare in concreto se il suo contenuto qualitativo o la continuità nello svolgimento compromettano il requisito della terzietà e dell’indipendenza del giudice, essendo tale verifica puntuale connaturata ai soli istituti della ricusazione e dell’astensione del giudice
nell’ordinamento della professione di dottore commercialista e/o di ragioniere non si registrano solo attività professionali che si estrinsecano in consulenza fiscale, e pertanto non vi è alcuna confliggenza fra la norma sancita dall’articolo 4, lettera h), Dlgs 545/1992 (che consente la nomina dei dottori commercialisti quali giudici tributari) e quella di cui all’articolo 8, lettera i) (che impone la decadenza dei professionisti che svolgono attività di consulenza in qualsiasi forma).

In ultima analisi, quindi, la tenuta delle scritture contabili e la predisposizione delle dichiarazioni dei redditi da parte dei commercialisti costituisce attività incompatibile con l’esercizio dell’incarico di giudice tributario, non potendosi distinguere, nell’ambito delle consulenze erogabili dagli iscritti all’albo, fra interventi meramente esecutivi e prestazioni intellettuali creative.

Per completezza, si segnala che, anche dopo l’ulteriore ritocco apportato alla norma dalla legge 342/2000 e in vigore dal 1° ottobre 2001, la tenuta di scritture contabili è stata apprezzata come attività di consulenza tributaria e, quindi, specularmene, come incompatibile se esercitata da un componente della Commissione tributaria. Va infatti precisato che la disposizione in questione non si è limitata a introdurre il riferimento temporale (ottobre 2001), ma ha anche specificato la riferibilità della condizione di incompatibilità ai casi di attività sporadica e occasionale, prima assente dal testo normativo. Una modificazione legislativa particolarmente rigorosa che, ricomprendendo le attività esercitate occasionalmente o in modo accessorio ad altra prestazione, in un certo senso amplia la portata della nozione di incompatibilità. Ciò non vuol dire che nella formulazione precedente non sussistesse incompatibilità tra incarico giudiziario e attività di consulenza.
In effetti, il legislatore, nell’aggiungere alla precedente formulazione dell’articolo 8, lettera i), la locuzione “anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione”, ha semplicemente meglio delimitato il campo d’azione della nozione, mediante disposizione avente carattere interpretativo.

Comunque, anche nella sentenza 1740/2010 il Consiglio di Stato rimarca l’assunto che già la precedente formulazione della norma, che riteneva incompatibili con la funzione di giudice tributario “coloro che esercitano in qualsiasi forma la consulenza tributaria….”, doveva intendersi riferita a tutte le possibilità di esercizio, in forma scritta o orale, con o senza iscrizione ad albi, in forma individuale o associata, dell’attività di consulenza.

Conclusioni
Il Consiglio di Stato, adattando alla fattispecie sottoposta al suo esame i canoni interpretativi valorizzati in materia, non ha potuto che constatare “l’infondatezza di tutte le censure articolate nel ricorso di primo grado”, poiché confliggenti con le diverse impostazioni emerse in sede di appello.

Anche la Corte di cassazione (sentenza 17936/2004) ha indirettamente avallato l’indirizzo del Consiglio di Stato, laddove ha affermato, in tema di incompatibilità dei componenti delle commissioni tributarie, che l’articolo 8 del Dlgs 545/1992, non contempla tra le cause di incompatibilità lo svolgimento della professione di avvocato, salvo per coloro che “in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, ovvero l’assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l’amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario”.

Con la sentenza 2540/2004, il Tar del Lazio poi ha ritenuto che anche lo svolgimento di attività professionale quale contitolare di uno studio commercialista o la partecipazione del professionista a un’associazione professionale all’interno della quale un altro associato svolge l’attività di consulenza tributaria è incompatibile con lo status di giudice di Commissione tributaria. In effetti, la contitolarità è di per sé sintomo plausibile di cointeressenza non solo dal punto di vista economico (nel senso che il professionista concorre alla divisione degli utili), ma anche nello svolgimento dell’attività, in quanto, seppure le prestazioni vengano rese da professionisti associati diversi dal giudice, la consulenza fiscale esercitata dallo studio va ugualmente imputata in capo al giudice tributario, essendo irrilevante ogni indagine circa il ruolo svolto nello studio dall’interessato. Le cause di incompatibilità rispondono, quindi, all’esigenza di evitare la compromissione della necessaria trasparenza e imparzialità dell’operato del giudice tributario (inevitabile laddove egli si trovasse nella condizione di doversi pronunciare su controversie, nelle quali ha già avuto modo di indirizzare il proprio orientamento o quello dello studio in cui opera e di cui fa parte) in occasione dello svolgimento della propria (o riferita ad altri professionisti dello stesso studio) attività di prestatore di opera professionale (Consiglio di Stato, sentenza 3760/2007).

Si aggiunge ancora che anche la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che nel procedimento di decadenza dall’ufficio di giudice tributario non occorra la previa diffida a cessare l’attività professionale incompatibile (Consiglio di Stato, sentenza 2679/2003), in quanto l’esistenza di un apposito procedimento sulla decadenza esclude l’applicabilità dei principi generali in tema di assegnazione di un termine per l’esercizio del diritto di opzione fra attività ritenute incompatibili.
Salvatore Servidio

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/giudice-delle-tasse-e-contabile-non-si-puo-la-prima-carica-decade

Contributi Inps per colf e badanti. In arrivo la prima scadenza 2010

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È alle porte sabato 10 aprile, ultimo giorno utile per pagare le somme relative al trimestre gennaio/marzo
Pochi giorni ancora per non saltare la rata che tiene a battesimo il pagamento dei contributi previdenziali 2010, dovuti per i lavoratori domestici. Il periodo di riferimento è il trimestre gennaio/marzo. L’ultima data utile è sabato 10 aprile.

Gli appuntamenti annuali da tenere in calendario a questo proposito sono in tutto 4:► 1-10 aprile, per il primo trimestre
► 1-10 luglio, per il secondo trimestre
► 1-10 ottobre, per il terzo trimestre
► 1-10 gennaio, per il quarto trimestre.

Si tratta, in pratica, di somme utilizzate da Inps e Inail per liquidare la pensione, l’indennità di maternità e di disoccupazione, gli assegni familiari e altre forme di tutela assistenziale a favore di questa particolare categoria di lavoratori dipendenti che, secondo le diverse necessità, affiancano le famiglie – ma anche comunità religiose o caserme, orfanotrofi e ricoveri per anziani – con la loro attività, essenzialmente assistenziale, in modo continuativo. Per essere più chiari, parliamo di colf, badanti o baby sitter, governanti, camerieri, cuochi e altro personale che spesso ci troviamo accanto nelle nostre case.

Il calcolo
Per sapere quanto pagare è disponibile sul sito dell’Inps un pratico simulatore di calcolo; in ogni caso, l’operazione non è difficile, si tratta semplicemente di moltiplicare il contributo orario per tutti i giorni comunque retribuiti, ciò significa comprese le ore di assenza per malattia, ferie, festività infrasettimanali, congedo eccetera, per le quali il datore continua a corrispondere una retribuzione.
Se l’orario di lavoro non supera le 24 ore a settimana, il contributo orario è commisurato a tre diverse fasce di retribuzione; se l’orario di lavoro è di almeno 25 ore settimanali, il contributo è fisso per tutte le ore retribuite.
Come pagare
In realtà, soltanto in alcuni casi occorre procedere al calcolo dell’importo da versare perché, in via ordinaria, è l’Inps stessa a inviare i bollettini precompilati a casa del datore di lavoro: automaticamente all’inizio del rapporto, dopo la denuncia di assunzione, su richiesta in seguito.
I pagamenti possono essere effettuati presso gli uffici postali, le banche e, grazie al circuito “Reti Amiche”, anche in qualsiasi ricevitoria o tabaccheria convenzionata con la Lottomatica.
Possibile, inoltre, il pagamento via web attraverso la procedura “Pagamento online contributi lavoratori domestici” predisposta dall’Istituto di previdenza, accessibile dopo il preventivo rilascio di un Pin.

Agevolazioni fiscali
Sul fronte fisco, va bene forse ricordare che chi dà lavoro a una colf o una badante ha diritto ad alcuni sconti d’imposta:
i contributi previdenziali e assistenziali versati per i lavoratori domestici possono essere dedotti dal reddito fino a un importo massimo di 1.549,37 euro l’anno
le spese sostenute per la badante, per un importo massimo di 2.100 euro l’anno, valgono una detrazione dall’imposta lorda pari al 19%. Usufruiscono dell’agevolazione i soggetti non autosufficienti assistiti dal collaboratore o i familiari che sostengono il costo, a condizione che il reddito complessivo non superi i 40mila euro.
Anna Maria Badiali

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/attualita/articolo/contributi-inps-colf-e-badanti-arrivo-la-prima-scadenza-2010

Tariffe minime professionisti, stop negoziazione parcella

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Ben presto negoziare la parcella con un libero professionista potrebbe tornare ad essere un miraggio. Il Governo ha infatti intenzione di reintrodurre le tariffe minime, ragion per cui si rischia il ritorno al passato, ovverosia agli anni precedenti l’entrata in vigore dei Decreti Bersani. Ieri sera Antonio Catricalà, Presidente dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (Antitrust), ospite su RaiTre nella puntata di Ballarò condotta da Giovanni Floris, non ha manifestato grande entusiasmo in merito alla reintroduzione di una norma per la quale neanche le Associazioni dei Consumatori stanno facendo salti di gioia.

Il rischio, infatti, è quello che le prestazioni di avvocati, architetti ed ingegneri in futuro siano più salate. L’Adiconsum, ad esempio, è contraria a ripristinare il tariffario minimo per le prestazioni dei liberi professionisti e non solo per ragioni legate ai rincari, che già da sole basterebbero. La reintroduzione delle tariffe minime, infatti, andrebbe solo ad agevolare chi già nel settore ha acquisito una posizione “forte” sul mercato, e rischierebbe di tagliare fuori le nuove leve che invece con l’abolizione delle tariffe minime in questi anni si sono fatte strada ed hanno potuto acquisire clienti.

Secondo il Segretario Generale Adiconsum, Paolo Landi, il superamento dei minimi tariffari non rappresenta una misura punitiva a carico dei liberi professionisti, ma una norma coerente con il libero mercato così come avviene negli altri Paesi europei. Aspettando la riforma, nel caso in cui effettivamente poi vada in porto, c’è anche un’altra questione che dovrebbe essere presa in considerazione.

Il Segretario nazionale Adiconsum, Pietro Giordano, rivolgendosi al Ministro Alfano ha sottolineato come con la riforma debba essere affrontato anche il tema relativo all’evasione fiscale tra i liberi professionisti, ed in particolare tra quelli che vantano sul mercato una posizione di forza.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/tariffe-minime-professionisti-stop-negoziazione-parcella/27025/

Benzina: meno accise e più stazioni di rifornimento

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Sul prezzo della benzina pagato dagli automobilisti alla pompa ci sono la bellezza di 0,30 euro di accise. A ricordarlo è l’Adoc, la quale in concomitanza con l’ennesimo rincaro dei prezzi dei carburanti ha chiesto sia un taglio delle accise, sia l’aumento del numero delle stazioni di rifornimento. Basti pensare che sul carburante grava ancora l’accisa introdotta nel 1935, pari a 1,90 lire, per la guerra di Abissinia; oppure ancora ben 14 lire al litro per la crisi di Suez del 1956 ed altre dieci delle vecchie lire per il disastro del Vajont del 1963.

Ci si chiede di conseguenza se sia ancora il caso di mantenere queste accise sui carburanti a distanza di decenni. Il Presidente dell’Adoc, ha messo in evidenza come le accise incidano con 0,30 euro per ben il 20% sul prezzo dei carburanti, ragion per cui tagliando tale balzello gli automobilisti otterrebbero in media un risparmio pari a ben 360 euro all’anno; d’altronde queste accise sono state introdotte tanti anni fa e non hanno ragione di esistere, ma lo Stato non sembra per nulla interessato a voler rinunciare a questa quota di incassi.

Come soluzione al caro benzina l’Adoc caldeggia nello stesso tempo anche un aumento sulla rete del numero dei distributori; ma secondo il Presidente Pileri occorre anche che le stazioni di servizio amplino la loro offerta attraverso la vendita di prodotti non petroliferi in modo da diversificare il business, avere più fonti d’entrata e quindi più spazio per poter abbassare il prezzo dei carburanti.

Intanto il Codacons, dopo il rialzo dei prezzi dei carburanti scattato al ritorno degli automobilisti dalle vacanze di Pasqua, ha stimato che la nuova stangata ammonta a ben 19 milioni di euro, ed ha nello stesso tempo mosso critiche al Governo ritenendo che sulla questione sia “a secco” di misure per contrastare quello che a carico degli automobilisti è in tutto e per tutto un salasso.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/benzina-meno-accise-e-piu-stazioni-di-rifornimento/26993/

Incentivi cucine, moto ed elettrodomestici: numero verde

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Per gli incentivi legati all’acquisto di cucine, moto, elettrodomestici, gru, case ecologiche e, tra l’altro, anche abbonamenti Internet Adsl, Poste Italiane ha realizzato un Portale che sarà disponibile per le visite nei prossimi giorni, e che permetterà ai cittadini ed alle imprese di ottenere informazioni sulla campagna di sconti statali. A darne notizia è proprio Poste Italiane nel sottolineare come nella giornata di ieri, 6 aprile 2010, sia partita la macchina organizzativa finalizzata all’erogazione dei bonus attraverso l’apertura delle iscrizioni/registrazioni dei rivenditori che a tal fine dovranno chiamare il numero verde 800.556.670.

Per i cittadini e le imprese che vogliono fruire degli incentivi c’è invece a disposizione il numero vede gratuito 800 123450, accessibile da rete fissa, mentre da rete mobile è attivo il numero 199 123450 con costi della chiamata che in questo caso dipendono dall’operatore. Per ottenere l’incentivo occorre rivolgersi al rivenditore, con quest’ultimo che a partire dal 15 aprile controllerà la disponibilità finanziaria attraverso il call center 800 556 670 e fornirà all’acquirente una risposta positiva o negativa.

A questo punto, in accordo con quanto spiega Poste Italiane, a partire dalla data del 17 maggio 2010 il rivenditore potrà dare esecuzione alla richiesta di incentivo prenotandolo direttamente via Internet attraverso un Portale ad hoc gestito da Poste Italiane. Conclusa l’istruttoria con esito positivo, il consumatore o l’impresa che ha richiesto l’acquisto del bene con lo sconto statale potrà saldare il dovuto al netto del bonus; a questo punto sarà poi Poste Italiane a rimborsare il rivenditore in ragione dell’ammontare del bonus concesso attraverso un postagiro oppure con un bonifico.

Su disposizioni del Ministero dello Sviluppo Economico, infatti, è proprio Poste Italiane la società incaricata alla gestione di tutto il processo e di tutte le fasi che portano all’erogazione degli incentivi unitamente alla messa a punto di strumenti come il Portale dedicato che, come accennato, sarà in linea a breve.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/incentivi-cucine-moto-ed-elettrodomestici-numero-verde/27001/

Indice Soldi Sette: torna l’interesse per le obbligazioni. Bond greci: rating giù

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Dal prossimo 1° maggio il Conto arancio offrirà l’1% lordo annuo come tasso base. Non è il solo prodotto ad aver abbassato i tassi rasoterra ma visto che è stato il primo a sbarcare sul mercato italiano fa temere che l’Era dei conti di deposito sia al tramonto.
Dato che trova conferma nell’ultima rilevazione dell’indice Soldi Sette sulla fiducia dei risparmiatori: in un contesto di sostanziale ritorno all’ottimismo (rispetto a dicembre 2009 la fiducia è salita da 102,2 a quota 110,9, su una scala da zero, pessimismo più nero, a 200, buonumore massimo) il sottoindice che misura l’interesse a investire in obbligazioni ha avuto un balzo da 106,5 a 112,2, tornando a livelli che non si vedevano da 5 anni.
ll venir meno di promozioni interessanti sui conti di deposito e il progressivo abbassarsi dei tassi base sono stati un incentivo importante per puntare sulle obbligazioni Le banche che propongono conti di deposito poco remunerati da oggi sono avvertite: i risparmiatori non staranno a guardare e puniranno chi abbassa troppo i tassi.
Attualmente i rendimenti in euro più interessanti sono offerti dai titoli di Stato greci. Attenzione però: Soldi Sette ha abbassato il suo giudizio sull’affidabilità della Grecia da discreto al livello minimo, cioè sufficiente. Chi vuole investire in bond greci può ancora farlo ma solo se conscio di tutti i rischi della situazione attuale. E in ogni caso ribadiamo il consiglio di limitare il loro peso in portafoglio.
Perché, infatti, la Grecia non vuole gli aiuti del Fondo monetario internazionale? Teme che il Fondo scovi eventuali scheletri nell’armadio? Del resto qualche avvisaglia su possibili sorprese negative già c’è: secondo alcune voci il deficit potrebbe attestarsi al 14% del Pil e non al 12,7% dichiarato da Atene. Può darsi che Atene sia solo cercando di mostrare i muscoli, così come può darsi che si tratti solo di un ultimo attacco speculativo prima di un periodo di calma relativa (passato lo “scoglio” dei rimborsi da qui a maggio, Atene non avrà altri debiti da rifinanziare prima del 2011). Altroconsumo e Soldi Sette ribadiscono il consiglio di essere prudenti.
Fonte: http://www.altroconsumo.it/investimenti-e-risparmio/indice-soldi-sette-torna-l-interesse-per-le-obbligazioni-bond-greci-rating-giu-s272143.htm

MEF: anticipazione statistiche delle dichiarazioni fiscali relative al periodo d’imposta 2008

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Il Dipartimento delle Finanze rende pubbliche le prime statistiche definitive delle dichiarazioni IRPEF presentate nel 2009 (relative al periodo d’imposta 2008) ed i primi dati provvisori delle dichiarazioni IVA per la stessa annualità. Il 2008 è stato caratterizzato, soprattutto nella seconda parte dell’anno, dal diffondersi della crisi economica internazionale. Per effetto della crisi il PIL italiano in termini reali ha subito una flessione in corso d’anno dell’1,3%, mentre l’inflazione si è attestata al 3,3%.
IRPEF
Il numero dei contribuenti è stato pari a 41,8 milioni (+0,3% rispetto all’anno precedente). Di questi circa 506.000 hanno adottato il nuovo regime dei contribuenti minimi, riservato agli esercenti attività di impresa, arti o professioni che hanno conseguito nell’anno solare precedente ricavi in misura non superiore a 30.000 Euro; tali contribuenti sono assoggettati ad un’imposta sostitutiva in luogo dell’IRPEF con esonero dagli obblighi IVA ed esenzione dall’IRAP. Il reddito complessivo IRPEF sale dell’1,3% (782,6 miliardi di Euro) nonostante la flessione del PIL e l’imposta netta dichiarata aumenta del 2,7% (146,2 miliardi di Euro); quest’ultima è dovuta da poco più di 31 milioni di contribuenti e la sua incidenza sul reddito complessivo (aliquota effettiva) è del 18,7%. Il reddito complessivo medio si attesta ad un valore di 18.873 Euro per un’imposta netta media di 4.700 Euro. Su base regionale, la Lombardia conferma il primato per il reddito complessivo medio (pari a 22.540 Euro); all’estremo opposto troviamo la Calabria con 13.470 Euro. In relazione all’imposta netta, invece, il valore medio maggiore è quello del Lazio (5.740 Euro), il minore della Basilicata (3.370 Euro).
Riguardo alla tipologia di reddito, il reddito medio da lavoro dipendente è pari a 19.640 Euro (+1,9% rispetto all’anno precedente), quello da pensione a 13.940 Euro (+3,7%), quello da partecipazione a 17.350 Euro (-2,4%). I redditi d’impresa e da lavoro autonomo si attestano rispettivamente a 18.140 Euro e a 38.890 Euro; il confronto omogeneo con le dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2007 evidenzia per i redditi d’impresa una diminuzione dello 0,5%, che riflette l’andamento negativo dell’economia, e per i redditi da lavoro autonomo un incremento del 2,6%. La crisi economica iniziata nella seconda metà del 2008 mostra quindi i suoi effetti nei confronti delle attività d’impresa, mentre non si evidenzia ancora nei confronti dei lavoratori autonomi.
Riguardo alla composizione del reddito dichiarato, la quota complessiva di redditi da lavoro dipendente e pensione, in crescita, ha raggiunto l’80,3% del totale. Seguono, per importanza, i redditi da partecipazione (5,0% del totale), d’impresa (4,2%) e da lavoro autonomo (4%). L’aumento della quota dei redditi da lavoro dipendente e pensione deriva anche dall’introduzione del regime dei contribuenti minimi, i cui redditi vengono così esclusi dal computo dell’IRPEF.
Rispetto alla distribuzione del reddito complessivo per classi, si nota che circa la metà dei contribuenti dichiara non oltre 15.000 Euro annui e circa due terzi non più di 20.000 Euro. All’estremo superiore della distribuzione si osserva, invece, che circa l’1% dei dichiaranti supera i 100.000 Euro, pagando il 18% del totale dell’imposta. Il 52% del totale dell’imposta è pagato dal 13% dei contribuenti con redditi oltre i 35.000 Euro.
I circa 506.000 “contribuenti minimi” hanno dichiarato un reddito medio di 8.840 Euro per un’imposta sostitutiva netta media di 1.770 Euro. Il nuovo regime ha fatto registrare il maggior numero di adesioni nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche (circa 180.000 soggetti) seguito da quello del commercio (circa 63.000) e da quello delle costruzioni (circa 56.000). Su base regionale le maggiori adesioni al regime si registrano in Lombardia (circa 68.000 soggetti) seguita dal Lazio (circa 54.000) e dalla Campania (51.000). Il reddito medio su base regionale varia da un massimo di 10.150 Euro in Lombardia ad un minimo di 7.280 Euro in Calabria.
Sono poco più di un milione le società di persone presenti sul territorio nazionale per le quali – con l’esclusione del circa il 16% che risulta in perdita – il reddito medio è pari a 43.930 Euro.
IVA
L’introduzione del regime dei contribuenti minimi ha comportato un calo del numero delle dichiarazioni IVA in raffronto al 2007 (-7,7%) pari a 5,259 milioni: di queste, il 60,7% proviene da persone fisiche, il resto da società ed enti. Tuttavia, il volume d’affari totale mostra un leggero aumento +0,6% (3.390 miliardi Euro;), mentre l’IVA di competenza cala dell’1,5% (78,675 miliardi Euro). La distribuzione per natura giuridica, conferma che le società di capitali, pur rappresentando solo un quinto dei contribuenti, dichiarano l’83% del volume d’affari ed il 74% dell’imposta. L’analisi settoriale denota il primato del settore del commercio per numero di contribuenti (25%) ed imposta dichiarata (34,8%), mentre il settore manifatturiero primeggia per volume d’affari (30,4%). Nelle regioni settentrionali risiede circa la metà dei contribuenti, che dichiara circa il 62% del volume d’affari e dell’IVA di competenza. Fortissima risulta la concentrazione dell’IVA: poco più dell’1% dei contribuenti dichiara il 70% del volume d’affari ed il 64% dell’imposta.
Tutte le statistiche e le analisi dei dati sono disponibili sul sito internet del Dipartimento delle Finanze (www.finanze.gov.it) sotto la voce “Statistiche fiscali”. Nello stesso sito saranno pubblicati gli ulteriori dati statistici sulle dichiarazioni fiscali che si renderanno disponibili nel corso dell’anno.

Federalismo demaniale: schema di Decreto legislativo

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato, nella riunione del 17 dicembre 2009, lo schema del decreto legislativo recante: “Attribuzione a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell’art. 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42”
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76, 87, quinto comma, 117 e 119 della Costituzione;
Vista la legge 5 maggio 2009, n. 42, “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”, e in particolare l’articolo 19, relativo al patrimonio di comuni, province, città metropolitane e regioni;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del ..;
Vista l’intesa sancita in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella riunione del …;
Visti il parere della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale di cui all’articolo 3 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del ….;
su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione;
Emana il seguente decreto legislativo:
Art. 1
(Oggetto)
1.    Nel rispetto della Costituzione, con le disposizioni del presente decreto legislativo e con uno o più decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei ministri sono individuati i beni statali che, su richiesta dell’ente territoriale interessato, possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
2.    Gli Enti territoriali cui sono attribuiti i beni sono tenuti a garantirne la massima valorizzazione funzionale.
Art. 2
(Attribuzione del patrimonio)
1.      Lo Stato, previa intesa conclusa in sede di Conferenza Unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, secondo i criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, nonché valorizzazione ambientale.
2.      Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni possono chiedere l’attribuzione a titolo non oneroso dei beni già individuati a tal fine dallo Stato. Lo Stato, sulla base delle richieste degli enti territoriali, procede all’attribuzione dei beni.
3.      In applicazione del principio di sussidiarietà lo Stato, qualora un bene non sia attribuito a un ente territoriale di un determinato livello di governo, può comunque procedere, sulla base delle richieste avanzate, all’attribuzione del medesimo bene a un ente territoriale di un diverso livello di governo.
4.L’ente territoriale, a seguito dell’attribuzione, dispone del bene nell’interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della collettività territoriale rappresentata. Ciascun ente assicura l’informazione della collettività circa il processo di valorizzazione anche tramite pubblicazione sul proprio sito internet istituzionale. I Comuni possono indire forme di consultazione popolare, anche in forma telematica, in base alle norme dei rispettivi Statuti.
5. I beni statali sono attribuiti, a titolo non oneroso, a Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni, anche in quote indivise, sulla base dei seguenti criteri:
a)      sussidiarietà, adeguatezza e territorialità. In applicazione di tali criteri, i beni sono attribuiti, considerando il loro radicamento sul territorio, ai Comuni, salvo che per l’entità o tipologia dei beni trasferiti, esigenze di carattere unitario richiedano l’attribuzione a Province, Città metropolitane o Regioni quali livelli di governo maggiormente idonei a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione;
b)      semplificazione. In applicazione di tale criterio, i beni possono essere inseriti dalle Regioni e dagli Enti locali in processi di alienazione e dismissione secondo le procedure di cui all’articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
c)       capacità finanziaria, intesa come idoneità finanziaria necessaria a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene. A tal fine, l’attribuzione dei beni immobili appartenenti allo Stato può avvenire, su richiesta dell’ente territoriale interessato e senza ulteriori oneri a carico dello Stato, mediante attribuzione diretta dei beni a fondi comuni di investimento immobiliare già costituiti, o da costituire, da uno o più enti territoriali, anche ai sensi dell’articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
d)      correlazione con competenze e funzioni, intesa come connessione tra le competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dall’ente cui è attribuito il bene e le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene;
e)       valorizzazione ambientale. In applicazione di tale criterio la valorizzazione del bene è realizzata avendo riguardo alle caratteristiche fisiche, morfologiche, ambientali, paesaggistiche, culturali e sociali dei beni trasferiti, al fine di assicurare lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei valori ambientali.
Art. 3
(Trasferimento dei beni)
1.      I beni sono individuati e attribuiti ad uno o più livelli di governo territoriale mediante l’inserimento in appositi elenchi adottati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per gli affari regionali e con gli altri Ministri competenti per materia, sulla base delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 del presente decreto legislativo. Con il medesimo procedimento possono essere adottati ulteriori decreti del Presidente del Consiglio dei ministri integrativi o modificativi. Gli elenchi sono corredati da adeguati elementi informativi e producono effetti dalla data della pubblicazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri nella Gazzetta Ufficiale.
2.      Relativamente alle aree e ai fabbricati, le Regioni e gli Enti locali che intendono acquisirli presentano, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, un’apposita domanda di attribuzione alla Agenzia del Demanio. Sulla base delle richieste di assegnazione pervenute è adottato, entro i successivi trenta giorni, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, riguardante l’attribuzione dei beni, che produce effetti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che costituisce titolo per la trascrizione e per la voltura catastale dei beni a favore di ciascuna Regione o ciascun Ente locale.
Art. 4
(Status dei beni)
1.      I beni, trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni, salvo quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, che restano assoggettati al regime stabilito dal codice civile, nonché alla disciplina di tutela e salvaguardia dettata dal medesimo codice, dal codice della navigazione e dalle leggi regionali, statali e comunitarie di settore. Ove ne ricorrano i presupposti, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attribuzione dei beni demaniali diversi da quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, indica motivatamente l’inclusione dei beni nel demanio o nel patrimonio indisponibile.
2.      Il trasferimento dei beni ha effetto dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 3, comma 2, secondo periodo. Il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale immissione di ciascuna Regione ed Ente locale nel possesso giuridico e subentro in tutti i rapporti attivi e passivi relativi ai beni trasferiti, fermi restando i limiti derivanti dai vincoli storici, artistici e ambientali.
Art. 5
(Tipologie dei beni)
1. I beni immobili statali che, a titolo non oneroso, sono trasferiti a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni che li richiedono sono i seguenti:
a)              tutti i beni appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze, come definiti dall’articolo 822 del codice civile e dall’articolo 28 del codice della navigazione, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali;
b)            tutti i beni appartenenti al demanio idrico di interesse regionale o provinciale e relative pertinenze, nonché le opere idrauliche e di bonifica di competenza statale, come definiti dagli articoli 822, 942, 945, 946 e 947 del codice civile e dalle leggi speciali di settore;
c)             tutti gli aeroporti di interesse regionale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze, come definiti dall’articolo 698 del codice della navigazione;
d)            tutte le miniere e le relative pertinenze ubicate su terraferma;
e)             tutte le aree e i fabbricati di proprietà dello Stato, diversi dalle tipologie di cui alle precedenti lettere, ad eccezione di quelli esclusi dal trasferimento ai sensi del comma 2 del presente articolo.
2.    Fatto salvo quanto previsto al comma 4, sono in ogni caso esclusi dal trasferimento: gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle Amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo, agli Enti Pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso governativo e alle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore; i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente; i beni oggetto di accordi o intese con gli Enti territoriali per la razionalizzazione o la valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari sottoscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle energetiche; le strade ferrate in uso.
3.    Ai fini dell’esclusione di cui al comma 2, le amministrazioni statali e gli altri enti di cui al medesimo comma 2 comunicano, in modo adeguatamente motivato, alla Agenzia del Demanio entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo gli elenchi dei beni di cui richiedono l’esclusione. Entro i successivi trenta giorni, con provvedimento del direttore dell’Agenzia l’elenco complessivo dei beni esclusi dal trasferimento è redatto ed è reso pubblico, a fini notiziali, anche con l’indicazione delle motivazioni pervenute, sul sito internet dell’Agenzia. Con il medesimo procedimento, il predetto elenco può essere integrato o modificato.
4.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro per le riforme per il federalismo, sono individuati i beni immobili comunque in uso al Ministero della difesa che possono essere trasferiti ai sensi del comma 1, in quanto non ricompresi tra quelli utilizzati per le funzioni di difesa e sicurezza nazionale, non oggetto delle procedure di cui all’articolo 14-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e di cui all’articolo 2, comma 628, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nonché non funzionali alla realizzazione dei programmi di riorganizzazione dello strumento militare finalizzati all’efficace ed efficiente esercizio delle citate funzioni, attraverso gli specifici strumenti riconosciuti al Ministero della difesa dalla normativa vigente.
5.    Sono in ogni caso esclusi dai beni di cui al comma 1 i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica.
Art. 6
(Semplificazione delle procedure di attuazione del federalismo demaniale)
1. Al fine di favorire l’attuazione del criterio di cui all’articolo 2, comma 5, lettera c), la disciplina dei fondi immobiliari di cui all’articolo 14-bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86, è riordinata e adeguata mediante uno o più regolamenti, da emanare entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro per le riforme per il federalismo e il Ministro per gli affari regionali, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
a)      attribuzione ai fondi immobiliari dei beni immobili da parte dello Stato in proporzione al valore fissato al momento del trasferimento dei suddetti beni;
b)     possibilità che le quote dei suddetti fondi immobiliari possano essere sottoscritte anche da persone fisiche, persone giuridiche e altri enti privati, con versamenti in denaro o apporto di beni immobili o di altri diritti reali, condizionati, nel caso di attribuzione a titolo non oneroso di beni statali, a un contestuale ed equivalente apporto a titolo gratuito dei sottoscrittori privati; possibilità di partecipazione di più Regioni ed Enti territoriali ai fondi immobiliari e di attribuzione a titolo non oneroso di beni statali successivamente alla prima emissione di quote con conseguente trasferimento delle stesse tra le Regioni e gli Enti locali in relazione al beneficio derivante pro-quota dall’apporto suddetto, secondo la stima di un esperto indipendente;
possibilità di utilizzare la liquidità per l’acquisto di beni immobili funzionali alla valorizzazione del patrimonio immobiliare del fondo;
d)   indicazione espressa delle disposizioni che trovano applicazione in materia di quota minima percentuale dell’apporto degli enti territoriali, di facoltatività dell’apporto in denaro da parte degli enti territoriali, di possibilità di utilizzazione della liquidità per l’acquisto di beni immobili funzionali alla valorizzazione del patrimonio immobiliare del fondo, di dismissione delle quote, nonché di offerta al pubblico qualora il collocamento delle quote dei fondi avvenga presso investitori istituzionali o qualificati;
e)   previsione che, ferma restando l’applicabilità, riguardo agli apporti effettuati dagli enti pubblici, della disciplina fiscale di cui ai commi 10 e 11 dell’articolo 14-bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86, agli apporti dei beni immobili effettuati dai privati ai fondi disciplinati dal presente articolo sia applicabile la normativa già in vigore riguardo agli apporti ai fondi immobiliari di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
f)    possibilità di prevedere contestuali o successivi conferimenti di altri beni dello Stato, delle Regioni o degli Enti locali.
Art. 7
(Disposizioni finali)
1. Tutti gli atti, contratti, formalità e altri adempimenti necessari per l’attuazione del presente decreto sono esenti da ogni diritto e tributo.
2. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro dell’interno, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per le riforme per il federalismo e il Ministro per gli affari regionali, sono determinati criteri e tempi per ridurre le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle Regioni e agli Enti locali in funzione della riduzione delle entrate erariali conseguente alla adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 3.

Fonte: http://www.regioni.it/newsletter/newsletter.asp?newsletter_data=2010-04-07&newsletter_numero=1550#art2